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da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte terza: Orgosolo moderna in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: III
ORGOSOLO MODERNA
La politica militarecoloniale che dal 1880 colpisce Orgosolo è soltanto la manifestazione più visibile, la forma della politica economicacoloniale che dal 1880 la borghesia imperialista italiana conduce contro Orgosolo e, largamente, contro tutta la Sardegna pastorale.
L'economia pastorizia sarda, e particolarmente, quella della Barbagia pu) essere considerata da quel tempo sino ad oggi — e con pro
prietà di termine una economia di tipo coloniale.
Abbiamo visti i caratteri « primitivi » dell'azienda pastorale sarda. Dobbiamo qui precisare che non si tratta più di un'azienda primitiva vera e propria, una azienda, cioè, che vive in un mercato naturale o di baratto, ed il cui territorio è chiuso, limitato al paese. Si tratta, invece, di una azienda già in pieno immessa nell'epoca moderna: che vive in un mercato artificiale, che ha bisogno di denaro, ed il cui territorio è vastissimo : il mercato finanziario, il mondo.
Da quando la borghesia italiana introduce la proprietà privata nelle terre di pascolo che, conseguentemente, si danno in affitto, la prima necessità dell'azienda del pastore — procacciarsi il pascolo — comincia a coincidere con la necessità di procacciarsi il denaro. L'affitto, richiesto in denaro dai proprietari dei pascoli, viene pagato per) dal 1830 al 1880, abitualmente, in natura: il denaro scarseggia enormemente in Barbagia; lo hanno nelle mani solo piccoli prestatori e piccoli commercianti che lo danno, in modo usurario, in cambio di prodotti: latte, lana, formaggio, pelli, carni ecc.
È da quando la borghesia italiana (trasformatasi in imperialista) mette piede in Barbagia, il 1880 circa, con i primi industriali caseari, che il denaro, affluendo in maggior misura di prima e sempre più richiesto dai proprietari di terre diviene il motore dell'economia di Barbagia.
Da quel momento la locale economia prende l'aspetto tipico di una economia coloniale.
L'industriale caseario, dal 1880, giunge in Barbagia in cerca di materie prime — latte soprattutto — che può acquistare a prezzo più
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basso che altrove perché il denaro qui scarseggia. Egli, dal 1880, si preoccupa di impiegare il minimo di capitali: non costruisce caseifici sul posto, non porta lavoro, non accresce la ricchezza locale: incetta latte, lo ammassa sotto forma di pasta appena lavorata (per conservarla), e lo invia in continente do[...]

[...]seario, dal 1880, giunge in Barbagia in cerca di materie prime — latte soprattutto — che può acquistare a prezzo più
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basso che altrove perché il denaro qui scarseggia. Egli, dal 1880, si preoccupa di impiegare il minimo di capitali: non costruisce caseifici sul posto, non porta lavoro, non accresce la ricchezza locale: incetta latte, lo ammassa sotto forma di pasta appena lavorata (per conservarla), e lo invia in continente dove questo si lavora. si preoccupa poi di riversare neppure in parte in Bargabia i profitti che ricava.
Come si vede é una economia coloniale classica : di tratta.
Le condizioni per la creazione di monopoli locali sono qui oltremodo favorevoli e la creazione di essi avviene seconda modi classici della economia coloniale: possedendo un capitale d'inizio, pagando presto e con certezza il latte, l'industriale caseario ha facilmente ragione dei piccoli concorrenti: usurai, piccoli commercianti. L'abbondanza del latte e la larghezza del territorio non gli fanno neppure temere molto i grandi concorrenti: ossia gli altri industriali caseari. La spartizione della Sardegna tra pochi di essi (Locatelli, Galbani ecc.) avviene — come nella economia coloniale in modo « abbastanza » pacifico.
Ma vediamo invece, ora, la situazione del pastore.
Il pastore, obbligato a pagare sempre più in denaro il pascolo, non trovando il denaro con facilità se non dall'industriale, é costretto sempre più a sottostargli. Il pastore é una figura economicamente debole di fronte all'industriale: nell'ambito dello Stato non conta quasi nulla, mentre molto conta l'industriale. Il pastore si assume la parte passiva, il lavoro: si fa solo custode e mungitore delle pecore; cede invece all'industriale la parte attiva, la possibilità di guadagno: il prodotto. Nel momento principale del mercato — nella determinazione del prezzo del latte — o l'industriale impone personalmente il suo prezzo o, per suo conto, lo impone lo Stato. Il pastore, che pur é l'attore principale, non prende parte se non formalmente in questa determinazione. Il prezzo è legato spesso al mercato mondiale: per es. l'America riduce il contingente di importazione del formaggio sardo (come é avvenuto di recente): scoppia una crisi. Il pastore di Barbagia, senza poterne controllare la causa é coinvolto, sconvolto dalla crisi. L'industriale caseario pub almeno manipolare il prezzo : si salva; il pastore é completamente indifeso : si rovina.
Da 70 anni, e con processo discontinuo ma sempre crescente, si va formando una classe di pastori rovinati, e specialmente piccoli e medi pastori. Lottano dapprima per procurarsi il denaro per il pascolo, per le tasse crescenti, per la spese vitali; riducono disperatamente il loro
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livello di vita ad un livello infimo, un livello coloniale (l'abitante della Barbagia, per es., ha un reddito medio 1015 v[...]

[...] é coinvolto, sconvolto dalla crisi. L'industriale caseario pub almeno manipolare il prezzo : si salva; il pastore é completamente indifeso : si rovina.
Da 70 anni, e con processo discontinuo ma sempre crescente, si va formando una classe di pastori rovinati, e specialmente piccoli e medi pastori. Lottano dapprima per procurarsi il denaro per il pascolo, per le tasse crescenti, per la spese vitali; riducono disperatamente il loro
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livello di vita ad un livello infimo, un livello coloniale (l'abitante della Barbagia, per es., ha un reddito medio 1015 volte inferiore a quello dell'abitante di Roma); poi piano piano cominciano a vendere il gregge; infine, a poco a poco, si riducono alla disoccupazione. Per la prima volta dopo millenni la disoccupazione tra i pastori (almeno per larghezza) é il fenomeno nuovo. La formazione di una classe di disperati disposti a qualsiasi lavoro : pastorizio, agricolo, artigiano, industria
le ecc. — cioè la formazione di un proletariato pastorale — é il risultato nuovo della storia imperialista.
Ed in Barbagia il pastore disoccupato non può sperare di sfuggire a questa proletarizzazione con il mutare lavoro, mestiere:
1) L'agricoltura é pochissimo sviluppata (la terra, per la comodità della rendita agraria, si fitta a pascolo); il contado presenta fenomeni di disfacimento : di proletarizzazione agricola.
2) L'artigianato ed il piccolo commercio, con la schiacciante concorrenza dei nuovi prodotti di fabbricazione industriale, sono rovinati: scendono sempre più verso una situazione di proletariato « di paese ».
3) Industrie in Barbagia non ne esistono. Quelle che esistono in Sardegna (miniere del Sulcis e Iglesiente) sono lontane e, anche queste, di tipo coloniale: il carbone si estrae ma non si lavora: si spedisce in continente. La loro capacità di assorbimento di mano d'opera è, perciò, scarsa; la concorrenza tra operai fortissima; le condizioni di vita peggiori, probabilmente, di quelle del pastore. E per di piú, oggi, dopo l'invio del commissario governativo Landi, è diventato chiaro il proposito di smobilitare Carbonia, (si parla già esplicitamente della « necessità » di licenziare 4.000 dei 10.000 operai).
Ogni nuovo lavoro o mestiere propone così ai pastori condizioni non diverse da quelle che hanno, se non peggiori: la prospettiva finale è, ancora, la disoccupazione. E così i pastori — categoria tipicamente «conservatrice », perché da millenni abituata alla sola pastorizia — non hanno convenienza di emigrare, di muoversi: rimangono in paese.
Potrebbe sembrare, a prima vista, che a questo nuovo processo, comune a tutti i pastori di Barbagia, il paese di Orgosolo si sottragga, poiché è l'unico, l'ultimo che non risulti ancora conquistato dallo Stato e dalla economia imperialista. La proprietà privata delle terre per pascolo non è molta; il territorio comunale estesissimo; gli industriali caseari che incettano il latte non sono visibilmente presenti nel paese : pochi centri di raccolta esistono ai margini del territorio di Orgosolo.
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Ma la sottrazione del paese alla economia imperialista è soltanto illusoria. I pastori di Orgosolo, seminomadi — per ragioni climatiche — per la meta dell'anno e cioè per l'inverno, sono costretti ad andare nei territori circostanti, cioè in terre private di pascolo che pagano in denaro. L'accerchiamento del territorio di Orgosolo da parte della economia imperialista fa sottostare per metà il paese a questa economia. La introduzione stessa della proprietà privata di terre di pascolo — sia pur in forma meno pronunciata che altrove — introduce, ancora, nel paese, il cavallo di Troia della economia imperialista. Sempre piú, dalla guerra 191518, ma specialmente, dalla guerra 193943, i pastori di Orgosolo sono costretti sempre più a ricorrere, per il denaro dei fitti del pascolo, agli industriali.
Dalla fine di questa ultima guerra il processo di proletarizzazione dei pastori, comune a tutta la Barbagia, ha cominciato a manifestarsi con crescente progresso in Orgosolo. Si può dire che dal 1943 — e per la prima volta nella storia di Orgosolo — si sia andata verificando la creazione di una nuova classe, diversa da quelle tradizionali de « sos meres » e « sos terraccos »: un proletariato pastorale. E questo è rinforzato dai nuovi strati di proletariato agricolo, artigiano, ecc.
La creazione di questa nuova classe è molto importante per Orgosolo: crea una svolta storica, apre un'epoca nuova.
Dal 1943 Orgosolo, come non mai prima, è un paese scisso in due: un paese antico e moderno. Esso vive nella sua antichissima storia ma è entrato anche nella storia contemporanea; il suo territorio è ancora il territorio del paese, ma si è dilatato al territorio nazionale, mondiale.
Studieremo l'azione di questa nuova classe creatasi di recente, che ha fisionomia singolare e già dimostra possibilità di spezzare una storia millenaria, di introdurre nel paese il più profondo rinnovamento.
**(
La situazione coloniale del paese di Orgosolo in seno allo Stato italiano è una situazione coloniale due volte aggravata : e per il colonialismo economico, comune a tante altre zone d'Italia; e per il colonialismo militare proprio (almeno per intensità) solo al paese di Orgosolo. Una così grave, estrema forma di oppressione imperialista comporta — con urgenza — la necessità di « liberazione » del paese, l'interesse comune e generale ad una totale « liberazione ». Si può dire che il problema del paese di fronte allo Stato, dal 1880 ad oggi, sia stato
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sempre, essenzialmente, il problema di una liberazione « nazionale » o, più esattamente « paesana », e di una liberazione « sociale » dall'oppressione che si approfondisce sempre piú. Le forme di « ribellione » dal 1880 al 1943 (e si potrebbero dire anche di « rivolta coloniale ») si configurano, dapprima, intrecciate al banditismo. Il banditismo del 18801900, ed il banditismo della « disamistade » (19051926) possono considerarsi, in modo proprio, anche una specie di « ribellione » di rivolta coloniale. Attori di questa ribellione sono i « banditi »: coloro che, senza distinzione di classe, ricchi e poveri, « meres » e «terraccos », vendicano il paese dalla crescente oppressione dello Stato. E il momento della «liberazione» indistinta, torbida, terrorista, individuale.
Dal 1943, con la comparsa di un proletariato pastorale la storia dei tentativi di questa liberazione si modifica profondamente.
II proletariato pastorale risente dell'oppressione « paesana » come ogni classe del paese; in maggior misura di ogni altra, risente l'oppressione « sociale ». È la classe ai limiti del processo economico, quella che non ha niente da perdere ma tutto da guadagnare : é la classe storicamente destinata a prendere le redini di tutto il locale movimento di liberazione:
Naturalmente il proletariato pastorale non può di certo dirigere od operare da solo nella liberazione: é una classe appena nata, allo stato di una disgregazione più che di una formazione; non discende da un processo lineare (come quello del proletariato industriale) in cui vi é un nemico diretto — l'industriale : discende da un processo confuso in cui vi sono molti nemici — il proletariato del pascolo, il pastore concorrente — dietro i quali si nasconde il nemico diretto, l'industriale.
Di fronte a tutte le classi del paese il proletariato pastorale, però, non solo risente meglio ma meglio può vedere le ragioni stesse dell'oppressione e le vie da seguire per la liberazione. Come classe non tipica del paese o chiusa in un ristretto territorio, come per es. i « meres » e i « terraccos », ha caratteri comuni ad altre classi sociali, di altri territori (i caratteri del « proletariato » in generale). Il proletariato pastorale ha un orizzonte più largo del suo paese, può ritrovare situazioni analoghe altrove e cercarsi alleati, può vedere meglio e più profondamente la situazione.
È nel 1943 che per la prima volta i pastori declassati hanno idee politiche e cercano di mettere in pratica queste idee « organizzandosi ». La loro azione, in primo tempo, é naturalmente soprattutto ideo
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logica : é legata alla creazione di « intellettuali ». E questi nascono, e non possono nascere, per l'esigenza di dirigere la necessaria « liberazione ».
Il fermento culturale che dal 1943 introduce questa nuova classe di pastori nel paese é un fenomeno di molta importanza, del tutto nuovo per Orgosolo : per la prima volta, dopo centinaia e centinaia di anni, il pastore orgolese, messo di fronte alla necessità di liberare se stesso dall'oppressione, comincia a studiare. E comincia a veder chiaro : abbandona la rivolta individuale — il pugnale, il mitra —, allarga la rivolta a collettiva, con la propaganda, con l'organizzazione.
L'avvenimento più importante verificatosi in Orgosolo — che é sfuggito a tutti coloro che di Orgosolo si sono interessati solo per la cronaca nera — é che il proletariato pastorale, appena nato, ha scoperto la «politica» ed ha imposto la politica, per la prima volta, a tutto il paese. Sino al 1945 la politica era del tutto sconosciuta in Orgosolo; dal 1918 al 1943 era limitata a pochi individui legati a « politici » estranei al paese per clientele personali, per ricevere in cambio locali privilegi o assistenza legale (tipico, ad es., il Partito Sardo d'Azione); dal 1943 con ideologie generali e moderne organizzazioni, con la formazione di veri e propri partiti, per la prima volta, la politica fa il suo ingresso in Orgosolo.
È nel 1943 che per la prima voltai « pastori declassati » portano in paese le prime idee « comuniste », tentano una prima « organizzazione comunista ». Corrispondendo esattamente alla particolare situazione « proletaria » e « coloniale » di quei pastori disoccupati — del proletariato pastorale — il comunismo é la sola ideologia e la sola forma di organizzazione che prospetti e consenta una liberazione « nazionale » (o qui «paesana ») ed una liberazione « sociale »; é la sola teoria e la sola pratica che siano nate per combattere con una profonda azione pratica, e non con la declamazione, l'oppressione nazionale e proletaria. I nemici del comunismo su piano mondiale sono i nemici del proletariato pastorale di Orgosolo su piano locale.
Con l'ingresso di fermenti « comunisti » nel paese le due antiche classi sociali, la opposizione tra il paese e lo Stato acquistano un rilievo mai raggiunto. Sotto questa stimolo nascono in Orgosolo in altri gruppi, tra i «meres» soprattutto, anche idee e organizzazioni opposte: in particolare la d. c., il partito dei proprietari, dei conservatori, governativo, « statale ». Due i partiti, e corrispondono quasi nettamente alle
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due classi sociali tradizionali, alla interna divisione paeseStato. È interessante notare che l'antico « Partito » Sardo d'Azione — basato su
clientele — subisce un processo di disgregazione, cosí che la parte con
servatrice si orienta verso la d. c. e la parte popolare verso il p. c. La frattura si acuisce. Ma per la prima volta la vecchia vita del paese, la
lotta tra le classi, la lotta paeseStato, abbandona il terreno, individuale del terrorismo che, come abbiamo visto, é quello della vendetta, del banditismo, per passare al terreno della lotta civile, del dibattito delle idee, della organizzazione in partiti. Nobilitati, elevati nella vita di moderni partiti, gli interessi locali — i vecchi « partiti », se così si può dire — sono spinti ad abbandonare ogni legame col sangue. È questa la prima grande vittoria, la « rivoluzione » iniziata dal proletariato pastorale, dai suoi «intellettuali », che ha imposto a tutto il paese, amici ed avversari questo terreno di lotta. Il comunismo, come nessuno per secoli, sembra aprire la via della civiltà moderna in Orgosolo; sembra essere il fenomeno che può introdurre una nuova vita moderna nel paese, spezzare l'antica organizzazione, l'antico mondo chiuso.
Ma vediamo l'ambiente, le forme culturali, le organizzazioni con cui è nato il particolare, singolare « comunismo » di Orgosolo.
Chi pensi, secondo uno schema preconcetto, che il comunismo in Orgosolo sia stato « importato » ad opera di « agitatori » commette un errore di valutazione della situazione. Esistono pochi paesi come Or gosolo che abbiano un terreno « precostituito » per la introduzione e lo sviluppo interno del comunismo, anche se non esiste, e non può esistere, un locale proletariato industriale.
Le situazioni coloniali (ed é ormai chiaro in tutto il mondo) sono estremamente « ricettive », « propense » alla introduzione ed allo sviluppo interno del comunismo. Come già il liberalismo nel XIX secolo é il solo movimento di liberazione nazionale dei popoli europei oppressi dal potere feudale, il comunismo nel XX secolo è il solo movimento di liberazione nazionale dei popoli coloniali oppressi dall'imperialismo. Per comprendere la situazione di Orgosolo in una scala assai ridotta bisogna riferirsi su scala mondiale a ben più vaste situazioni che possono ritrovarsi tra i popoli coloniali dell'Africa e dell'Asia. Il comunismo orgolese presenta singolari identità con ìl comunismo di quei paesi coloniali.
Ciò che crea un terreno « naturale » per il comunismo in Orgosolo é costituito, innanzitutto, da due particolari condizioni:
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1) La prima é una situazione economica comune, per es., in alcune zone e popolazioni africane: l'economia locale é basata sul comune uso del pascolo. La proprietà privata, oltre che veramente estranea, é estremamente nociva alla vita del paese. L'antica abitudine al pascolo comune, il patriarcale « comunismo » (e tale é infatti l'antico termine locale) é lo sfondo per il moderno comunismo :
Tottu dipende dae sa facenda
de non esser comune sa sienda (1).
E ancora:
Podimus sas delizias antigas
nos cherinde in su mundu gosare?
Basta per?) in comune lascare
terrinos e produttos e fatigas (2).
2) Probabilmente non esiste in tutt'Europa popolo che, come quello orgolese, per millenni abbia sofferto l'oppressione e non abbia potuto parlare. Il popolo orgolese é simile al popolo ebraico. Ma se per l'ebreo il « volto di dio » é comparso or è 5000 anni fa, per l'orgolese un « volto di dio » é comparso solo oggi, dopo 5000 anni. Il comunismo per la prima volta dà all'orgolese la possibilità, in una comunità di interessi con milioni di uomini, di parlare, di farsi conoscere, di esprimere il proprio dolore nella storia. L'orgolese oggi vuole entrare nella storia non solo nel senso di impadronirsi dello Stato, di mutare la situazione, ma in quello più semplice che il proprio dolore privato non si consumi più nel buio dell'individuo: si faccia noto, comune, acquisti carattere pubblico. « Dite che noi pure orgolesi siamo uomini. Dite che noi pure orgolesi siamo uomini sventurati », dicono a tutti continuamente gli orgolesi. E la coscienza di un paese che si risveglia, che entra nel mondo. E per la prima volta davvero l'orgolese entra nel mondo. Il comunismo gli fa conoscere se stesso come uomo, gli fa conoscere che la sua condizione umana é comune a quella di milioni di uomini come lui. I suoi problemi non sono più problemi soltanto locali, ma mondiali. E sa che esistono altri uomini come lui, suoi simili, suoi amici. Cum panzu, cum panzu (Compagno, compagno) suona questo nome sulla bocca del
(1) Tutto dipende dalla faccenda / che non sono comuni i beni.
(2) Possiamo le delizie antiche / noi volendo nel mondo godere? / Basta in comune lasciare / terreni e prodotti e lavoro.
S'r
FRANCO CAGNETTA
l'orgolese come anticamente doveva suonare fratello sulla bocca del cristiano. Il cristianesimo non ha più questo suono, non libera. Al contrario! Il cristianesimo è il prete, il prete che benedice lo Stato. E l'antica millenaria aspirazione alla fine dell'oppressione, alla giustizia, all'eguaglianza, al mondo migliore l'orgolese non la trova più nel cristianesimo, la trova nel comunismo. Il comunismo é la Speranza.
Per queste due condizioni, assai profonde, quasi tutto il paese di Orgosolo, uomini e donne, bambini e vecchi, si professano « comunisti »; quasi tutto il paese è « propenso » al comunismo.
I maggiori stimoli al comunismo, ad uno sforzo verso il comunismo, ad una organizzazione, vengono poi, in verità, soprattutto dallo Stato. Il generale operato dello Stato é la più profonda propaganda al comunismo. E lo Stato lo crea poi, per es., in particolare con due vere e proprie « scuole di comunismo » che sono la leva militare ed il carcere e il confino.
L'importanza della leva, della vita militare per la formazione di un ambiente di simpatia al comunismo è di molta importanza. Per avere interrogato i « primi » comunisti orgolesi in ordine di tempo e diecine e diecine di comunisti orgolesi posso dire che la prima cognizione di idee comuniste e la prima « cosciente » formazione comunista é avvenuta (e ancora avviene) attraverso l'esercito italiano. Trasportato per la prima volta in una vita « collettiva » più moderna, a contatto con soldati più evoluti, per es., emiliani; in un ambiente che per ottusità di ufficiali costituisce quasi sempre un moderno « proletariato » militare, il pastore di Orgosolo dischiude gli occhi, si fa una prima « coscienza » comunista. Dar() qui, per es., alcune lettere di militari orgolesi che comprovano quanto scrivo. Esse sono state scelte da me casualmente e la raccolta che ne ho potrebbe costituire un volume:
« Caro compare, sono passati dodici mesi che non ci incontriamo. Niente gregge, niente famiglia. Mi trovo a fare il mercenario. Mi piace girare, vedere, ho conosciuto tanta gente nuova, tutto diverso dal paese. Ma se devo dire la verità non mi trovo contento della vita militare. Poche le razioni. Troppi i comandi:
gustos pusillanimos crettinos
pacciardianos, viles iscelbinos (3)
(3) Questi pusillanimi cretini / pacciardiani e vili scelbini.
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ci proibiscono di leggere libri e giornali. Qui siamo 500 reclute. In ogni camerata si f[...]

[...]vo contento della vita militare. Poche le razioni. Troppi i comandi:
gustos pusillanimos crettinos
pacciardianos, viles iscelbinos (3)
(3) Questi pusillanimi cretini / pacciardiani e vili scelbini.
INCHIESTA SU ORGOSOLO 221
ci proibiscono di leggere libri e giornali. Qui siamo 500 reclute. In ogni camerata si fa politica. A me non manca questo conforto. Andiamo alle Federazioni Comunista e Socialista. Abbiamo strappati tanti giovani all'Azione beghina. Mi sento comunista e sono riuscito a far sentire così 5 ragazze. Mi prego il giorno che verrà il trionfo ».
« Caro compare, la tua lettera mi rese felice. Sai bene che siccome ero alle dipendenze dei propri genitori non sentivo personalmente il bisogno di abbattere la D. C. perché non sentivo il proprio usurpamento. Ma oggi si che mi sento questo dovere e l'obbligo di distruggere queste leggi al colmo di disordini e tirannie. Io pensare che dopo nove mesi di sacrifici e di tirannia sporca ho chiesto visita per la prima volta. Quando andai al « Signor ,> tenente medico dopo avergli detto che avevo febbre mi rispose: sai che si chiede visita 24 ore prima di morire, perché io non riconosco malati che non sputano almeno un litro di sangue in mia presenza. Non mi adirai : sarebbe stato peggio. Ma intanto da ora, come mi hanno detto certi bolognesi : viva sa bandera comunista e tottu cantu sa Russia intera. Pro aver votadu su clericalista nos tratana cun pessima manera. Viva viva il comunismo ».
Altra scuola di « comunismo » il carcere, il confino. Anche qui la concentrazione, lo scambio con altri uomini, l'incontro con «politici », le condizioni particolari di « proletariato » carcerario e confinario creano le condizioni per la formazione di una coscienza « I`omunista ». E singolare osservare, per es., che il carcere di Nuoro persino per molte donne di Orgosolo costituisce la sola « scuola » moderna, la scuola « comunista » che offre loro lo Stato : molte donne escono dal paese solo per venire a colloquio con famigliari detenuti: prima non hanno visto mai niente oltre il loro paese. Il viaggio, l'incontro con un nuovo mondo, qualche discorso sentito e fatto furtivamente le fanno « moderne, comuniste ».
Per avere, per es., un'idea del rapporto di ingenuo proselitismo al comunismo che si instaura tra confinati e famigliari, riporto qui di seguito alcune lettere anche queste scelte a caso tra molte e che, con pochi squarci sono di per sé esemplari :
1) « Cara sorella, rispondo con ritardo alla tua. Siamo qui circondati dall'oceano, nell'isola di dolore, ossia "confino". Molti sono comunisti e pensano bene. Io comincio a vedere ».
2) « Compare carissimo, il 30 luglio o ricevuto la vostra adorabile letterina e sono contentissimo. Vi faccio sapere delle novità del paese
ZZZ FRANCO CAGNETTA
che hanno ammazzato a ziu P. gli hanno ammazzato 210 pecore ed hanno arrestato il servo C. poi due buoi mancati a ziu M. poi hanno ammazzato a ziu V. e gli hanno tagliato la gola, un orecchio bucato, gli occhi e poi hanno fatto un conflitto su territorio Gavoi il quale sono restati R. ed hanno ferito e arrestato T. Io vi prego di non dire che per voi non dobbiamo lasciare la rabbia. No e poi no. Che siete condannati innocentissimamente pro su confinu. Vi assicuro che qui tutti adirati siete adorati come un santo, assai piú. Sono per questo tutti diventando contro all'iungiustizia, insomma[...]

[...]rati siete adorati come un santo, assai piú. Sono per questo tutti diventando contro all'iungiustizia, insomma, come sapete, comunisti ».
3) « Caro, non credere che siete mai dimenticati. E solo il dolore di pensarvi. Che in voi tutti troviamo ora compagni i più fedeli. Quando penso alle lunghe conversazioni che facevano. Discorsi di pace, di libertà. Si chiedeva libertà e ci hanno dato galera, si chiedeva lavoro e ci hanno dato l'ozio. Chi era nemico dei banditi lo hanno arrestato, quelli che dovevano combattere i banditi! Il vostro arresto ha sbalordito la popolazione che é offesa e indignata. C'è ingiustizia. In paese. Qui hanno aperto lavoro e poi l'hanno chiuso. Si é lavorato non più di 10 giorni. Saluta i compagni di sventura. Coraggio, coraggio, indimenticabile compagno ».
4) « Caro figlio, chi ti ha potuto vedere così? Caro, ti auguro che nessuna cosa al mondo potrà deviare il tuo ideale diventato comunista, che stai lottando per il nostro bene comune, di oppressi. Anche tu sarai. al corrente della situazione politica. Sarai più forte. Hai capito? I tempi cambieranno : cambieranno le cose. O maledetto il confino. Maledetti, maledetti quelli che fanno piangere noi mamme, distruggono le famiglie ».
5) « Ustica... Ogni confinato due comunisti. Ogni comunista due possibilità di meno per il confino ».
Posseggo diecine di ricevute di vaglia da 100, 500, 1000 lire inviate per aiuto e per solidarietà da parenti ed amici orgolesi ai confinati. Nelle comunicazioni del mittente leggo scritto sempre, o quasi sempre, intramezzate a saluti, frasi come : « Abbasso il confino e viva il comunismo. Viva Russia e abbasso d. c. ».
Il comunismo è — é evidente — un fenomeno culturale. Quali erano le condizioni culturali del paese che permettevano l'ingresso e lo stabilizzarsi di una cultura comunista ?
L'incapacità ad intendere l'italiano assai diffusa; l'incapacità a leggere e scrivere quasi generale.
INCHIESTA SU ORGOSOLO 223
La frattura tra l'orgolese e l'intellettuale sardo « tradizionale » incolmabile. Generalmente l'intellettuale apertamente e coscientemente schierato contro il pastore e il contadino, l'ideologo del proprietario terriero, dell'industriale, dello Stato é « figura » meno diffusa in Sardegna che in continente: non esiste, o quasi nell'isola un forte strato ed una forte organizzazione di questi intellettuali. L'intellettuale sardo proviene, generalmente, dalle classi medie. Per ragioni di millenario dominio « straniero » queste non hanno mai avuto (e non hanno) la possibilità di farsi una vera e propria consistenza economica, una forte spina dorsale economica; sono sempre in pericolo di ritornare alle condizioni dei pastori e dei contadini. Non esistono pertanto le condizioni stesse perché l'intellettuale abbia una vera e propria consistenza culturale, una forte spina dorsale culturale che li distacchi e li ponga, apertamente e coscientemente, contro il pastore e il contadino. Ma l'intellettuale sardo delle classi medie — l'intellett[...]

[...]n esistono pertanto le condizioni stesse perché l'intellettuale abbia una vera e propria consistenza culturale, una forte spina dorsale culturale che li distacchi e li ponga, apertamente e coscientemente, contro il pastore e il contadino. Ma l'intellettuale sardo delle classi medie — l'intellettuale « tradizionale » — é una tragica figura di intellettuale coloniale. Tenuto dallo Stato italiano in condizioni di suddito, di subalterno coloniale, generalmente egli é affetto da un complesso di inferiorità coloniale e da un conseguente risentito, e mal inteso, amore per la sua terra. Egli é « geloso » dei problemi locali, li nasconde per sospetto o per orgoglio al « continentale », li rimugina soltanto in sé. Proveniente dalle classi medie, da classi instabili, in crisi, un forte complesso di evasione (fuggire in continente!) lo assale di continuo, e si alterna con il desiderio, e l'impotenza, di non uscire dalla propria terra. Egli cerca di mettersi a paro con la cultura del continente, egli conosce e rimugina le più astruse teorie del continente, ma con questo va sempre più perdendo contatto con la sua terra, non sa più che cosa sono i pastori e i contadini. Contenuto provinciale e forma cosmopolita sono la fisionomia più comune dell'intellettuale sardo « tradizionale ». E questa fisionomia, rivelatrice di una crisi profonda, per la stessa debole costituzione di questo intellettuale, non si rivolta (come dovrebbe) contro lo Stato — se non con proteste platoniche — ma, generalmente, contro il proprio stesso popolo. Trovando base nella propria origine di classe, questo intellettuale riversa la propria inferiorità non sullo Stato ma sul pastore e il contadino : lo studente, il giornalista si fa l'ideologo dei nemici del pastore e contadino, l'avvocato pensa solo a fare affari sul pastore, sul contadino. Se uno di questi intellettuali riesce, come avviene qualche volta, ad entrare nello Stato, da militare, maestro, magistrato, funzionario ecc.
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diviene il più fedele esecutore di questo e il nemico piú crudele del pastore e del contadino. Non é in questo, certamente, che il pastore e il contadino può trovare la sua guida. Il sospetto, il disprezzo verso l'intellettuale (abitualmente non espresso apertamente, se non nei momenti critici) é l'aspetto piú profondo di questa incolmabile divisione.
La cultura comunista non poteva trovare perciò altra via (una via non « sospetta », una via « genuina ») se non attraverso le ferme culturali proprie e tradizionali del pastore e del contadino. E una via la ha trovata soprattutto, e la trova tuttora, nella antica forma culturale di su tenore.
Abbiamo visto esattamente che cosa, per l'aspetto « formale » é su tenore (4); indicheremo ora, in breve la sua funzione di moderno « formatore » o « organizzatore » di cultura.
È singolare osservare, per es., che questo antico, millenario strumento culturale é divenuto la forma più larga, piú profonda di propaganda del comunismo in Orgosolo. Diecine e diecine di giovani, di anziani, di donne, di ragazzi devono a su tenore le loro prime e le loro più entusiastiche, più vaste conoscenze del comunismo. Per questo aspetto su tenore é uno strumento o una organizzazione culturale che trova paragone in analoghe forme locali popolari usate ampiamente, per es., nella Cina comunista, e che per ragioni di analfabetismo generale, di dialetto, e cosí via, sono le sole vie accessibili ad i più larghi strati popolari.
Esisteva già una produzione culturale poetica, cantata attraverso su tenore, di netta impostazione socialista e largamente conosciuta. Il fascismo la aveva combattuta ed impedita persino attraverso « circolari ». Poeti operai (minatori di Iglesias) o artigiani, popolarissimi, idolatrati avevano sviluppato le prime rudimentali, chiare, cognizioni « socialiste ». I piú noti (e su questi mi propongo di pubblicare un saggio intero) erano, per es., il minatore Salvatore Poddighe di Dualchi (18711938), autore del poemetto «Sa mundana cummedia »; e lo scrivano Peppino Mereu di Tonara (18721895) autore di « Poesie sarde ». Questi poeti sono i principali che, con grande originalità, abbiano svilupp[...]

[...]idolatrati avevano sviluppato le prime rudimentali, chiare, cognizioni « socialiste ». I piú noti (e su questi mi propongo di pubblicare un saggio intero) erano, per es., il minatore Salvatore Poddighe di Dualchi (18711938), autore del poemetto «Sa mundana cummedia »; e lo scrivano Peppino Mereu di Tonara (18721895) autore di « Poesie sarde ». Questi poeti sono i principali che, con grande originalità, abbiano sviluppato una critica politica dei nemici dei pastori e dei contadini (il proprietario terriero, il prete, l'industriale ecc.) e che abbiano sviluppato una intensa propaganda di un « avvenire » socialista. Mi limito
(4) Cfr. pp. 7779.
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qui ad indicare, dapprima, per es., come sia stata messa in evidenza da Poddighe la funzione base, e di guida, dell'operaio nella società modérna :
Su veru Cristu est su lavorante
ch'in d'ogni tempus su mundu at redentu
dende pane alloggiu e vestimentu
de sa terra a d'ogn'essere abitante.
Cuddu ch'est mortu in rughe agonizzante
affirmu pro produ esperimentu
chi sende mortu in sa rughe meravadu
non podet haer su mundu salvadu
Sende mortu in sa rughe crocifissi) cuddu Cristu giamadu redentore non podet de su mundu salvadore esser ça mancu salvadu s'est issu.
Salvat su mundu tribagliende fissu s'artistu, su massaiu, su pastore pro chi produet in d'ogni annu agrariu candu a s'umanidade est necessariu.
Sos artigianos biddas e cittades hana costruttu, istradas e pontes non sunu cristos, marchesis nen contes ch'an tri[...]

[...]
de sa terra a d'ogn'essere abitante.
Cuddu ch'est mortu in rughe agonizzante
affirmu pro produ esperimentu
chi sende mortu in sa rughe meravadu
non podet haer su mundu salvadu
Sende mortu in sa rughe crocifissi) cuddu Cristu giamadu redentore non podet de su mundu salvadore esser ça mancu salvadu s'est issu.
Salvat su mundu tribagliende fissu s'artistu, su massaiu, su pastore pro chi produet in d'ogni annu agrariu candu a s'umanidade est necessariu.
Sos artigianos biddas e cittades hana costruttu, istradas e pontes non sunu cristos, marchesis nen contes ch'an tribagliadu in tottu sas etades. Lughes de gas e d'elettrizitade acquedottos, pottabiles fontes han pro s'artigianos mottu e vida d'ogni bidda e cittade costruida.
Cuncertos musicales, mandolinos
cinemas e teatros e cantores
ristorantes, cunfettos e licores
passizadas e pubblicos zardinos
sigaros, sigarettas e luminos
festas, fieras, caddos curridores
siat tantu de mente che de manos
opera tott'est 'e sos artigianos.
Carrozzas, automobiles, tranvias
bastimentos, piroscafos navales
telegrafos, cun postas e giornales
macchinismos, veloces ferrovias
incisiones e fottografias
casteddos, monumentos eternales cant'in su mundu d'art'esistit tottu fattu at su veru cristu non connottu (5).
Un aspetto assai importante di questa produzione poetica popolare è per es. lo lotta contro la religione e contro i preti individuati per alleati degli oppressori e come il più forte strumento di oppressione culturale sui pastori e contadini. Chi pensi al sardo come ad un uomo religioso (ed è questo il cliché diffuso ampiamente in Italia) si inganna profondamente. Il fondo del sardo è un fondo sano, naturale, attaccato al mondo minerale, vegetale, animale, che repelle da ogni manifestazione transumana, di isteria. Il sardo è naturalmente terreno, naturalmente poco religioso. La religione ed i preti, sono visti come umani, terreni. Canta Poddighe:
Sa religione est una miniera
pro Papas, Munsegnores e Vicarios
sos Santos sunu tottu impresarios
ch'in d'un'arte, ch'in d'una carriera
O populu ignorante cunsidera
ite fruttu ti dan sos santuarios
Non bides Santos, Madonnas e Cristos
ch'est unu isfruttamentu a sos artistos? (6).
(5) Il vero Cristo è il lavoratore / che in ogni tempo il mondo ha redento / dando pane alloggio e vestimento / della terra ad ogni essere abitante / Quello che è morto in croce agonizzante / affermo con prode esperimento / che essendo morto in croce meravigliato / non può avere il mondo salvato.
Essendo morto in croce crocifisso / quel Cristo cosiddetto redentore / non può del mondo salvatore esser / perché nemmeno ha salvato se stesso. / Salva il mondo lavorando sempre / l'operaio, il contadino, il pastore / perché produce in ogni anno agrario / quanto all'umanità è necessario.
Gli operai paesi e città / hanno costruito, strade e ponti / non sono cristi, marchesi conti / che hanno lavorato in tutte le eta / Luci di gas e di elettricità / acquedotti, potabili fonti / hanno per gli operai parola e vita / in ogni paese e città costruiti.
Concerti musicali, mandolini / cinema e teatri e cantori / ristoranti, confetti e liquori / passeggiate e pubblici giardini / sigari, sigarette e fiammiferi / feste, fiere, cavalli corridori / sia di mente che di mano / sono tutti opera degli operai.
Carrozze, automobili, tranvie / bastimenti, piroscafi navali / telegrafi, con poste e giornali / macchinismi, veloci ferrovie / incisioni e fotografie / castelli monumenti eterni / quanto nel mondo di arte esiste, tutto / fatto ha il vero Cristo sconosciuto.
(6) La religione è una miniera / per Papi, Monsignori e Vicari / i Santi sono tutti impresari / chi con un'arte chi con una carriera. / O popolo ignorante considera / quale frutto ti danno i santuari. / Non vedi che Santi, Madonne e Cristi / sono uno sfruttamento degli operai?
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In Orgosolo l'influenza della religione attraverso l'opera del clero, sviluppata come si é visto dal 1600 (11 chiese attualmente, ma altre 12 chiese già scomparse) non ha attecchito nell'animo popolare. Orgosolo è il sólo paese, o quasi il solo iñ Italia, che si sia sottratto alla influenza cattolica (e vedremo con quali buoni risultati per il carattere). Una forte penetrazione cattolica esiste certamente tra le donne dette beghinas o basamattones (beghine e baciamattoni). Ma questa é avvenuta soltanto in quanto il prete si é .dovuto trasformare quasi in stregone, inventare leggende, di fiamme e di vampe, di terrori (i figli dei comunisti nascono con la coda) mescolare la più profonda superstizione pagana alla cultura cattolica. Il prete peró, pur da quelle povere donne é considerato un uomo come gli altri, che mangia, che fa affari, che fa figli ecc. Il numero delle donne « spretate » cresce sempre in Orgosolo. Ho avuto occasione di parlare con l'attuale parroco di Orgosolo (un estraneo per la maggioranza del paese) e si è lamentato del de serto che gli hanno fatto attorno i pastori, i contadini: lo frequentano . solo i signorotti, i carabinieri e poliziotti : « Prigione, confino, ma che sia dato con amore cristiano » mi diceva. Quello che pensano qui dei preti in generale risulta da una poesia di Peppino Mereu, molto popolare in Orgosolo, bruciata molte volte e proibita dalla polizia e che ha per titolo « Anima niedda » (anima nera). È una poesia lunghissima che non posso qui, purtroppo, riportare integralmente. Ne dò, per averne un'idea, l'inizio e la fine:
D'anima venale trista e vile
chi de d'ogni peccadu ses reu
tue giughes de Giuda su vadile ecc.
...non bides cantu e fea l'asa
non t'amentas de sas figas e de sos zafios
sos chi vae oe lu denegar crae
varas a dare pane a su mischinu
tenis trigu a muntone e non de dasa
vile basamattone, assassinu (7).
(7) Di anima venale e trista e vile / che di ogni peccato sei reo / tu hai di Giuda la faccia ecc. / ...non vedi quanto brutta e brutta l'hai / non ti ricordi le fiche e gli sberleffi. / Quello che affermi oggi domani lo neghi / dici che dai pane al povero / tieni grano a mucchi e non lo dai / vile baciamattoni, assassino.
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Su tenore — e questo su tenore — si canta da mane a sera. La memoria degli orgolesi per queste poesie è di ferro, primitiva. Pochi sono i « libretti », consunti, odorosi di pecora. L'abitudine a cantare ha creato una schiera, una larghissima schiera di nuovi « poeti », di improvvisatori. Una raccolta delle loro poesiedocumenti di grandissimo interesse (e ne posseggo una larga raccolta registrata) darebbe un quadro, vivacissimo, della cultura popolare del paese.
In questo ambiente di preparazione « naturale » al comunismo si é innestata ora l'opera della vera e propria organizzazione politica. La Federazione di Nuoro del P. C. I. é una federazione forte e ben organizzata, composta di sardi intelligenti, sensibili, preparati ai loro problemi, coraggiosi, e, buoni conoscitori dei problemi di Orgosolo. È interessante notare — ed è un dato indicativo che la sua vera possibilità di azione e di successo in Orgosolo, la possibilità di creare una sua organizzazione locale le si è aperta solo dopo le elezioni politiche del 1948: quando cioè il P. C. I., uscito dalla coalizione governativa con la D. C., è divenuto « il partito dell'opposizione », il partito che si batte contro i governi di classe cioè lo Stato ». La Federazione di Nuoro del P. C. I. con una azione ben condotta di propaganda, di contatti, è riuscita a mettere in evidenza in Orgosolo i legami che ha il proletariato pastorale e tutto il paese con il movimento nazionale e internazionale degli operai, dei contadini, degli intellettuali; ha sviluppato in difesa di Orgosolo una campagna contro i soprusi statali, polizieschi e burocratici; ha sottolineato la necessità di pace, di abbandono del terrorismo individuale, dei delitti ecc. e la improrogabile necessità (perché questo si ottenga) che vi sia lavoro, progresso economico, trasformazione della struttura del paese nel quadro della lotta per l'Autonomia e la Rinascita di tutta la Sardegna (8). Questa azione è stata determinante nella formazione di « intellettuali » comunisti, di « dirigenti politici » comunisti locali.
Ma non si deve intendere questa azione come una azione venuta dall'esterno, una azione di « importazione ». Essa è stata « possibile »: è stata soltanto — e soprattutto — un approfondimento, un inquadramento della azione sviluppata immediatamente, direttamente da comunisti locali. L'intellettuale ed il dirigente politico comunista orgolese formatosi in paese da dopo l'ultima guerra è degno di attenzione: egli
(8) cfr. il discorso di P. Togliatti tenuto a Cagliari il 25 aprile 1947 per il 10° anniversario della morte di A. Gramsci.
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presenta singolari identità con gli intellettuali ed i dirigenti politici comunisti dei paesi coloniali.
L'intellettuale, il dirigente politico comunista — per le condizioni generali di analfabetismo, di anarchia — trova qui, naturalmente, maggiori difficoltà, limitazioni, pericoli per una sua formazione : é portato ad una formazione comunista « imperfetta », ad una tendenza all'« anarchia ». Ma, al tempo stesso — per una concomitanza di circostanze favorevoli — egli trova la possibilità di avere un carattere particolarmente forte, una convinzione ben radicata e sempre più ribadita dai fatti, la possibilità di agire con il consenso generale, di diventare veramente l'avanguardia di tutto il paese. L'intellettuale ed il dirigente politico comunista in Orgosolo é popolare. Di contro a lui si leva la figura dell'intellettuale e dirigente politico avverso — d. c.: del partito « dei signori » — che non gode credito ma discredito tra la maggioranza del paese. Quello che agevola (e rende particolarmente interessante) la figura dell'intellettuale e del dirigente politico comunista locale é la somma delle qualità positive che gli discendono dall'antica storia del paese.
.L'orgolese é un uomo dal carattere di ferro. Per migliaia di an[...]

[...]ma delle qualità positive che gli discendono dall'antica storia del paese.
.L'orgolese é un uomo dal carattere di ferro. Per migliaia di anni egli ha lottato con lo Stato e non é stato conquistato : mai reso servo, avvilito. Il carattere dell'orgolese non é servile, stanco, come quello del popolano di altri paesi d'Italia, combattuto dallo Stato ma da millenni conquistato, e così asservito, reso fiacco. In Italia, questa é la regola. La corruzione « civile o statale » del carattere é il fondo dell'italiano: un popolo che da millenni ha subito la civiltà. L'orgolese non ha ricevuto e non ha subito la civiltà.: non conosce ancora corruzione « civile o statale ».
Questo, naturalmente, in certo senso é un limite, poiché non si può prevedere la sua capacità a resistere una volta entrato nella « civiltà », una volta entrato nello « Stato ». Ma per ora, come nei popoli coloniali, ciò consente una riserva di freschezza, di entusiasmo, di forza tra noi del tutto sconosciuta.
Esiste ancora tanta onestà tra questi uomini che é impossibile trovare ormai, credo, in tutt'Italia, se non tra uomini ridotti ad un uguale stato di estraneità dalla società italiana, dalla « civiltà »: operai, contadini ecc. Uomini tutti d'un pezzo, uomini integrali.
Nella conoscenza che il popolano di Orgosolo ha dello Stato, della « civiltà », egli é, in un certo senso, in una situazione privilegiata: egli
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conosce già il « male » della società italiana, ne ha sentito, e pesantemente, il male « da lontano ». E contro questo è un ribelle nato, un ostinato, diffidente, difficile ad ingannare. Egli é un uomo ancora fondamentalmente sano, un uomo fondamentalmente vero.
Ingenuo, ((preistorico))? Sarà! Ma ingenuo e « preistorico » come l'uomo « nuovo » dei popoli coloniali. Noi « cristiani ed europei » non siamo neppure più in grado di capire questo « nuovo » uomo. La storia: — come essa si sta preoccupando di dimostrare — non é più per? di noi « cristiani ed europei »: é di questi uomini ingenui e « preistorici », dell'uomo « nuovo » dei popoli coloniali.
Quello che mi aveva colpito particolarmente nel contatto con questi uomini nuovi, con quei « preistorici » comunisti di Orgosolo era la capacità di una vita, di una naturalità tra noi persino dimenticata, sconosciuta. Se pensavo agli intellettuali, ai dirigenti politici a cui siamo abituati, era un confronto umiliante, ma al tempo stesso rigeneratore.
Tornavo a credere all'uomo nuovo, all'uomo ancora vivo.
Erano ex pastori divenuti proletari, contadini divenuti braccianti, artigiani in rovina. Figure magnifiche, antichissime e moderne. Pare incredibile che in tosi breve tempo l'antico uomo di Orgosolo, l'orgolese «arretrato» abbia potuto produrre in sé l'uomo nuovo di Orgosolo, l'orgolese moderno. Erano uomini che abitavano il loro paese, affondati da generazioni con le radici, interessati al paese: non gente di passaggio, distratta, di interessi passeggeri. Uomini impegnati naturalmente, impegnati con tutto se stessi. Niente era in loro più estraneo dello spettacolo, del dilettantismo, dell'esibizione, di questo male italiano che è il segno profondo di una più profonda malattia. La dignità, una antica dignità, era la principale, la più visibile qualità di questi uomini. Una dignità che traspariva da ogni gesto, da ogni parola, da ogni azione.
I loro problemi erano veri problemi, le loro credenze vere credenze, le loro parole vere parole. Parlavano poco, con voce sicura, con gesti gravi e lenti, con linguaggio secco e vivace, limitato solo a dire molto in breve : l'essenziale. Non miravano a farsi compatire o ammirare, a dare o a prendere lezioni; miravano solo ad approfondire le loro conoscenze, a trovare un modo per agire più seriamente, per trasformare. Si stava con loro con tranquillità, con fare spontaneo, sincero : la comunicazione si rendeva umana, profonda, vitale. Se non avevano voglia di parlare stavano a lungo in silen[...]

[...]veri problemi, le loro credenze vere credenze, le loro parole vere parole. Parlavano poco, con voce sicura, con gesti gravi e lenti, con linguaggio secco e vivace, limitato solo a dire molto in breve : l'essenziale. Non miravano a farsi compatire o ammirare, a dare o a prendere lezioni; miravano solo ad approfondire le loro conoscenze, a trovare un modo per agire più seriamente, per trasformare. Si stava con loro con tranquillità, con fare spontaneo, sincero : la comunicazione si rendeva umana, profonda, vitale. Se non avevano voglia di parlare stavano a lungo in silenzio, tranquilli. Era
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anche quello un modo di stare insieme, solidale. L'intellettuale sempre intento a monologare, a esternare intimismi, li avrebbe trovati, probabilmente, di modi poco elaborati, quasi impacciati. Erano invece soltanto educati, profondamente educati, con un controllo che si può trovare soltanto tra le popolazioni borghesi più evolute, per es. gli inglesi.
Le loro conoscenze a prima vista sembravano ancora rozze, limitate. Ma bastava parlare con loro, sent[...]

[...]abilmente, di modi poco elaborati, quasi impacciati. Erano invece soltanto educati, profondamente educati, con un controllo che si può trovare soltanto tra le popolazioni borghesi più evolute, per es. gli inglesi.
Le loro conoscenze a prima vista sembravano ancora rozze, limitate. Ma bastava parlare con loro, sentire parlare per rendersi conto come fossero informati, e informati sino allo scrupolo, dei loro problemi di pastori, di contadini, in nesso ai nostri maggiori, ai più gravi problemi. Un fondo culturale di reale, di profondo sapere. La volontà tenace ma non lamentosa di apprendere, di sapere si univa ad un'ansia, ad una sete, per tutto ciò che era moderno. Uomini antichi, tenacemente, radicalmente affondati nella loro terra, ma tutti . protesi al moderno, tenacemente, radicalmente portati ad una trasformazione. Una gente che voleva il lavoro, voleva lavorare. Ed al lavoro l'orgolese é abituato da millenni: é un lavoratore fortissimo, tenace, primitivo.
La loro intelligenza, frutto della loro storia secolare, era poi una intelligenza acutissima, violenta, ma raffinata ed equilibrata. Per riportare i risentimenti e le reazioni ad una ragionevole misura subentra sempre nell'orgolese un umorismo popolare. Questo direi è il motivo chiave della intelligenza orgolese. Non è mai il riso meridionale che istrioneggia, l'allegria che é un'evasione servile, uno sfogo. È un'allegria che si disperde nella tragicità: un riso amaro, schernitore, a volte feroce. Usato nei vari contrasti di classe dei poveri contro i ricchi diventa un'arma e nella conversazione popolare, nella poesia, é una considerazione ironica sulla propria sorte sfortunata o una bellicosa satira sociale e politica. Tornava in me parlando con l'orgolese, la vera figura di Socrate — l'ironia della catarsi — non il Socrate sofisticato, il Socrate dei professori, bensì il Socrate dei greci, il Socrate dei pastori.
E sono diecine, centinaia questi uomini « nuovi ». Dovrei citarli tutti, uno per uno. I fratelli Marotto, Peppino, Pasquale, Salvatore; Alberto Goddi, barbiere; Giovanni Menrteas, calzolaio; Giovanni Antonio Brotzu, Francesco e Giovanni Grissantu, Mario Battasi, Bore Piras, braccianti, e tanti altri. E non solo uomini ma donne, Carolina Marotto, Marianronia Fogu, e tante altre. Queste donne che con la loro riserbata dignità, con il loro dolore, con la loro dura fermezza eli fare sono il segno profondo di un mondo nuovo che si affaccia.
Dallo scambio, dal contatto reciproco nel paese — non solo dei 400
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comunisti locali e delle loro famiglie — ma di tutto il paese é sorta una nuova vita associativa politica, moderna. Ne rimangono fuori solo pochi studenti, impiegati, signorotti. I problemi della pace di Orgosolo, dell'abbandono del terrorismo, del banditismo; i problemi della trasformazione del paese, della fine della disoccupazione, del lavoro; i problemi della cultura individuale, della diffusione della cultura, sono i problemi di ogni giorno per cui si battono con tenacia infinita.
Indicherò qui soltanto alcuni frammenti esemplari e singolari di questa vita. La sua ricchezza ed il suo movimento sono tali che per conoscerla bisogna andare di persona, a vedere, a sentire.
Grande, forte (nei limiti delle possibilità del paese) lo sforzo allo studio individuale e allo studio collettivo. Si comincia, per la prima volta, a leggere giornali, libri, in Orgosolo, anche se si tratta di una copia che circola per diecine di mani. L'italiano — e questo é fenomeno assai importante — comincia sempre più a divenire linguaggio popolare. In italiano si scrivono le lettere, in italiano si fanno i « comizi » per es. E persino nella poesia per la prima volta é sorta, in italiano, una produzione popolare. Ecco, per es., ben conosciuta in Orgosolo una:
CANZONE STORICA E POLITICA
I preti e Scelba o popol stoccafisso
imbroglian tutti col vangelo falso
l'Italia ora la portano all'abbisso
preti governi e papa satanasso.
Si hanno fatti il cuore di sasso
e stanno tutto il giorno alla dispensa.
Il popolino si va lamentando?
per lui c'è solo il mitra e sofferenza.
L'Italia si han mangiato piano piano
e ci han venduti all'americano.
E ancora, per non farcelo vedere,
ci van mettendo dentro le galere.
Il carcerato si va disperando
non c'è nessuno che per lui pensa
Passa la vita sempre lacrimando
ma se ne ride la Grande Eccellenza.
Che ministr[...]

[...]pol stoccafisso
imbroglian tutti col vangelo falso
l'Italia ora la portano all'abbisso
preti governi e papa satanasso.
Si hanno fatti il cuore di sasso
e stanno tutto il giorno alla dispensa.
Il popolino si va lamentando?
per lui c'è solo il mitra e sofferenza.
L'Italia si han mangiato piano piano
e ci han venduti all'americano.
E ancora, per non farcelo vedere,
ci van mettendo dentro le galere.
Il carcerato si va disperando
non c'è nessuno che per lui pensa
Passa la vita sempre lacrimando
ma se ne ride la Grande Eccellenza.
Che ministri di dio e che coscienza!
ora visto lo abbiam con la sperienza:
fra loro non c'è tanta differenza
rr INCHIESTA SU ORGOSOLO 233

preti e borghesi fanno l'alleanza.
Al popolo tortura e penitenza
e calci e arresti e sempre la violenza!
Ma dalla Russia parte l'uragano:
ad ,Orgosolo togliere il Confino!
viene fatto da Stalin il piano
per schiacciare il mostro serpentino.
Cina e Indocina pur con le armi in mano
sono contro il partito papalino
che vuole qui accendere un vulcano
per potere ammazzare il popolino
e rimanere lui come sovrano. Ma per lui la tempesta è vicina non si creda di andare lontano. Insieme col governo americano è una vera figura di Caino: è venuto fin qui con l'areoplano per mitragliarci tutti un bel mattino. Ma Stalin dice: tien la mano che ora metto io lo zampino. Mao tse tung ed il governo cino sono scesi pure a mano a mano per ammazzare il pesce delfino dell'ottava armata americana. Mao disse a Scelba: sei cretino combattere con me speranza vana. E all'America: cedi il tuo bottino se no rimetti la pelle e la lana. La Russia è scesa tutta Partigiana la stessa cosa fece la Cina ora sta[...]

[...]pesce delfino dell'ottava armata americana. Mao disse a Scelba: sei cretino combattere con me speranza vana. E all'America: cedi il tuo bottino se no rimetti la pelle e la lana. La Russia è scesa tutta Partigiana la stessa cosa fece la Cina ora sta la sorte Italiana con la Francia nostra sorellina. S'aspetta solo un suono di campana ed il popolo accenderà la mina: Scelba e America sotto la frana: si è distrutta la razza caina! Scomparsi sono infine dalla vista il gran borghese e l'alto feudalista. Se qualche altro scenderà a duello lo mangeremo a carne di macello. Tremano tutti di falce e martello
o Truman tu sei un vero somarello. E Scelba se non eri pappagallo
234 FRANCO CAGNETTA
non lo mettevi il mondo a bordello.
Il tuo scopo è andato a male
non sarà più tu capo drappello.
Nel mondo sarà Stalin il gallo
capo comandante di battello
e se qualcuno non vuol stare al ballo
da Stalin si fa rompere il cervello.
Il Comunismo l'è il partito bello
il mondo tutto lo deve salvare
sta combattendo proprio per quello
e l'operaio da schiavo levare
perché il mondo cosí l'è un macello
nemmeno Cristo lo poté salvare.
Capitalista, tu uccidi il fratello
e l'operaio si deve rispettare.
Abbasso l'ingiustizia sociale
che regna qui nel mondo universale.
Verrà nel mondo uguaglianza feroce
se no guerra e rivolta sociale.
L'operaio non si tratta male
perché il Comunismo non vuole.
La Legge deve essere uguale
come sono le bimbe nelle scuole.
Essere analfabeta, o quanta male:
è non avere la luce del sole.
Inquisitori, Signori brutali,
sarete uccisi a colpi di pugnale.
Ma altrettanto l'azione pratica, l'organizzazione della lotta e del lavoro ha avuto in Orgosolo già una storia, ed una storia epic,a.
Il 1950, in lotta contro la disoccupazione 300 pastoribraccianti organizzano il primo « sciopero », uno sciopero « a rovescio », la prima « rivoluzione » nel paese. La sua cronaca si può leggere nel vivo racconto del protagonista, Peppino Marotto, di cui pubblico qui alla fine l'autobiografia.
Il 1953 tra i braccianticontadini invece si verifica la prima « rivoluzione ». Novantadue c,ontadini della cooperativa «La popolare », sorta formalmente il 1948 ma inattiva sino al 1950, con sforzo eroico acquistano il 1° novembre 1953 al prezzo di 9 milioni (con contributo) un trattore Ansaldo T. C. 70, il primo mezzo di lavoro meccanico entrato in Orgosolo. Dissodata mediante questo la terra essi lavorano su 120
INCHIESTA SU ORGOSOLO 235
ettari assegnati (80 comunali, 40 privati) ciascuno . coltivando un proprio lotto famigliare, secondo un sistema diffuso in tutta la Sardegna, l'antico sistema del « paberile e vidazzone » e, a raccolto avvenuto, ciascuno paga in[...]

[...] 1950, con sforzo eroico acquistano il 1° novembre 1953 al prezzo di 9 milioni (con contributo) un trattore Ansaldo T. C. 70, il primo mezzo di lavoro meccanico entrato in Orgosolo. Dissodata mediante questo la terra essi lavorano su 120
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ettari assegnati (80 comunali, 40 privati) ciascuno . coltivando un proprio lotto famigliare, secondo un sistema diffuso in tutta la Sardegna, l'antico sistema del « paberile e vidazzone » e, a raccolto avvenuto, ciascuno paga in grano o in denaro (col ricavato della vendita) la sua quota per le spese del trattore, proporzionali al lotto. Il name del trattore è « L'amico di tutti ».
Altro importante episodio, anche nel 1953, la costituzione del comitato paesano « di pacificazione » per por fine alle vendette, al banditismo. La sua storia si può leggere, ancora, nell'autobiografia di Peppino Marotto.
Questa vita associativa politica, moderna, ha un aspetto singolare, interessante, nelle « nuove » feste popolari che si tengono in Orgosolo.
Sono feste di pace, di « liberazione » che ricordano per es. in ambiente ben diverso, naturalmente — le feste « nuove » del popolo cinese. Qui le più antiche manifestazioni « di tribù » si innestano coi significati più moderni. La festa dell'Unità in Orgosolo, per es., — che coincide con la millenaria festa stagionale del 15 agosto — vede spiegarsi un mondo antico e un mondo nuovo. La antica tribù dei « cacciatori » di Orgosolo ritrova la sua nuova vita nella « tribù » dei comunisti.
Uno dei giochi di questa festa, infatti, é un gioco di « caccia », un gioco che rimonta, probabilmente all'antica psiche dei « cacciatori ». Un gallo viene interrato con la sola testa che fuoriesce, ed a turno, bendati e armati di bastone, gli orgolesi si avvicendano nel tentativo di colpirlo. Vi partecipa tutto il paese — non i soli comunisti — e fa cerchio intorno, cercando con urla, con spinte di deviare l'uccisore dal bersaglio. Chi vince, uccidendo la bestia, ne diventa il possessore, e questa viene mangiata li per li, di solito, tra un gruppo di invitati. Il gallo di volta in volta ha spesso un nome: ora é Scelba, ora è Fanfani, ora è Mac Carty, ora Eisenhover.
A questo gioco segue, generalmente, « sa vardia ». E una corsa di cavalli, una staffetta cavalcata. Partendo da un punto fisso un cavaliere, con una bandiera in mano, e a groppa nuda, compie uno, due chilometri come una freccia, e ritorna al punto di partenza. Poco prima che egli arrivi, un altro cavaliere parte a spron battuto e gli va incontro per raccogliere la bandiera che gli é passata al punto fisso. Il gioco si ripete tra il cerchio urlante di tutto il paese, che incita a fischi, a grida : vince chi riesce ad eliminare sino all'ultimo avversario. E la bandiera é la bandiera comunista, o la bandiera della pace.
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[...]o, due chilometri come una freccia, e ritorna al punto di partenza. Poco prima che egli arrivi, un altro cavaliere parte a spron battuto e gli va incontro per raccogliere la bandiera che gli é passata al punto fisso. Il gioco si ripete tra il cerchio urlante di tutto il paese, che incita a fischi, a grida : vince chi riesce ad eliminare sino all'ultimo avversario. E la bandiera é la bandiera comunista, o la bandiera della pace.

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Molti giochi seguono in questa atmosfera tribale : tiro alla fune, pugno di ferro, gare tutte di fisica abilità. Per tutta la durata della festa, da mane a sera, « sos .tenores » tuonano canzoni — canzoni sociali — tra un'ecatombe di agnelli e di pecore squartate, cotte li, all'aperto, tra barili di vino e di birra che non restano mai pieni.
Lo sviluppo del comunismo in Orgosolo, come si vede, acquista forme specialissime : tipicamente « coloniali », non riscontrabili, almeno per intensità, in ogni altro paese d'Italia.
Rimane qui da sottolineare un aspetto fondamentale che riguarda l'atteggiamento « nuovo » del paese nei riguardi del banditismo, cioè del problema più grave, piú immediatamente grave del paese.
L'attività sociale di « liberazione » dei comunisti pare la sola forma volta profondamente alla pace, allo sviluppo della cultura, alla lotta per il lavoro : la sola che non porti al sangue ma combatta il sangue, che combatta la ribellione individuale, il banditismo.
Riporto qui, ad es., due documenti importanti per la storia del paese : l'intervento del calzolaio Giovanni Menneas fatto al congresso della sezione comunista di Orgosolo nell'aprile 1953 ed una lettera del pastore Peppino Marotto, inviata al Maresciallo dei carabinieri di Orgosolo dal confino di Ustica :
1) « Cari compagni, molti di voi sono qui intervenuti sulla necessità di lottare per i pascoli, per un piano di opere pubbliche, per una trasformazione di Orgosolo ecc. Ma una lotta ancora piú importante noi comunisti di Orgosolo dobbiamo condurla nel campo ideologico, e pratico, contro chi non comprende che il banditismo é una via del tutto ingiusta, radicalmente sbagliata, che proviene da una ideologia e da una pratica che noi condanniamo : l'anarchia. Col fucile e coI mitra del bandito non si risolve niente e ci procuriamo tutti sofferenze, galera, confino e umiliazioni. Dobbiamo trasformare la lotta da individuale e sanguinosa in latta civile, pacifica e collettiva. Bisogna che comincino i giovani ad abbandonare qualsiasi spirito di avventura e gli uomini a non cercare nella ribellione individuale la soluzione. La lotta politica è certo più difficile perché non richiede soltanto coraggio ma intelligenza, studio, preparazione, lettura; richiede che noi facciamo respingere da tutti il banditismo e unire tutti invece per la rinascita economica, per la libertà di lottare contro la politica dei veri e grandi banditi della nostra isola e della nostra nazione, per costringerli
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ad attuare il piano di rinascita, per rispettare l'autonomia, per applicare la legge uguale per tutti. Il banditismo provoca sofferenze terribili a tutti e noi siamo contra queste sofferenze. Non è la rivolta anarchica, individuale ma l'applicazione di una politica giusta che ci può salvare. Con i banditi Orgosolo ha pochi amici e molti che ci odiano; con una politica giusta Orgosolo ha milioni di fratelli dalla Fiat ai feudi siciliani, dalla Cina a Berlino. Allora si che potremo vincere la nostra battaglia per la civiltà ».
Ustica
« Egregio Signor Maresciallo,
La prego di scusarmi se con la presente oso disturbarlo. Ma data la sua condizione di Comandante la Stazione di Orgosolo quindi membro di Alta Autorità sento il dovere di fargli la presente dichiarazione. Pregandolo di impegnarsi a revocare l'imposto provvedimento sulla mia persona se vuole avere la fama e l'onore di redimere l'orrore del banditismo. Non solo deve riscattare la mia persona dall'ozio, per vivere, come ho fatto sempre, nel lavoro. Per la mia famiglia. Ma deve anche appoggiare le mie sincere propagazioni di fratellanza umana, di pace, e soprattutto di civile progresso in quella arretrata terra. Si persuada che l'arretratezza civile e morale è la fonte del mal costume ivi esistente. Nessun altra lotta diversa dalla mia servirà a sterminarlo. Lasci il mitra ad arrugginire.
Fiducioso dell'osservanza e ansioso di favorevole esito
con reverenza.
Giuseppe Marotto ».
Eppure contro questi uomini, contro i « comunisti » di Orgosolo
seppure in forma non aperta — lo Stato ha incominciato a svolgere — come nelle colonie — una politica di repressione, di persecuzione. Si cerca di colpire « i capi », gli « intellettuali », i « dirigenti proprio coloro che dovrebbero cioè essere piuttosto incoraggiati, assistiti, se non altro perché sono i soli, in luogo dello Stato, che si battano e facciano qualche cosa per eliminare nel paese la mentalità « propensa » al banditismo, per introdurre praticamente un progresso reale.
L'istituto del confino è lo strumento attraverso il quale sì sviluppa questa politica (ricompare la vera natura « politica », fascista del con
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fino). Di volta in volta col pretesto del « favoreggiamento » di banditi, senza prove, contro tutte le prove, si colpiscono uomini ostili al banditismo che lottano notoriamente contro il banditismo: ad es. Francesco Murgia, segretario della sezione comunista di Orgosolo o Peppino Marotto, segretario della C. d. L. di Orgosolo. E quel che é peggio é che l'azione dello Stato non avviene immediatamente, direttamente per iniziativa di autorità statali : avviene attraverso i nemici « politici » dei paese che inviano denunzie anonime, che organizzano e concordano testimonianze false per coprire il più delle volte la loro abitudine all'antica pratica di banditi, per lasciare il campo aperto al banditismo. Prestandosi a questo gli organi dello Stato italiano si rendono involontari complici del banditismo : combattono l'unica forza che in paese in teoria ed in pratica abbia una aperta, decisa, coraggiosa posizione contro il banditismo.
Non vi é stato un solo discorso di parlamentari e di dirigenti della Federazione di Nuoro ed un solo discorso di dirigenti della sezione comunista di Orgosolo in cui non si sia direttamente criticato e condannato il banditismo: critica e condanna al metodo, al sistema e non declamazione, infierire contro individui singoli sciagurati « banditi », che sono vittime della situazione. In privato e in pubblico, sempre hanno chiarito che la ribellione individuale e sanguinosa non solo non risolve niente ma incancrenisce la situazione. Chiunque si rende conto che i comunisti orgolesi sono oggi i veri nemici della pratica da banditi.
Dó qui di seguito la biografia di un « dirigente » nuovo, Peppin° Marotto che più di ogni altro documento mette in luce questo aspetto « nuovo » della situazione di Orgosolo.
Peppino Marotto, conosciuto da me da tempo, uomo di grande intelligenza, di carattere fortissimo, dotato di qualità di poeta che lo fanno uno dei migliori e più apprezzati poeti orgolesi, é l'esempio di quanto la disposizione « spirituale » di un orgolese, la ricchezza di un uomo orgolese possa essere insidiata, frustata da una società e da un mondo che impediscono più di ogni altro lo sviluppo della personalità.
Costretto alla dura vita del pastore sin dalla più piccola età, obbligato a lasciare presto le scuole, disoccupato, poi militare, arrestato perché comunista e organizzatore dello sciopero di pace, confinato ad Ustica dal 1950 al 1952, organizzatore della « Pace di Orgosolo », nuovamente minacciato di arresto e nuovamente condannato al confino per la sua attività politica, il suo amore costante alla cultu[...]

[...]oblemi. Uomo che ama profondamente la pace (e la cultura é pace, difesa della pace), condannato al confino (1 anno a Castelmauro, prov. di Campobasso), dopo essere stato per breve tempo dogana alla macchia, senza farsi bandito, come molti avrebbero voluto, egli si é ora consegnato civilmente ai suoi persecutori per scontare la ingiusta condanna.
Mi ritengo fortunato di potere per primo pubblicare la biografia di un uomo « nuovo » orgolese.
(9) Nel soggiorno in Orgosolo nella sua casa, io ho avuto occasione di potere con sultare le sue carte, i suoi quaderni. Essi danno un esempio delle difficoltà, della volontà, del coraggio dell'« autodidatta » orgolese. Ecco, ad es., il sommario di un quaderno:
1) Elenco di pronomi, nomi e verbi in italiano.
2) « Parole sconosciute ». Seguono molte pagine (« ostile = nemico; caotico = confuso; avorio = dente di elefante; opportunista = nemico sfavorevole; Golgota = Calvario; rugiada = selene; guisa = modo, maniera; stizza = ira; ecc.).
3) Elenco di nomi, pronomi, verbi in francese e tedesco (per es.: padre = per; madre = mer; Genitori = Le ;paran; nonno = graper; ecc.).
4) Note di geografia (I mari d'Italia, i monti d'Italia, i fiumi d'Italia).
5) Nomi di personaggi mitologci greci e latini (Totefagia, Proserpina, Agenorea, Agerona, Anaideia Antirtide ecc.).
6) Brani di mitologia (Fabulino = dio della parola; Fecondità = aver figli; ecc.).
7) Leopardi. Canto del pastore errante per l'Asia.
8) Poesia sarda di Pittanu Moretti contro i preti.
9) Pagine di diario sulla morte d[...]

[...]; madre = mer; Genitori = Le ;paran; nonno = graper; ecc.).
4) Note di geografia (I mari d'Italia, i monti d'Italia, i fiumi d'Italia).
5) Nomi di personaggi mitologci greci e latini (Totefagia, Proserpina, Agenorea, Agerona, Anaideia Antirtide ecc.).
6) Brani di mitologia (Fabulino = dio della parola; Fecondità = aver figli; ecc.).
7) Leopardi. Canto del pastore errante per l'Asia.
8) Poesia sarda di Pittanu Moretti contro i preti.
9) Pagine di diario sulla morte di sua madre.
10) Poesia sarda (« Lettera ad un amico ossia un compagno scritta dall'esilio »).
11) Appello dall'esilio al paese del banditismo. «Uomini e donne, vecchi e giovani e famiglie, voi che avete visto e tuttora vedete il fiore della gioventù vilmente assassinato, nella via illegale e trascorrere nel più sciagurato tetro della galera, voi che vivete sotto l'incubo di una fratricida guerra perpetua, non destatevi più genuflessi davanti alla Sovrana Potenza. Per liberare i vostri figli dall'esilio e dalla galera — per raggiungere tutti la soppressa meta della libertà, del benessere umano, della pace, voi invoco perché non posso più invocare la mia Mamma che per pena e per dolore mi é morta, mi richiamo alle altre madri, sorelle e spose a stringersi forte attorno alla bandiera del Socialismo ed unite gridare a squarciagola: Lavoro e libertà ».
12) Raccolta di poesie partigiane.
13) « Bolscevico il partito chiamato comunista che instaurò nel 1917 in Russia lo Stato Bello dopo la Rivoluzione. Il Bolscevico sinonimo di ribelle ».
Questo quaderno é intramezzato da disegni, ricalcati a matita, di MaoTzeTung, sotto i quali si legge: «Il Compagno Mao liberatore della nostra schiavitù ».
Trovo anche la lista dei libri letti. Comprendono una serie di manuali e libri tecnici per i lavori agricoli, artigiani ecc. Tra i libri di lettura: 1) Storia del P. C. dell'U.R.S.S.; 2) I Miserabili di V. Hugo; 3) Il rubino d'oro di Alessandro Manzoni (?); 4) La Madre di Gorki; 5) Le Lettere di Gramsci; 6) Il Ponte dei Sospiri di Michele Zevaco; 7) L'Imperialismo di Lenin; 8) Mao Tze Tung. Biografia[...]

[...]letti. Comprendono una serie di manuali e libri tecnici per i lavori agricoli, artigiani ecc. Tra i libri di lettura: 1) Storia del P. C. dell'U.R.S.S.; 2) I Miserabili di V. Hugo; 3) Il rubino d'oro di Alessandro Manzoni (?); 4) La Madre di Gorki; 5) Le Lettere di Gramsci; 6) Il Ponte dei Sospiri di Michele Zevaco; 7) L'Imperialismo di Lenin; 8) Mao Tze Tung. Biografia.
Malte sono le poesie in sardo scritte da Marotto. Mi dolgo qui di non poterne pubblicare alcune, bellissime, e per la lunghezza, e per la difficoltà che comporterebbe il testo per il lettore.



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte prima: I ricordi di Ziu Anzelu Zudeu (Angelo il Giudeo[Angelo Floris]), pastore, cacciatore di tesori in Orgosolo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: 126 FRANCO CAGNETTA
I RICORDI DI ZIU ANZELU ZUDEU (ANGELO IL GIUDEO), PASTORE, CACCIATORE DI TESORI IN ORGOSOLO
Mi chiamo Floris Angelo fu Carlo, nato ad Orgosolo il 1867, pastore. Questo é stato il mio primo mestiere. Ma il mio mestiere prefe rito é stato, e sarebbe ancora, se l'età me lo permettesse, quello di andare a cacciare tesori.
In tutta Orgosolo e campagna, tesori ce ne devono stare: a bizzeffe. Si dice, infatti, che in questo paese la prima popolazione fu Mongola e vi fu capitale con tante ricchezze: un milione di anni prima di Gesù Cristo.
Ci sono qui tante torri dette Nuraghi che sono state abitate dai Signori. E i Signori non possono stare, e tanto meno vivere, senza i tesori.
Ci sono grotticelle dette Domus de janas che devono essere state le case di certe antiche Signore. E come donne e Signore tesori di certo ne devono avere avuti. E pure lasciati nella casa.
Ci sono pietre che sono dette Sepolturas de sos Gigantes. E per esser giganti, di tesori ne devono aver presi ed avuti: se no non si capisce che stavano a fare i giganti.
Anche se il nostro paese é stato sempre povero e misero, per latitanti — grazie alla giustizia — é stato sempre ricco e grandioso. Questi latitanti tesori ne devono avere fatti: e come i peli delle pecore.
Ci devono essere qui monete d'oro e di argento, perle, rubini e diamanti.
In certi libri di storie ho saputo tutto questo. Me li avevano dati a leggere un prete e un soldato che queste cose le cercavano, e pure le sapevano.
In campagna di tanto in tanto si trovano di certe pietre che devono essere preziose se i forestieri se le pigliano e le portano a Cagliari a museo e officina. Si trovano monete di pasta. E vasi di pietra. Ma, con tanti signori, ce ne deve pure essere stato qualcuno che ce li aveva d'oro..
Il tesoro dei ricchi e dei latitanti deve stare sepolto in"qualche parte: grotta, bosco o casa.
Non resta che cercarlo per cambiare condizione.
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Ma prima voglio raccontarvi come era la mia condizione di pastore di Orgosolo, ai tempi miei. E voi direte che è meglio cercare tesori.
Da quando ero nato, io, povero pastore orgolese, più che di uomo ero figlio di bosco e di pecara. In quell'età in cui avevo più bisogno di padre e di madre ero dovuto andare solo, infatti, in bosco; e quando avevo più bisogno di essere curato e nutrito, dovevo invece nutrire e curare qualche pecora che mi dava da mangiare.
Come é orfano e figlio di patrigno e matrigna il pastorello!
Quando era il tempo, il giorno di S. Andrea ossia 10 novembre, sino a S. Dionigi, 25 maggio, bisognava stare straniero in terra e[...]

[...]glio di bosco e di pecara. In quell'età in cui avevo più bisogno di padre e di madre ero dovuto andare solo, infatti, in bosco; e quando avevo più bisogno di essere curato e nutrito, dovevo invece nutrire e curare qualche pecora che mi dava da mangiare.
Come é orfano e figlio di patrigno e matrigna il pastorello!
Quando era il tempo, il giorno di S. Andrea ossia 10 novembre, sino a S. Dionigi, 25 maggio, bisognava stare straniero in terra estranea. Andavo in Baronia, in terra di Nuoro, a territorio di Oristano: lontano per pagare a un signore il volere lavorare, e un poco d'erba.
L'inverno, con il suo crudo si avvicinava. E veniva allora il tempo dei nostri peggiori patimenti.
Pastore, piccolo o grande, andavo scalzo e nudo. Portavo un vestito che adesso descrivo.
Avevo addosso tre o quattro pelli di pecora non conciate, legate a fili, e tenute per un buco ai bracci. Si diceva, sa mastruca. Sopra, un sacco di orbace nero con cappuccio: sa lapitta. Di sotto avevo una camicia bianca — e quando sporca nera — tutta arricciata. E i pant[...]

[...] Nuoro, a territorio di Oristano: lontano per pagare a un signore il volere lavorare, e un poco d'erba.
L'inverno, con il suo crudo si avvicinava. E veniva allora il tempo dei nostri peggiori patimenti.
Pastore, piccolo o grande, andavo scalzo e nudo. Portavo un vestito che adesso descrivo.
Avevo addosso tre o quattro pelli di pecora non conciate, legate a fili, e tenute per un buco ai bracci. Si diceva, sa mastruca. Sopra, un sacco di orbace nero con cappuccio: sa lapitta. Di sotto avevo una camicia bianca — e quando sporca nera — tutta arricciata. E i pantaloni larghi a mezza gamba, bianchi. Mutande niente: non se ne portavano. Ai piedi avevo sas peddes: un pezzo di pelle, la più dura parte di muflone, di cinghiale, di bue, di cavallo — che si teneva sotto i piedi; e una striscia lunga lunga non conciata, di bue, di volpe, di gatto, lo teneva stretto a gamba. I capelli li avevo lunghi a riccioli, a boccoli, a Nazzarena, con pezzi di lardo oppur di olio porcino nella testa. Era contro i pidocchi. Si tagliava solo nel carcere e: Tosau ses era un malaugurio. In testa avevo sa berritta, ossia berretto nero a calze, sardo.
Quando pioveva io tutto mi bagnavo, e non c'era il cambio. Dovevo asciugarmi al fuoco o al sole. E, all'asciugarsi, le pelli al piede non conciate si indurivano e si facevano come ferro, impedendo di camminare, così che bisognava correre al fiume per ammorbidirle.
Mi portavo addosso tutta la casa. E per 200, 300 chilometri, o piú. Letto: per terra. Cuscino: una pietra. Una pelle di pecora o di bue vuota, stretta alle zampe, per portare il latte. Per fare formaggio due
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o tre vasi di sughero: sos malunes. Allora si riscaldava il latte con pietre arroven[...]

[...]on c'era il cambio. Dovevo asciugarmi al fuoco o al sole. E, all'asciugarsi, le pelli al piede non conciate si indurivano e si facevano come ferro, impedendo di camminare, così che bisognava correre al fiume per ammorbidirle.
Mi portavo addosso tutta la casa. E per 200, 300 chilometri, o piú. Letto: per terra. Cuscino: una pietra. Una pelle di pecora o di bue vuota, stretta alle zampe, per portare il latte. Per fare formaggio due
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o tre vasi di sughero: sos malunes. Allora si riscaldava il latte con pietre arroventate. Poi questo é sparito e abbiamo avuto caldaie di rame. C'era pure qualche forma in legno di perastro per far formaggio, qualche fune e qualche mazza. C'era pure qualche oggetto di pastore come sa muria, ossia mazza per agitare il latte; su corcariu, ossia cucchiaio di corno e sa leppa, coltello. L'acciarino. E poi un archibugio, sempre questo, magari anche due.
Il mangiare veniva quando veniva. Non c'erano ore di pasto e dure leggi, come a Fonni. Si mangiava ad avere tempo, fame. E man, giare, in primo.
Di paese portavo qualche provvista di sale. E vino. Partito, non c'era né pane, né grano. Poco ce n'era o niente. Niente si comprava. Né si voleva. C'era solo latte cagliato, sa frue: a rotta di collo. Quando non potevamo[...]

[...] e qualche mazza. C'era pure qualche oggetto di pastore come sa muria, ossia mazza per agitare il latte; su corcariu, ossia cucchiaio di corno e sa leppa, coltello. L'acciarino. E poi un archibugio, sempre questo, magari anche due.
Il mangiare veniva quando veniva. Non c'erano ore di pasto e dure leggi, come a Fonni. Si mangiava ad avere tempo, fame. E man, giare, in primo.
Di paese portavo qualche provvista di sale. E vino. Partito, non c'era pane, grano. Poco ce n'era o niente. Niente si comprava. si voleva. C'era solo latte cagliato, sa frue: a rotta di collo. Quando non potevamo più di questo latte inacidito prendevamo qualche pezzo di formaggio fresco e si arrostiva. Formaggio duro poco: se ne andava tutto per pagare il prezzo del pascolo. Carne ogni tanto ne buscavo: sempre pecore. Quando si poteva, sparando, buscavo anche un cignale. E ogni tanto si uccideva un agnello. Non come ora che ci pensano tanto.
Questa carne era quasi sempre di pecora che moriva per conto suo: era carne che oggi i pastori dicono guasta. Ci aveva polmonite, malattia di intestini, carbonchio la pecora. Ci sono pastori antichi, come ziu Naniu Mina, che di questa carne gli piace ancora, e di più dell'altra: non mangerebbero che questa.
Pipata, zigarro, poco si usava. O niente.
Ben presto la neve cadeva e tutto sul pascolo stava, ora, un mantello bianco. La nostra casa, una grotta o una quercia bucata. Tutto il verde spariva per un mese, due. Allora il bestiame cominciava a tremarsi di freddo, e pure affamato. Correva a cerca di steli, di fronza, come anime dannate. Pecore si morivano nei precipizi chiusi per neve; nella piana si svenivano, pigliavano convulsione e il bianco mantello li copriva. Mi ricordo l'annata 1893 che vedevo il suolo, tratto a tratto, pieno di infelici cadaveri di pecore. Non c'era difesa che con il tagliar i rami e far fuoco, a volte incendiare tutto il cespuglioso e un bosco intero. Notti e notti restavamo all'aperto abbracciati con le pecore. Quando la pioggia cominciava e la neve spariva, gridavamo di gioia come i
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matti e cominciava primavera. Ma pur pericolo c'era ancora, ché il danno era stato brutto, e, in camminare, uccidevamo le erbe nuove e frescamente tenere, con danno.
Veniva il periodo dolce, a noi amico, di acque e frasche. Ma presto veniva l'estate e, alla stagion di fuoco, la piana, per il bruciare, faceva orrore. Il sole, da noi si chiesto, da ora ci colpiva. Morivano k erbe. L'acqua si ritirava. Le pecore iniziavano a girar le teste, a cadere; ed il pastore si faceva triste e cominciava ad esser stanco. C'erano venti che portavano non il fresco ma freddo gelato. Cioè mali nuovi. La macchia e il bosco, per niente, se ne andavano in fiamme. E noi, mischini, con le pecore impaurite, scappavamo timorosi del nostro avere. E si saliva al paes[...]

[...]riodo dolce, a noi amico, di acque e frasche. Ma presto veniva l'estate e, alla stagion di fuoco, la piana, per il bruciare, faceva orrore. Il sole, da noi si chiesto, da ora ci colpiva. Morivano k erbe. L'acqua si ritirava. Le pecore iniziavano a girar le teste, a cadere; ed il pastore si faceva triste e cominciava ad esser stanco. C'erano venti che portavano non il fresco ma freddo gelato. Cioè mali nuovi. La macchia e il bosco, per niente, se ne andavano in fiamme. E noi, mischini, con le pecore impaurite, scappavamo timorosi del nostro avere. E si saliva al paese, ad Orgosolo.
Da S. Dionigi, 25 maggio, a S. Andrea, 10 novembre, c'era il pascolo comune, gratis. Era quello il tempo di famiglia, giusto e dolce. Si stava in casa, si lavorava, le mogli facevano i pastori nuovi.
Poi presto tutto passa ed il fumo della terra ci diceva, maledetto! che è tempo di scendere e, vicino, nuovo tempo di neve.
Le malattie di pecore erano molte. Ne ho conosciute troppe. E sempre. C'era la pecora zoppa, sa mussida ossia malattia di mammelle, il verme al cervello, sas ranas ossia malattia di fegato. La volpe. Sola difesa il coltello, il fucile, e qualche parola di fatturzu, ossia fattura e cioè sas presuras.
In nome de Babbu mannu e de sos margianos torrimus bonos contos manzanu (*).
Si usavano pure certi sacchetti, sas punzas, con qualche erba, o parola, o dente di serpe. Si metteva alla collana. C'era una malattia come una mela sul cervello, con tanta acqua che si faceva e bisognava levare piano piano quell'acqua col coltello, senza c[...]

[...] sul cervello, con tanta acqua che si faceva e bisognava levare piano piano quell'acqua col coltello, senza che l'animale morisse. C'era qualche specializzato o majariu ossia mago per questo.
Il mio lavoro era lungo e sudato come quello dei pastori: il mungere, il formaggio, i1 castrare, il tosare, l'uccidere, il pulire. Non parliamo della guardia, giorno e notte, che era una tortura, contro le volpi,
(*) In nome del gran Padre e delle volpi / ne terremo buon conto domani.
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l'aquila e quella bestia più astuta e più di numero che é sempre iI ladro, tra noi.
Fuor che i frutti di latte, formaggio, lana e carne (che pur ci ba stavano in famiglia) il commercio era triste e quasi nulla si vendeva. Tutto era a cambia merce. Per andare a vendere qualche chilo di formaggio bisognava andare sino a Macomer e a Siniscola. E non si aveva neppure un soldo, ma 2 o 3 centesimi. Tante volte per abbuscare qualche soldo, al fine di comprarmi qualche zigarro o arma pure, mi é capitato di andare di casa in casa in tutto il vicinato e, dopo pure un mese, non sempre ci riuscivo.
I rapporti tra noi pastori erano buoni e ci volevamo bene piú di adesso. C'erano omicidi, come adesso, per un odio, e per vendetta. Dieci o quindici all'anno. Ma questo é sempre stato.
L'amicizia più universale del bestiame era ad Orgosolo che il padrone, ossia su mere dava a tenere il gregge ad un altro pastore o su cumpanzinu e questo a fine d'anno dava a lui la meta dei frutti, e si prendeva la meta del gregge poi cresciuto. C'erano pastari ché lo davano ad un terzo.
I peggio trattati erano i servi, sos terraccos. Io lo ho fatto tanti anni. Ma il servo é tale fino a che, col suo coraggio, non si leva da questa schiavitù. Ci aveva solo un abito ogni anno, o due, dal padrone, e non prendeva in corpo che sa frue, e botte di fune e di cinghia.
Certo i servi rubavano ai padroni e rubavano assai. Ciò che ci spingeva al furto era che dovevamo vivere senza frutto. Quando ero servo con gli altri servi ci invitavamo sempre, e a turno, a mangiare tutto alle spalle del padrone; e in belle notti, mangiando, si faceva tra noi qualche discorsetto di astronomia, o, attorno al fuoco, si pensava a che ancora, e bene, poter rubare.
Anche i soci rubavano al padrone: e col mangiare solo sulla parte sua, e col diminuire il gregge a divisione finale.
I padroni, poi, con tutti insieme noi, servi e soci, andavamo a rubare a gruppi in territorio di altrui, ossia a bardana. Ma di questo dirò più tardi, perché per ora voglio dire come cominciò a piacermi di cercare i tesori. E ho cominciato piccolo, all'età di 12 anni.
Una volta, a 12 anni, ero servo porcaio di tale Serafino Manca, in
INCHIESTA SÜ ORGOSOLO 131
Locoe. Stavo in un posto, « Orgoi », dove srdice che c'era un paesotto distrutto.
Un giorno trovo un mattone, lo sollevo, e trovo due monete.
Non di oro. Macché! Di pietra.
Viene il padrone. E capita con un uomo molto vecc[...]

[...]tti insieme noi, servi e soci, andavamo a rubare a gruppi in territorio di altrui, ossia a bardana. Ma di questo dirò più tardi, perché per ora voglio dire come cominciò a piacermi di cercare i tesori. E ho cominciato piccolo, all'età di 12 anni.
Una volta, a 12 anni, ero servo porcaio di tale Serafino Manca, in
INCHIESTA SÜ ORGOSOLO 131
Locoe. Stavo in un posto, « Orgoi », dove srdice che c'era un paesotto distrutto.
Un giorno trovo un mattone, lo sollevo, e trovo due monete.
Non di oro. Macché! Di pietra.
Viene il padrone. E capita con un uomo molto vecchio, Battista Dejana, detto su Grehu.
Vado incontro e faccio vedere le monete.
Ziu Battista Grehu, che era molto vecchio, e ai suoi tempi aveva fatto la scuola spagnuola, sapeva leggere le scritture antiche: piglia le monete e dice: — Questa é di unu Duca che ha abitato in d'una grotta a monte Orulu. E questa é di unu Conte che stava in d'una stalla a Orgoi.
Dunque, come sapeva tutto e con tutti era amico, ritornando in cammino in paese, dice che aveva un suo compare che possedeva un grande Libro del Comando, per comandare a tutti gli Spiriti e cercare su ussorgiu ossia tesoro.
Dice: — Vado a questo compare e lo convinco a dare il libro, senza dir niente. Ci metteremo a cercare. Che il tesoro c'é. Appuntamento il venerdì.
Quattro o cinque giorni dopo, quando aveva già il libro in mano, andiamo a cercare il t[...]

[...]na grotta a monte Orulu. E questa é di unu Conte che stava in d'una stalla a Orgoi.
Dunque, come sapeva tutto e con tutti era amico, ritornando in cammino in paese, dice che aveva un suo compare che possedeva un grande Libro del Comando, per comandare a tutti gli Spiriti e cercare su ussorgiu ossia tesoro.
Dice: — Vado a questo compare e lo convinco a dare il libro, senza dir niente. Ci metteremo a cercare. Che il tesoro c'é. Appuntamento il venerdì.
Quattro o cinque giorni dopo, quando aveva già il libro in mano, andiamo a cercare il tesoro e con mio fratello Antonio, che é venuto, tutta' la notte prima non abbiamo dormito.
Il giorno fissato andiamo io e lui, il padrone Manca, e quel Battista Grehu, che si era portato con sé pure un ragazzo, dicendo che era orfano, poveretto, e che si poteva tirare su con una piccola parte
di tesoro. "`T'
La sera restiamo a Orgoi. E come é nera notte, il ragazzo nuovo tiene il libro ed io un ramo acceso per fare luce a ziu Battista Grehu, che leggeva, e tutti gli altri cominciano a zappare.
Quando leggeva il libro io sentivo: « Io ti comando in nome di Dio, 'ustu est su veru, di stare lontano di me dal Diposito di Artiglieria e da tutta la Compagnia, lampu de unu boja, Tu sei angelo perduto, et cussu est pro unu omine bonu ».
Quelli zappavano.
Tiravano fuori mattoni.
132 FRANCO CAGNETTA
Mattoni, mattoni.
All'improvviso si sente un punto duro.
Corriamo tutti e zappiamo:
Era una pietra di mola di mulino, spezzata a due. E forse, pure,
la ha rotta qualcuno di noi a piccone.
Qua non si é trovato niente. E il vecchio ha detto:
— Saltiamo dal confine del territorio di Orgosolo a quello di Olie na. Forse 11 ci avremo più forza. — Poi ha domandato: — E le monete dove le avete messe?
Se le aveva prese un fratello del Manca padrone, Giovanni Antonio.
— No. No. No.
Dice che servivano per spinzare, cioè messe a terra tutta la terra si frantumava in tante monete.
Dunque il caso è successo che, non avendo moneta, non abbiamo trovato il tesoro.
Io rimasi a custodia dei majali e gli altri se ne tornarono.
Mi metto a cercare e trovo solo pietre. Mattoni e mattoni. Nella distrazione mi ho perso due maiali pure.
Erano due o tre mesi che cercavo. La storia di s'ussorgiu, ossia tesoro, si sa nel paese di Oliena. E ziu Battista Grehu organizza una combriccola con quegli olianesi. Ha pensato: Quelli di Oliena sono meno soggetti a1 diavolo tentatore di quelli di Orgosolo. Così ci avranno piú, forza.
Vanno un'altra sera. Ed io vado a vedere. Ma mi hanno scacciato.
Si sono messi a scavare e si dice che hanno trovato solo mattoni. Mattoni e mattoni. Trovano pure il resto della mola rotta, che era 11 rimasta.
Ma a me la passione di cercare era ora venuta. Ci dovevano essere monete d'oro e d'argento, perle, rubini e diamanti.
Una volta eravamo in tanti pastori. Si parlava di un tesoro lasciato dai Latitanti in una grotta del Sopramonte. Chi diceva che era mille anni fa, chi diceva che era di Orgurui, un Latitante del 1825. La grotta era, si pensava, sotto a « sa pruna ».
Parliamo un poco la notte, attorno al fuoco, e decidiamo di andare in quattro o cinque. C'era unu ziu, un certo Antonio Flore, e dice di
INCHIESTA SU ORGOSOLO 133
andare soltanto a sera tarda: a quell'ora l'anima di .Orgurui dormiva
e non bisognava svegliarlo.
Appena fa scuro, il giorno dopo, an[...]

[...]hi diceva che era di Orgurui, un Latitante del 1825. La grotta era, si pensava, sotto a « sa pruna ».
Parliamo un poco la notte, attorno al fuoco, e decidiamo di andare in quattro o cinque. C'era unu ziu, un certo Antonio Flore, e dice di
INCHIESTA SU ORGOSOLO 133
andare soltanto a sera tarda: a quell'ora l'anima di .Orgurui dormiva
e non bisognava svegliarlo.
Appena fa scuro, il giorno dopo, andiamo in silenzio, e scalzi.
La grotta c'era, nel punto saputo, e l'ingresso era nascosto da frasche. Entriamo e incominciamo a camminare.
Si andava avanti sotto la luce di un ramo di ginepro acceso. E ci venivano incontro, col farci paura, le nostre ombre. Si sentiva lontano un rumore di acqua: ma poteva essere pure quel brigante che era troppo vecchio e gli colava il naso. Andavamo muti, a cuore in bocca.
Dopo dieci, quindici minuti doveva cominciare id posto del tesoro. C'era un fiume sotterraneo, ma piccolo piccolo, e bisognava traversarlo. Poi c'era una grotta che bisognava infilarsi ad uno ad uno a terra,
e la grandezza era solo per un cane.
Va avanti un certo ziu Puligheddu col ramo acceso in mano ed entra per primo in una stanza. Poi, ad uno ad uno, abbiamo cercato di entrare. Il secondo, che era quel ziu Antonio Flore, che abbiamo detto, ad un tratto si mette a gridare:
— L'oro! L'oro!
Aveva visto luccicare, vicino alla parete.
Corriamo insieme. Quelli che erano rimasti indietro strisciavano nel
la buca del cane pur facendosi male, e sague; ma sono entrati.
— L'oro! L'oro!
Ed era l'oro certamente.
Arriva primo ziu Puligheddu, e stende la mano.
— Ahimé! — dice.
La sua mano era tutta bagnata. D'acqua. Non di oro. Ci stavano
al muro come certi bastoni di pastore, in pietra, che venivano dall'alto
e dal basso. Ed un vecchio ha detto, poi, che si chiamavano: le statue di natura. Alla luce del ramo acceso erano luccicate ed a noi era sembrato l'oro.
Qualcuno si é messo a piangere.
E siamo usciti tutti fuori.
Più d'uno era convinto .che si trattava di vendetta: Orgurui il Latitante, padrone del te[...]

[...]Ahimé! — dice.
La sua mano era tutta bagnata. D'acqua. Non di oro. Ci stavano
al muro come certi bastoni di pastore, in pietra, che venivano dall'alto
e dal basso. Ed un vecchio ha detto, poi, che si chiamavano: le statue di natura. Alla luce del ramo acceso erano luccicate ed a noi era sembrato l'oro.
Qualcuno si é messo a piangere.
E siamo usciti tutti fuori.
Più d'uno era convinto .che si trattava di vendetta: Orgurui il Latitante, padrone del tesoro, ci aveva voluto allegrare prima, facendocelo vedere, e poi, per dispetto, lo aveva trasformato in pietra. Siamo
134 FRANCO CAGNETTA
usciti prima di mezzanotte, perché se il morto si svegliava ci poteva pure uccidere.
Ma, per questo, non mi dovevo scoraggiare. Il tesoro doveva trovarsi. Dovevano esserci di monete d'oro e di argento, perle, rubini, e diamanti. E mi succede un'altra storia.
Una volta capita a Mamoj ada uno straniero. Io stavo li, di passaggio, con le pecore. Ero in strada, e quello mi riconosce dal vestito per orgolese, e dice: — Nell'orgolese c'è un Nuraghe che si chiama Lollové ed é sopra il Sopramonte.
Io abitavo come capraro in localita vicina.
— Beh — dice quello — a pochi passi c'è il tesoro. Nel primo punto che penetra il sole la mattina lá c'è il tesoro. Basta sterrare. E si trova.
Combiniamo e insieme siamo andati a questo antico Nuraghe. Dopo un giorno di cammino, avanti l'alba, siamo arrivati vicino, e nel punto più alto per vedere dove penetrava il sole.
Col cuore in gola.
Dopo, quando arriva il sole, scorgiamo il punto che penetra e ci buttiamo tutti e due in fretta, per non perderlo.
L'apertura del Nuraghe era troppo stretta, ché un po' crollata. Finiamo di demolire e arriviamo nell'interno — parete circolare rossa, tutta di pietra — e nel punto che il sole ci aveva voluto indicare.
Cadiamo in ginocchio. Ma poi proviamo a scavare ed, in quel punto, togliamo pietre e rimuoviamo terra. Si trova una nicchia, come una piccola grotta, tonda. Ed, entrati, troviamo al centro di una stanza molto piccola una pietra quadrata: proprio al centro. La solleviamo, e c'era una buca che poteva entrare un uomo: era il tesoro!
_ C'e ?
Non c'é!
Macché! Proprio niente!
Cerchiamo un'ora:
Niente!
Allora abbiamo pensato che, se ricchezza c'era, se l'era già presa qualcuno. E portata chi sa dove. Oppure che il sole non era quello che ci voleva [...]

[...] trova una nicchia, come una piccola grotta, tonda. Ed, entrati, troviamo al centro di una stanza molto piccola una pietra quadrata: proprio al centro. La solleviamo, e c'era una buca che poteva entrare un uomo: era il tesoro!
_ C'e ?
Non c'é!
Macché! Proprio niente!
Cerchiamo un'ora:
Niente!
Allora abbiamo pensato che, se ricchezza c'era, se l'era già presa qualcuno. E portata chi sa dove. Oppure che il sole non era quello che ci voleva bene, un Padre, e bisognava venire in altro tempo.
INCSUESTA STS ORGOSOLO
Come ho fatto.
Ce ne andiamo e tante volte, ogni tanto, tornavo da solo per anni ed anni. Dopo un giorno di cammino arrivavo a quel Nuraghe. Oggi non esiste quasi più perché io solo l'ho demolito.
E questa storia si conclude così.
Nel paese é cominciato a sapersi che io cercavo i tesori, e trovavo solo pietre. E quasi mi ridevano. Ma io pensavo che non avevano ragione, e che, prima o poi, un tesoro lo avrei trovato. Ci dovevano essere monete di oro e di argento, perle, rubini e diamanti.
Dopo qualche anno (ne avevo ora 30 o 40, non ricordo) viene un prete ad Orgosolo che ci aveva una carta del tesoro. La aveva avuta da Latitanti e, a quanto so, da un altro prete che teneva la roba rubata, rubava e, per un tempo, era Latitante.
In quella carta ci era un disegno tutto a matita, con una croce al centro: il segno di un tesoro. Non la faceva vedere a nessuno, un segreto: ma da tutti si sapeva.
Per quell'oro — o pur argento che fosse per trasporto ci aveva bisogno di lasciarsi accompagnare.
Vado da lui una volta, con coraggio, e gli dico: — Se mi prendete e mi date un terzo del tesoro io vi vengo ad aiutare. Porto un campagno con me. E non diremo niente.
Non voleva sapere.
Ogni volta che mi incontrava, da allora, mi fermava. Mi parlava del tesoro.
Un giorno che eravamo soli mi dice: — Beh, ti dó una decima. Se ti accontenti vieni. La Chiesa che é la forza piú luccicante, ed il Santissimo Padre, che é grasso e grande, pigliano su tutto l[...]

[...]prendete e mi date un terzo del tesoro io vi vengo ad aiutare. Porto un campagno con me. E non diremo niente.
Non voleva sapere.
Ogni volta che mi incontrava, da allora, mi fermava. Mi parlava del tesoro.
Un giorno che eravamo soli mi dice: — Beh, ti dó una decima. Se ti accontenti vieni. La Chiesa che é la forza piú luccicante, ed il Santissimo Padre, che é grasso e grande, pigliano su tutto la decima. Perché tu vuoi prendere di piú?
— Va bene — dico subito — partiamo, partiamo!
— Silenzio, mi raccomando il silenzio. Chi é il tuo compagno? Gli dico: — È lo scemo del paese.
— Bene!
Di notte tarda, quando tutti dormivano, come ladri andiamo al
prete, scalzi. Ci stava ad aspettare con quella carta, un libro in mano,
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136 FRANCO CAGNETTA
una pelle di bue grossa e vuota per bisaccia del tesoro, tre o quattro lumini per far luce.
Ci mettiamo in cammino e facciamo salita per tutta la notte, tra i sassi. Ogni tanto il prete si voleva riposare.
— Andiamo, andiamo! — dicevo.
— C'è ancora strada?
Lo scemo rideva, gridava.
Siamo sul posto verso l'una, le due. Il prete esce la carta e si mette
a leggere in latino. Ci aveva una fune e da una quercia a un sasso
prendeva le misure. Faceva salti e gridava ogni tanto certe parole
come: — Gú gú, bú bù.
Lo scemo batteva le mani, saltava. E faceva pure lui così.
Il prete, alla fine, trova il punto, e si mette in ginocchio.
— In ginocchio! — dice — Tre Pater, tre Ave, tre Gloria!
E io e lo scemo, insieme, giuriamo di saperle.
— Adesso — dice il prete — dovete levare gli occhi al cielo e, quando sta per cadere una stella, cominciate a zappare.
Era di giugno. Ma ci avevo paura che la stella non cadesse. Oppure, che, tenendo gli occhi al cielo, il prete, sotto al naso, mi portasse via il tesoro.
— Così dice il libro!
— E va bene!
Lo scemo guarda le stelle ed io il prete. Il prete sempre diceva le sue orazioni di diavolo: — Gú gú, bù bù.
All'improvviso cade una stella ed io ero morto quasi dalla gioia. Cominciamo a zappare, a zappare. E scava e scava: avremo fatta una buca di due metri. Forse piú.
— Forza, forza! — dice il prete — Io faccio le orazioni.
E dice ancora: — Gú gú, bú bú.
Lo scemo pure.
Tutt'a un tratto sento qualche cosa dura. Io grido, il prete grida,
lo scemo più di tutti. Ci siamo abbracciati.
Ora bisognava pensare a tirare il tesoro.
Tiro. E c'era una certa forza.
Tiro ancora. E viene fuori [...]

[...]la ed io ero morto quasi dalla gioia. Cominciamo a zappare, a zappare. E scava e scava: avremo fatta una buca di due metri. Forse piú.
— Forza, forza! — dice il prete — Io faccio le orazioni.
E dice ancora: — Gú gú, bú bú.
Lo scemo pure.
Tutt'a un tratto sento qualche cosa dura. Io grido, il prete grida,
lo scemo più di tutti. Ci siamo abbracciati.
Ora bisognava pensare a tirare il tesoro.
Tiro. E c'era una certa forza.
Tiro ancora. E viene fuori una testa di crapa. E tutta spolpata!
137
INCHIESTA SU ORGOSOLO
— E questa che é?
— Vi sarete. sbagliato.
— Non mi posso sbagliare. Questo é il punto della carta.
Scavo ancora: niente!
Il prete era verde e rosso: si vedeve anche di notte. Lo scemo
piangeva, batteva le mani.
— Sarete stati voi. Per poca fede l'oro si è cambiato in testa di crapa.
— Mi pare che qui di scemo c'é solo lei, padre pio.
— E tu sei più cretino di lui. Stavamo per attaccarci.
— Se questa testa era oro — dico io — datemi in oro la decima che avete promessa.
Te la puoi prendere pure tutta questa te[...]

[...] Per poca fede l'oro si è cambiato in testa di crapa.
— Mi pare che qui di scemo c'é solo lei, padre pio.
— E tu sei più cretino di lui. Stavamo per attaccarci.
— Se questa testa era oro — dico io — datemi in oro la decima che avete promessa.
Te la puoi prendere pure tutta questa testa. — Era incazzato. Io pure ero incazzato, ma ora ridevo: era la prima volta che un prete dava una decima, e anche più, a un pastore.
Si é tolta la tonaca, se ne è andato e bestemmiava. E lo scemo dietro, saltando e ballando, e gridando: — Gú gò, bù bù. Sino a Orgosolo.
Ero proprio sfortunato! In quei tempi si metteva male la pastorizia ed io facevo il pastore. Cambio mestiere e mi metto a fare il postino di Orgosolo. Un po' sapevo leggere. Si era messa la posta in Orgosolo, il 1900, proprio in quel tempo. Andavo una volta alla settimana e qualche volta al mese a Mamoiada. A cavallo. E mi portavo una grossa bisaccia. Ma ritornavo sempre con quella borsa vuota, e, in quel tempo, lettere ne ho viste solo due in sei anni. Ne è venuta una 11 1902 ed una [...]

[...] bù bù. Sino a Orgosolo.
Ero proprio sfortunato! In quei tempi si metteva male la pastorizia ed io facevo il pastore. Cambio mestiere e mi metto a fare il postino di Orgosolo. Un po' sapevo leggere. Si era messa la posta in Orgosolo, il 1900, proprio in quel tempo. Andavo una volta alla settimana e qualche volta al mese a Mamoiada. A cavallo. E mi portavo una grossa bisaccia. Ma ritornavo sempre con quella borsa vuota, e, in quel tempo, lettere ne ho viste solo due in sei anni. Ne è venuta una 11 1902 ed una il 1906. Ce ne saranno state forse altre, ma non ricordo. Quando veniva una lettera tutto il paese si riuniva in piazza, e si aspettava qualcuno che sapesse leggere. Il prete quando c'era. Se non c'era, bisognava stare li sei o sette giorni ad aspettarlo o sperare che qualcuno venisse in paese, gendarme o forestiero, che sapesse leggere.
Una volta, come postino, io stavo a Mamojada. C'era un continentale, certo Sanguinetti Giovanni Battista, genovese. Gli dicono che sono di Orgosolo, _e quello mi manda a chiamare. Io lo conosco. E lo ho trovato con una pietra luccicante in mano.
138 FRANCOCAGNETTA
Ha detto: — Io sto qui per venire in territorio del tuo paese.
— E che venire a fare?
— Per questa pietra.
— Che pietra é?
— Calamina..
Io mi ho pensato: « Questo, gendarme non é. Viene per pietre.
Certamente quella pietra é il segno di un tesoro ».
Dico: — Di questa pietra ne ho vista a Osporrai, a Fundales, a
Iserrai.
Dice: — Puoi venire a mostrarmela? Ti pago una giornata.
— Buono, buono!
Siamo rimasti d'accordo e dopodomani mattina viene a Orgosolo
a cavallo. Lo ho portato subito a quei luoghi, a vedere quelle pietre.
— Questo é un filone — dice.
No — dico io. — Non vi inganno (avevo capito che diceva che
io sono furbo, e cioè filone). Pietre così ce ne é in tanti posti.
— Andiamo a vedere.
Andiamo e si é visto tutto.
E ad Iserrai dice: — Qui c'é un tesoro!
« Ci siamo, penso io. Questa é la volta buona! ».
Si vedevano pietre stellate a terra.
— Bisogna fare un saggio. Qui c'é una galleria. Deve essere stata fatta dagli antichi romani.
— E scaviamo pure noi — dico io. — Presto! presto! Cerchiamo iI tesoro.
— No — dice Sanguinetti. — Qui bisogna fare uno sfruttamento regolare. Dobbiamo continuare la galleria e pigliare la calamina.
— Beh — ho pensato. Questo vuole pigliare tempo!
— Intanto ti dó lavoro, a te e ad un altro.
— Bene, bene.
Ho preso con me ziu Pichireddu Tommaso, che ne aveva bisogno. Ma del tesoro non gli dico. Cominciamo a fare lo scavo e questa pietra si stendeva per 200, 300 metri in superficie.
— Qui — dice Sanguinetti. — Potete fa y "una buona giornata in
quattro per un anno. /'..w. ~
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INCHIESTA SU ORGOSOLO 139
— Bene, bene.
Il giorno dopo porto a lavorare mio figlio e un altro ancora. Per un anno. Prendevamo pietre e le mettevamo in certe hallette che portavamo a Mamojada e, di li, le spedivano a Cagliari.
Io sempre pensavo: « Che diavolo starà mai in mente a Sanguinetti. Qui c'é il tesoro certamente e lui pensa a pietre. Deve averci qualche piano e pure, a far questo, ci avrà il suo tornaconto. Intanto, ci dà da lavorare! ».
E la notte, senza dire niente a nessuno, venivo a cacciare il tesoro, per conto mio.
Un giorno viene un figlio di Sanguinetti da Cagliari e ci dice che é una miniera: quelle pietre si vendevano.
Allora io dico: — Io l'ho scoperta. Io l'ho fatta vedere a tuo padre. E ora mia.
— No — dice lui. — Dietro richiesta la Concessione é stata intestata a mio padre. La ha avuta solo lui. Tu non puoi far niente. Se non lavorare a ordine suo. E mio. Ti posso anche cacciare subito di qui e far tornare a fare il pastore.
Quando ho sentito di tornare a pastore, e ho sentito: « Concessione » mi ho spaventato. Sarà meglio stare zitto. E lavorare.
Spedivamo e spedivamo. E si hanno fatti tanti sacchi a Cagliari. Poi questo é finito: dopo un anno. Io la notte tornavo a raddoppiare il mio lavoro, e sempre per cercare il tesoro, ma non trovavo.
Allora mi ho pensato: «Io cercavo il tesoro e il tesoro ce lo avevo sotto il' naso. Quando il tesoro c'é, viene uno straniero e me lo leva ».
Da allora tutte quelle pietre stellate le raccoglievo. E le portavo a casa. Dove non c'era più posto. Un giorno, con mio figlio, ne facciamo una carrettata; e le portiamo a Mamoiada per venderle. Ma non le hnno volute. Mi hanno detto che non erano calamina, ma come le altre, e, di come quelle, ce ne erano a milioni.
Così ci abbiamo rimesso il viaggio ed io la speranza e il lavoro.
Visto, dunque, che non trovavo tesori sotto terra, io penso, me li vado a trovare, come gli altri, sopra terra. Il frutto di pastore era niente. Come postino ero fallito. Vado a fare il rapinatore o bardaneris. Cioè in bardane.
i



I40 FRANCO CACNETTA
In antico queste rapine erano combinate proprio bene.. Ci riunivamo in gruppi di tanti e tanti, a volte tutto il paese, e a cavallo, o a piedi, con l'arma in mano, andavamo ad un altro paese. Qui, dopo circondato, e sparita la forza pubblica, casa per casa facevamo assalti, sparatorie, bottino. Poi tornavamo. Si facevano assalti in ogni posto, in Baronia, in territorio di Nuoro, in Ogliastra. Anche in Campidano, di Cagliari e Oristano. Si rubava in case, caserme, e in saline. Ai treni, quando c'erano. Queste organizzazioni erano proprio brave. Ognuno interessato a tutti: bottino uguale. Fratelli, insomma. Non c'era niente da fare contro un bardaneris del paese di Orgosolo: coraggioso, unito, abile. Qualcheduno é restato sul terreno. Non sono riusciti mai, o quasi mai, a prenderci. Se non c'era la spia. Che, poi, spariva. Allora Orgosolo era lo spavento di tutta la Sardegna. E questo é orgoglio nostro, d'uomini e di donne.
Delle bardane andate bene non posso raccontare. Se mi é rimasta qualche cosa in casa, e pur lo dico anche a distanza di cento anni c'é sempre qualcuno che se lo potrebbe venire a ripigliare. Anche se la Giustizia non può più farci niente, per tempo passato, é meglio stare zitti. Ci sono i figli o i figli dei figli che non gli può piacere.
Dirò, invece, di due bardane che sono andate a male.
Una volta eravamo andati alla montagna di Orgosolo per un rubatorio, in 4 o 5: di pecore. Siamo rimasti tutto il giorno a guardare i pastori, quando potevamo prendere il bestiame. Ed i fucili che ci avevano.
Viene la sera ed i pastori entrano nelle baracche. Mettiamo tutti la parola che erano le 11, invece delle 2, se poi ci interrogavano. E poi ci siamo divisi in tanti, ognuno per una baracca da assaltare. A un segno, buttiamo in aria ogni baracca. E ognuno al suo dovere. Pure se ci erano due o tre pastori per parte, noi, a uno solo, li lottiamo e li disarmiamo e li leghiamo. Non c'era stata una archibusata e, solo, le capanne se ne erano andate tutte in aria. Stiamo per pigliare il bestiame, quando a un tratto viene un certo ziu Pasquale, un uomo grosso, parente dei pastori. Vede quel caòsso e ha principiato a sparare. Spara e spara. E noi rispondiamo. E i pastori, non si sa come, si sciolgono e sparano. Sembrava un cielo di stelle: ed erano pallini.
INCHIESTA SU ORGOSOLO 141
Quando ci abbiamo visti presi in mezzo, aspettiamo un poco. E ce ne andiamo.
Strada facendo troviamo 4 o 5 miaiali magri, non so di chi. Ce li prendiamo, principiando a mangiarli.
Passa ziu Pasquale, quell'uomo dell'attacco, e ci saluta. Lo invita e accetta. Dice che ci ha riconosciuti al rubatorio, due ore prima. E noi gli diciamo che si, che lo abbiamo conosciuto. C'era stata sorpresa di uno e l'altro, lotta, ma a viso franca.
Così, contento, ha mandato a chiamare quei pastori di prima, suoi parenti, e abbiamo combinato, insieme le parti, con altro rubatorio.
Un'altra sera eravamo andati a fare altro affare, ossia bardana, in località Marghine, sopra S.[...]

[...]ll'uomo dell'attacco, e ci saluta. Lo invita e accetta. Dice che ci ha riconosciuti al rubatorio, due ore prima. E noi gli diciamo che si, che lo abbiamo conosciuto. C'era stata sorpresa di uno e l'altro, lotta, ma a viso franca.
Così, contento, ha mandato a chiamare quei pastori di prima, suoi parenti, e abbiamo combinato, insieme le parti, con altro rubatorio.
Un'altra sera eravamo andati a fare altro affare, ossia bardana, in località Marghine, sopra S. Ananio.
Uno, il capo, dice agli altri: — Andate un poco avanti che mi fermo a pisciare.
Ecco, a un tratto, che si presenta un'ombra. E il capo si è fermato. La ha riconosciuto subito: era un compagno morto in altra bardana.
Lo spirito presentandosi disse: — Non andate. Perché se andate non vi riuscirà bene. Avrete scontro ed uno resterà.
Il capo ritorna, pallido, e ci dice: — Zessù e Maria! Mi sento male. Ho un male allo stomaco. Torniamo indietro — e non ci ha detto la verità per non farci spavento.
I compagni non volevano proseguire.
— Fermi! fermi! Non andate!
Una parte 10 ascolta (c'ero pure io). Gli altri se ne vanno con un capo nuovo. Il primo capo, di spavento, gli era venuto davvero male. Gli altri se ne sono tornati a mani vuote ed avevano lasciato uno sul terreno, il nuovo capo. Un mio cugino lontano.
Basta. Ci dovete credere: io non pensavo a queste cose. Non ci credevo. Ma da quel giorno ho avuto sempre qualche noia con quelle Anime per 1015 anni.
Una volta stavo dormendo in capanna, quando sento un uomo addosso. E cominciamo a guerreggiare.
Era uno spirito, e pur ci aveva una certa forza. La capanna dove stavamo si é fatta tutta storta e bistarta..
A me é successo. A noi, pastori, succede spesso di far queste lotte.
142 ''FHANCO CAGNEiTA
E ancora.
Puù darsi che i fantasmi non esis[...]

[...]o.
Basta. Ci dovete credere: io non pensavo a queste cose. Non ci credevo. Ma da quel giorno ho avuto sempre qualche noia con quelle Anime per 1015 anni.
Una volta stavo dormendo in capanna, quando sento un uomo addosso. E cominciamo a guerreggiare.
Era uno spirito, e pur ci aveva una certa forza. La capanna dove stavamo si é fatta tutta storta e bistarta..
A me é successo. A noi, pastori, succede spesso di far queste lotte.
142 ''FHANCO CAGNEiTA
E ancora.
Puù darsi che i fantasmi non esistono. Ma in Orgosolo c'è stato il 1900 un terribile fantasma: Muzzi Gravas. 'E cioè un certo Podda, che era un ladro e quando questo uomo è morto, il giorno dopo del mortorio, va un suo figlio a una capanna a Supramonte, dove quello sempre stava, e lo trova vicino alla porta, come un fumo, con gli occhi rossi.
Si leva un vento da lui e tutti i lecci del Supramonte hanno fatto uno scoppio come se fossero venti cannoni. La baracca è caduta. Che forza che ci aveva! E poi é sparito.
In paese la moglie stava sola. Le porte della casa erano bene chi[...]

[...]dda, che era un ladro e quando questo uomo è morto, il giorno dopo del mortorio, va un suo figlio a una capanna a Supramonte, dove quello sempre stava, e lo trova vicino alla porta, come un fumo, con gli occhi rossi.
Si leva un vento da lui e tutti i lecci del Supramonte hanno fatto uno scoppio come se fossero venti cannoni. La baracca è caduta. Che forza che ci aveva! E poi é sparito.
In paese la moglie stava sola. Le porte della casa erano bene chiuse e si spalancano. Comincia a mettere pietre, sempre più grosse, e si aprono. I figli, venuti, si mettono sulle porte a fare forza con le spalle, li getta a terra, e sempre sbattevano.
Era un gigante quello, un Golia.
Lo potete domandare a sua moglie, zia Zizzedda, che vive in paese.
Poi che il ladro ritorno a fare il pastore. Ma mi aiuto ora con il fare sabba ardente, l'acqua vite clandestina. È proibito, ma, qui, ciascuno si arrangia. Basta avere un lampicchio. E un mestiere che mi piace dopo quello del tesoro, perché si assaggia. Non lo descrivo che, certo, i fumi di vino tutti qui[...]

[...] aiuto ora con il fare sabba ardente, l'acqua vite clandestina. È proibito, ma, qui, ciascuno si arrangia. Basta avere un lampicchio. E un mestiere che mi piace dopo quello del tesoro, perché si assaggia. Non lo descrivo che, certo, i fumi di vino tutti qui li conoscono.
Ma proprio in quel tempo che facevo lo spirito — è un caso strano — io incontro uno spirito. E piú. E proprio vivi.
Mi trovavo al paese con un lampicchio, in quel lavoro, e viene una bettolaia di Irgoli che voleva subito trenta, quaranta litri. Non li avevo. L'ordinazione era buona: le ho promesso che, appena pronti, glieli andavo a portare. Trovo un compagno di Bitti che doveva partire pure ad Irgoli. E combiniamo di viaggiare insieme.
Questo uomo doveva andare ad Irgoli per una cosa sua speciale: c'era li una spiritata — Maria Ruju si chiamava — e lui andava da lei per sapere della salute di sua moglie. Tanti pastori di Orgosolo e dei paesi vicini andavano a lei per interpellarla: aveva gli spiriti in corpo.
Vendo l'alcol, faccio soldi, e l'amico chiede" se volevo fare cono
INCHIESTA SU ORGOSOLO 143
scenza di questa spiritata: per ogni cosettina lui ci a[...]

[...]Maria Ruju si chiamava — e lui andava da lei per sapere della salute di sua moglie. Tanti pastori di Orgosolo e dei paesi vicini andavano a lei per interpellarla: aveva gli spiriti in corpo.
Vendo l'alcol, faccio soldi, e l'amico chiede" se volevo fare cono
INCHIESTA SU ORGOSOLO 143
scenza di questa spiritata: per ogni cosettina lui ci andava, che lei sapeva tutto, ed era sempre contento.
Io mi penso: « Che gli chiedo? Niente ». Ma poi mi viene: « Ho aspettato anni e anni, sempre invano. Andre. da lei per sapere dove posso trovare un tesoro, anche piccolo ».
E dunque andiamo dalla spiritata. E non appena entra il mio compagno le chiede: — Ci sono gli Amici?
E Maria: — In questo momento ci sono.
Come ha detto questo — porco nomini, e porco vieni — c,omincia, a un tratto, a cadere a terra quella spiritata, tutta rotta.
Le prende un nodo alla gola e inghiottiva, inghiottiva. Non riusciva ad inghiottire quel nodo di spiriti che si era fatto alla gola, perché volevano uscire tutti insieme, uno prima dell'altro, e non ad uno ad uno.
[...]

[...]— In questo momento ci sono.
Come ha detto questo — porco nomini, e porco vieni — c,omincia, a un tratto, a cadere a terra quella spiritata, tutta rotta.
Le prende un nodo alla gola e inghiottiva, inghiottiva. Non riusciva ad inghiottire quel nodo di spiriti che si era fatto alla gola, perché volevano uscire tutti insieme, uno prima dell'altro, e non ad uno ad uno.
La spiritata poi si mette a rizzarsi, a rizzarsi.
Ed ecco la prima presentazione.
C'erano con noi due pastori, un marito ed una moglie, che erano venuti a chiedere per una figlia sedotta che, isgravata, aveva offerto, la sua creatura al maiale. Volevano sapere chi era il seduttore e chi l'assassino.
Ed ecco il ringhiato di un porco (non si sa se era il maiale che aveva mangiato la creatura, o il ragazzo sotto la voce del maiale). Basta.
Maria ha fatto un nome. E poi, mi hanno detto, che quel nome é stato ucciso da quel padre.
Si presenta ora un orgolese, un puro spirito di Orgosolo. Appena parla lo riconosco. Non posso dire il nome perché lui stesso mi ha pregato di n[...]

[...] si sa se era il maiale che aveva mangiato la creatura, o il ragazzo sotto la voce del maiale). Basta.
Maria ha fatto un nome. E poi, mi hanno detto, che quel nome é stato ucciso da quel padre.
Si presenta ora un orgolese, un puro spirito di Orgosolo. Appena parla lo riconosco. Non posso dire il nome perché lui stesso mi ha pregato di non dirlo. Ché si trovava all'inferno e non voleva farlo sapere al paese per non far scandalo.
Passa lui e viene allora un altro spirito. Che era un famoso dottore. A tutte le malate che andavano a interpellarlo parlava in grande forma. Diceva la malattia e quella erba o medicina che bisognava. L'amico era andato lá per la moglie ammalata, e gli ha detto: — Devi fare così e così. — Gli dice tutto e poi: — La medicina che ti insegno, non la
144 FRANCO CAGNETTA
può guarire perfettamente: Sari solo una riparázione al male. Che è
catarro cronico di intestino.
Erano anni che lui andava invece da medici di Nuoro, di Gavoi,
senza potere mai saper niente!
Poi viene il mio turno (ero l'ultimo), ed io domando: — Ditemi
dove c'è un tesoro. Anche piccolo.
Sento fischi, rumori come il vento, e silenzio.
La spiritata si é afflosciata.
Dice Maria: — Io credo che non puoi mai più saperlo. Gli spiriti
lo sapevano. Ma appena tu gli hai ricordato che c'erano dei tesori sono
scappati per andare a cercarseli.
Come, infatti, da quel momento di spiriti non ne ho più visti.
Il mio amico ha lasciato 11 una coscia di pecora e tre o quattro lire,
che erano un tesoro vero.
Pur di tesori ce ne devono stare ancora.
Cosi, come mi hanno detto gli spiriti, da quel giorno non ne ho
più trovati.
Ma spero che non se li siano presi tutti. loro.
Ci devono essere ancora ad Orgosolo monete di oro e di argento,
perle, rubini e diamanti.
Se non fossi così vecchio, che ora posso solo parlare e dirlo 'agli
altri, io me ne andrei subito — a cercare dei tesori.



da Mario Devena, Una giornata laboriosa [dedicato a Vasco Pratolini] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: UNA GIORNATA LABORIOSA
A Vasco Pratolini
Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza
DANTE
I
Il barlume della luna penetrava a tratti le nubi, che irrequiete correvano il cielo, mentre gli uccelli dormivano a coppie nella notte d'autunno. E, sugli alberi scarsi di foglie, la rugiada cresceva uguale alla nebbia che orlava i lampioni delle strade. La luce delle lampade, nelle vie disegnate come lettere maiuscole dell'alfabeto, gettava ombre che un venticello pigro rendeva misteriose quanto i passi che risonavano incerti nel silenzio della notte. Le nubi si movevano nel cielo con un suono come il mare, e i passi si ripetevano sul marciapiede accanto ad un edificio ornato di statue e di ombre. Infatti, un uomo, distinto d'aspetto, trattenendo nella mano la punta di un bastone, si adoperava alla maniera di un beone di raggiungere, pur tenendo il braccio teso, la parte superiore del bastone stesso; si che, per ottenere il suo scopo, ora con cautela ora con aggressività, dava luogo al suo incerto camminare.
In vero, il vino bevuto dall'uomo, che aveva nome Michele Tempo e l'età di sessantaquattro anni, lo ingannava non solo con quel giuoco insensato, ma anche col suggerirgli come ridurre il cammino fino a casa: perché con tanto pretesto lo riconduceva più e piú volte dinanzi all'edificio ornato di statue.
La via, infatti, sotto un cielo di nubi si distendeva simile ad una a e » maiuscola; i cui bracci, quando non percorsi interamente, consentivano un facile errore. Si che l'uomo, mentre un venticello a s[...]

[...] i cui bracci, quando non percorsi interamente, consentivano un facile errore. Si che l'uomo, mentre un venticello a stento moveva le cime dei platani, spendendo il suo tempo col senno di quegli che seminava sale sulla riva del mare, ritornava ai suoi giri tra l'edificio e i silenziosi palazzi dirimpetto alle statue.
Distinto di aspetto, vestito di cappotto e cappello, era di statura
UNA GIORNATA LABORIOSA 21
superiore alla media. La espressione del suo volto era caratterizzata da grandi occhi che, sotto la fronte cui si attaccavano i capelli brizzolati, potevano dare col soccorso delle spesse labbra un tono di ottusa pensosità o di sommessa pieta. Tuttavia, in quella notte buia di stelle, la consueta espressione, cedendo anche all'atteggiamento particolare dovuto al vino, si era trasformata in maniera da rappresentare la paura per quello stato di tumulto e di sconforto in cui si trovava la anima di lui.
Michele Tempo era stato, fino a qualche tempo prima, un funzionario dello Stato che, avendo superato i limiti di eta nel prestare servizio, si era dovuto adattare alla condizione imposta dall'ozio del congedo. Prima, però, che andassero molti giorni della nuova vita, i colleghi, che molto lo amavano e stimavano, avevano desiderato di solennizzare quel distacco, con il riunirsi intorno ad una tavola riccamente imbandita. E, ricordi lontani legando alcuni impiegati ad un locale, si pensò di raggiungere quel luogo che, da un vicolo nei pressi della stazione, mandava con la luce di una lanterna un forte odore di cibo. La riunione, svoltasi in una atmosfera di cordialità resa più valida dal vino, non era mancata del suo discorso, nel quale un impiegato dalla testa calva e dalle maniere da imbonitore aveva esaltato le qualita dell'amico funzionario. Che, intanto, ripetutamente applaudito, mentre il vino sempre meglio gli riscaldava il cuore e la mente, era stato impressionato da queste due osservazioni; anzi queste tre osservazioni si erano scolpite dentro di lui: la sala troppo stretta pregna di fumo raccolto nei fasci della luce, un telefono di forma disusata sotto una lampada spenta che era un braccio nel muro e la conclusione del discorso, secondo la quale si sosteneva che lui, il funzionario, aveva vissuto parte di una bella vita, « senza gettare margherite o perle dinanzi ai porci '.
Di ritorno dunque dalla serata in suo onore, Michele si era ritrovato in una natte d'autunno a percorrere le vie che si distendevano simili alle lettere maiuscole dell'alfabeto. E si intestardiva nel suo giuoco insensato, mentre le statue dell'edificio lo meravigliavano per la terza volta con la loro mole, perché in lui vi era un contrasto di dolorosi sentimenti inteso a turbare la sua abituale condizione. Infatti, se con la frase che concludeva il discorso dell'amico, gli veniva fatto di subire come una scossa morale, che gia di per sé lo precipitava in uno stato di tumulto e di sconforto; ad un tempo, subiva un doloroso contrasto tra la natura sobria e dignitosa e la imposizione dovuta al vino, che
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gli suggeriva con quel giuoco un comportamento non conforme alla propria natura. E ciò non solo perché il vino facilmente aveva avuto ragione della volontà di lui; .bensì anche perché suole accadere che un cuore, colpito ad un tratto e profondamente, piuttosto che rivolgersi ad alleviare il proprio dolore, si ritrova in azioni capaci soltanto di esasperarlo. E' una conseguenza, questa, che suole stare anzitutto in coloro che non sono abituati ai dolori morali oppure in chi, troppo uso alle sofferenze, per un nuovo sconforto perde l'equilibrio interiore. In Michele, tuttavia, trovava maniera di esprimersi anche perché l'avvilimento che gli nasceva dall'inseguire la parte superiore del bastone, sminuiva per così dire il proporsi dell[...]

[...]e, piuttosto che rivolgersi ad alleviare il proprio dolore, si ritrova in azioni capaci soltanto di esasperarlo. E' una conseguenza, questa, che suole stare anzitutto in coloro che non sono abituati ai dolori morali oppure in chi, troppo uso alle sofferenze, per un nuovo sconforto perde l'equilibrio interiore. In Michele, tuttavia, trovava maniera di esprimersi anche perché l'avvilimento che gli nasceva dall'inseguire la parte superiore del bastone, sminuiva per così dire il proporsi dello sconforto e del tumulto del suo animo.
Occupato da tale atteggiamento spirituale, pur volendo persistere nello scopo che dava luogo al suo camminare, ne fu distratto da un passo strascicato che si continuava verso di lui. E come l'animale ad un suono corre al riparo, e dalla tana, il corpo nascosto, sporge il capo per scrutare; ugualmente il funzionario si nascose dietro il tronco di un platano; mentre l'ombra del corpo, proiettata dalla luce di un lampione, si allungava in concerto con la testa sporta per scoprire. E, gli occhi verdi come fuori delle orbite, forzando lo sguardo, vide avanzarsi un uomo che, alto di statura, poveramente vestito, con la guida di un bastone pestava il marciapiede con un monotono ritmo. Fattosi, poi, più attento per la vicinanza dell'uomo, scorse ai piedi di lui grossi scarponi militari e sul volto, scarno e colmo di dolore, la cecità degli occhi sotto le palpebre scoperte.
Impressionato per tale apparizione allora che il cieco gli fu accanto, particolarmente per il soccorso del vino deliberò' di aggirare il platano e, inseguito dalla propria ombra, di allontanarsi silenziosamente. Ma, mentre barcollando si adoperava nel suo intento, fu richiamato da una voce che, strascicata come un passo, supplicava:
— Per carità, il cancello verde.
La via infatti, disegnata come una « e » maiuscola, era occupata in uno dei suoi bracci da un cancello verde che, circondando un palazzetto di fronte all'edificio ornato di statue, formava un angolo retto. Ora, standovi la possibilità di incorrere nell'errore di seguire un altro braccio della strada, il cieco, traendo profitto dalla presenza di un passante aveva parlato per domandare. Riempito così di stupore il funzionario, che aveva fatto paragone tra la cecità e la sensibilità
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che a colui lo aveva rivelato, l'uomo aveva ottenuto di attraversare la strada accompagnato, e di continuare senza errore il cammino.
Mentre intanto la luna filtrava tra le nubi e il ritmo del bastone del cieco, alternato al passo strascicato, si disperdeva nella notte come un volo nell'aria, il signor Tempo, atteggiando il volto ad una espressione di ottusa pensosità, si ritrovava per il soccorso del caso sulla via che per davvero gli riduceva l'incerto camminare fino a casa. In vero, i passi ora andavano ripetendosi meno incerti, e Michele, dopo essersi trascinato in una strada buia accanto a certe case che non aveva mai vedute, mentre ad un tratto e rumorosamente soffiava il vento dello stomaco attraverso la bocca, aveva preso a sentire come una stretta dolorosa al cuore, senza tuttavia volerne, e per tanto saperne spiegare la causa. Perché lo angosciava una idea che, per l'essere stata ridotta come un ricordo perduto nel fondo torbi[...]

[...]tusa pensosità, si ritrovava per il soccorso del caso sulla via che per davvero gli riduceva l'incerto camminare fino a casa. In vero, i passi ora andavano ripetendosi meno incerti, e Michele, dopo essersi trascinato in una strada buia accanto a certe case che non aveva mai vedute, mentre ad un tratto e rumorosamente soffiava il vento dello stomaco attraverso la bocca, aveva preso a sentire come una stretta dolorosa al cuore, senza tuttavia volerne, e per tanto saperne spiegare la causa. Perché lo angosciava una idea che, per l'essere stata ridotta come un ricordo perduto nel fondo torbido della memoria, si agitava dolorosamente in lui, e senza rivelarsi in alcun modo. Si che i pensieri che lo occupavano con chiarezza erano considerati con la fatica di condannati ai ferri; e, non mai soddisfacendo per il peso che, simile all'idea nascosta, li trascinava e li avviliva, davano luogo ad una situazione morale colma di turbamento e di angoscia.
Veniva così a stabilirsi un atteggiamento che modificava per così dire, la condizione precedente all'incontro con il cieco. Se prima esisteva un sentimento che, segnata con evidenza la scossa morale seguita all'ultima frase del discorso dell'amico, gli faceva nascere la paura per il tumulto del suo cuore; ora invece gli si rivelava un dolore, di cui apparentemente ignorava l'origine e la forma, ma che, per l'essere una manifestazione dello spirito, esisteva certo come il buio di quella notte d'autunno.
Intanto, tra i pensieri che si trascinavano alla superficie della coscienza, Michele, mentre passava accanto ad un palazzo in costruzione, si adoperava di rimuginare più che gli altri quello che presumeva spiegare il suo stato. E al vino bevuto dava colpa del suo turbamento, soccorso dalla spiegazione secondo la quale per il vino si era comportato in modo del tutto riprovevole; e, ora che il capo gli doleva fortemente in concerto con la scomparsa dell'ebbrezza, soffriva per l'atteggiamento di prima, che contrastava con la sua natura come l'ozio con la operosità.
Chiaritasi per tanto la causa dell'angoscia, mentre nel cielo le nubi correvano con un suono come un mare agitato ove la luna pareva sprofondata, distinto di aspetto, il bastone intorno al braccio,
i
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procedeva leggermente barcollando nelle vie deserte. Ma pure, nel camminare, sebbene avesse spiegato il motivo che gli faceva dolere il cuore, continuava a sentire una stretta intorno alla parte più segreta dello spirito. Si che, gli occhi verdi come fuori delle orbite, mentre l'ombra del corpo si ripeteva alla luce dei lampioni orlad di nebbia, il volto rugoso rappresentava una espressione tra la paura e una dolorosa pieta, che le spesse labbra concorrevano a sottolineare. E, allora che il vento pigro a stento agitava le cime nere degli alberi, ora platani ora tigli antichi, lui pur imponendosi un andamento serio e quasi solenne, lasciava involontariamente trasparire un che di trepidante e indifeso, che non chiedeva, bensì implorava aiuto. E, mentre le strade, silenziose come le botteghe che le rasentavano, andavano rincorrendosi in folla dietro i suoi passi, unico sollievo gli veniva da quell'idea che, sebbene avesse ridotta come un ricordo perduto al fondo torbido della memoria, pure, attraverso le tante opposizioni dell'essere, riusciva brevemente ad imporsi nella sua coscienza. Infatti, ogni qualvolta si proponeva in lui la frase che terminava il discorso dell'amico impiegato, con la quale veniva detto della sua bella vita col paragone delle margherite e delle perle, il funzionario sentiva come un mutamento interiore, rivolto ad allentare la stretta data al suo cuore. Non gia che la pace, per così dire, in quegli istanti gli colmasse l'animo; ma solo v'era che al disordinato movimento della sua coscienza si sovrapponeva un ordine quasi materiale che, pur rifacendosi ad un dolore, portava sollievo; e in quanto che l'individuare il motivo di una sofferenza concedere all'uomo di distruggere uno dei due aspetti del suo soffrire, che sono l'ignoranza del dolore e il dolore medesimo.
Intanto, sebbene soggiogato da quel comportamento morale che alternava alla verita dell'angoscia un groviglio di pensieri, mentre la citta dormiva di un sonno profondo, poneva ormai attenzione al suo cammino; e, leggendo il nome delle strade per evitare errori, infine si ritrovò nella via a forma di esse maiuscola, su cui si apriva la sua casa. E si era appena avanzato lungo il marciapiede, oltre una piccola automobile dei pompieri, quando fu trattenuto dall'andare innanzi da un singolare suono; che improvvisamente, allora che le nubi del cielo si erano fatte minacciose di pioggia, aveva preso a ripetersi quasi in risposta al pestare dei suoi passi. Ma pure, dopo una breve pausa usando molta prudenza riprese a camminare; e, forzata la vista alla luce dei lampioni, era andato fissando i grandi occhi colmi
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di stupore verso un corpo che, giusto [...]

[...]nuto dall'andare innanzi da un singolare suono; che improvvisamente, allora che le nubi del cielo si erano fatte minacciose di pioggia, aveva preso a ripetersi quasi in risposta al pestare dei suoi passi. Ma pure, dopo una breve pausa usando molta prudenza riprese a camminare; e, forzata la vista alla luce dei lampioni, era andato fissando i grandi occhi colmi
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di stupore verso un corpo che, giusto all'altezza del portone di casa, con rumor di ferrame si moveva in una corsa circolare. A mano a mano, però, che meglio scopriva la natura di quel suono, restituiva dignità al suo aspetto; e, pur tenendo prudentemente come arma il bastone, s'avvedeva che il rumor di ferrame era dovuto ad una scatola di latta che, legata alla coda di un cane, veniva vorticosamente girata dal timore della bestia inseguita da così strano suono.
Riconosciuto, intanto, nell'animale il bastardo di proprietà di un bambino che viveva in casa con lui, mentre soffiava il vento dello stomaco attraverso la bocca, si avvicinò con amore . al cane; e, vinto il capogiro che la testa dolorante favoriva, riuscì nell'intento di con quistarlo. Infatti, allora che la bestia si acquattava nell'angolo della bottega di un cappellaio, il funzionario, con un atteggiamento che a parer suo ispirava fiducia potette avvicinare l'animale dal pelo bianco pezzato marrone, e con le carezze liberare tanto della scatola di latta quanto del tremito, da cui la bestia era posseduta. Seguito quindi dal cane ancora timoroso e supplice, dimenticato il bastone contro la bottega del cappellaio, raggiunse il portone di casa, che simile al portale di una chiesa si apriva sulla via tra la bottega di un antiquario e l'altra indicata da un cartello rugginoso come fabbrica di bambole. Superato l'androne, che fortemente illuminato si divideva in due scale accanto ad un muro, ove alcuni cactus di già avevano assunto il colore della sabbia, si portò lentamente fino alla porta di casa; e qui, meravigliato dalla presenza della sorella Amelia e del bambino che viveva con loro, ancora la mano alla ringhiera, prese a rimproverare:
« Ti avevo pur detto », si rivolse alla sorella, mentre il capogiro lo costringeva ad una pausa, « di non attendermi. E poi fino a quest'ora tarda », era per continuare con la sua voce dura e chiara, quando ne fu interrotto da Amelia che sommessamente, mentre Enzo, il bam[...]

[...]actus di già avevano assunto il colore della sabbia, si portò lentamente fino alla porta di casa; e qui, meravigliato dalla presenza della sorella Amelia e del bambino che viveva con loro, ancora la mano alla ringhiera, prese a rimproverare:
« Ti avevo pur detto », si rivolse alla sorella, mentre il capogiro lo costringeva ad una pausa, « di non attendermi. E poi fino a quest'ora tarda », era per continuare con la sua voce dura e chiara, quando ne fu interrotto da Amelia che sommessamente, mentre Enzo, il bambino, vestito di pigiama rientrava col cane, gli faceva osservare:
« Eravamo ad attendere Fiocco, non te. Lo avevano così malridotto; e, ogni qualvolta si era tentato, di avvicinarlo, era fuggito guaendo. Povera bestia », infine commentava, nel momento in cui il fratello, distratto ormai dal suo groviglio di pensieri, ancora vestito di cappotto e cappello, si accingeva a raggiungere indispettito la propria stanza.
Michele Tempo, da quando la moglie ed il figlio morirono per una medesima disgrazia, di cui in famiglia si preferiva tacere, aveva ottenuto che la sorella Amelia, di lui maggiore e zittella, prendesse
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a vivere, sotto il suo stesso tetto. Riempendo una vita modesta, e senza avvedersi del tempo che ora imbiancava i loro capelli, ora dava qualche acciacco o poneva una misura al colore vivace degli abiti di[...]

[...] e cappello, si accingeva a raggiungere indispettito la propria stanza.
Michele Tempo, da quando la moglie ed il figlio morirono per una medesima disgrazia, di cui in famiglia si preferiva tacere, aveva ottenuto che la sorella Amelia, di lui maggiore e zittella, prendesse
26 MARIO DEVENA
a vivere, sotto il suo stesso tetto. Riempendo una vita modesta, e senza avvedersi del tempo che ora imbiancava i loro capelli, ora dava qualche acciacco o poneva una misura al colore vivace degli abiti di Amelia, i due fratelli avevano speso tanti e tanti anni in comune. Il loro accordo, che si era continuato come una lampada votiva, aveva subito una sola interruzione per via di Enzo: il bambino che, dianzi sugli scalini illuminati, preso tra le braccia il cane, gli occhi di bimbo colmi di lacrime, era sgattaiolato nella casa.
Enzo era il figlio naturale di una cameriera che, morendo di parto nel mettere al mondo una creatura, aveva affidato il suo bambino di cinque anni alla signora Amelia. Questo bimbo, sporco lacero e brutto, la sorella del funzionario prese ad amare con una devozione ed un affetto esemplari, fin dal momento che, venendole affidato, potette considerarlo come una cosa propria. Si che a nulla valsero i ragionamenti, le minacce e le abili parole di Michele rivolte ad allontanare il ragazzo dalla casa e, anzitutto, dalla vita di Amelia. Essa infatti dimostrò tanta fermezza di carattere, che il non cedere non solo avrebbe privato il funzionario della cura e dell'affetto di lei; ma anche dell'amministrazione di quei pochi beni che, dovendo Amelia
vivere da sola con il bambino, era costretta a domandare.
L'episodio di Enzo se aveva interrotto l'accordo dei fratelli Tempo, fino ad allora continuatosi .come una lampada votiva, tuttavia, non aveva dato luogo a rivolgimento di sarta nella loro famiglia; perché il funzionario, costretto a cedere, pur guardando con malevolenza il bambino, si era adoperato in modo che quella situazione, stata da sempre tra lui ed Amelia, fosse di nuovo la benefica realtà di prima. E, sottomettendosi ora a che Enzo frequentasse la scuola, ora a che gli portasse in casa un bastardo pezzato marrone o a curarlo durante qualche malattia nei due anni di convivenza, era riuscito a guadagnare affetto devozione e cura non mai ottenute.
Il bambino era di statura bassa, con un volto cui si attaccavano disordinati capelli chiari sopra una fronte di già larga. La espressione del viso, alla quale contribuivano orecchi a ventola, un naso lungo e dritto e, sulle guance sciupate, gli occhi castanei, era sincera e buona, quantunque di consueta un poco smarrita. Il carattere era remissivo, ma riusciva ad attuarsi in tutta pienezza soltanto alla presenza di Amelia; che aveva stabilito con lui rapporti di amicizia, uguaglianza e responsabilità reciproca. In tutti i minuti di due anni, essa si era prodigata per il bambino in modo assoluto e, donandogli moralmente
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e materialmente tutto quanto era nelle sue possibilità, ne aveva fatto L:n fanciullo attento e buono, che pareva avere ormai dimenticato del tutto la sua prima educazione, tanto nel sentire quanto nell'esprimersi.
Amelia Tempo, nata con una vita che la vide primogenita e zittella, si era ininterrottamente prodigata per gli altri, dimentica di sé, ma sempre persuasa che il rotolare dei giorni avrebbe comportato per lei, non ostante i mesi divenissero sempre più rapidi anni, una sorte benevola. Le pareva che il tempo; svolgendosi alla maniera di un papiro magico, ad un punto le avrebbe fatto saltare fuori un marito, ad un altro un matrimonio, e poi ancora un figlio, una bambina del tutto bionda, una famiglia nuova e più vera. Sorretta da tanta fede, innocente, si era fatta incontro agli anni come una prua che fende le onde, ritrovandosi bianchi i capelli sul capo, e sempre meglio adottando la volontà degli altri.
Alta solo quando il gracile corpo le era riflesso nell'ombra, aveva lunghi capelli bianchi stretti a cercine dietro il capo, un volto illuminato dal roseo pallore car[...]

[...]gendosi alla maniera di un papiro magico, ad un punto le avrebbe fatto saltare fuori un marito, ad un altro un matrimonio, e poi ancora un figlio, una bambina del tutto bionda, una famiglia nuova e più vera. Sorretta da tanta fede, innocente, si era fatta incontro agli anni come una prua che fende le onde, ritrovandosi bianchi i capelli sul capo, e sempre meglio adottando la volontà degli altri.
Alta solo quando il gracile corpo le era riflesso nell'ombra, aveva lunghi capelli bianchi stretti a cercine dietro il capo, un volto illuminato dal roseo pallore caratteristico delle zittelle e da occhi azzurri sopra gli zigomi sporgenti, e infine una espressione di sommessa felicità, che ad ogni età di lei tradiva una fede. Quella fede che poi, mancando per natura di essere sottoposta a riflessione, aveva ugualmente ritrovato come valida espressione e suo soddisfacente oggetto
l'incontro con il bambino. L'accordo di Amelia e di Enzo, dal tempo in cui quest'ultimo dovette essere solennemente ripulito, fu dapprima interessato, ma più tardi spontaneo e sincero al punto che ciascuno si prefiggeva soltanto l'interesse dell'altro: al dolce carattere e all'amore della donna faceva riscontro nel fanciullo il desiderio di essere buono. Si che la comune comprensione, guidata da Amelia come un cavallino docile, naturalmente li trovò d'accordo anche allora che si doveva attendere per porgere aiuto a Fiocco, il cane dal pelo bianco pezzato marrone.
Nella via a forma di esse maiuscola, un giovane, figlio del proprietario della fabbrica di bambole, usava vivere i suoi ozi in compagnia di una fisarmonica e del garzone del cappellaio. Ora, una tale compagnia non di rado risultava dannosa per gli abitanti della via; in quanta che la compiacenza che il garzone, un ragazzo dai capelli rossi, aveva per l'amico, favorendo un carattere malvagio, rap presentava senz'altro una incondizionata devozione. Cioè, quel sentimento riprovevole che tra la gente del popolo é generato dall'invidio
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sa ammirazione per il ricco, appartenente non già alla ricca borghe sia o a quella agiata, bensì ad una classe sociale di poco superiore alla propria. Standovi dunque un tale sentimento, il giovane volgarmente impomatato, vestito di abiti costosi, e dal nome che riduceva al vezzeggiativo di Giogiò, si serviva del compagno per attuare l'uno o l'altro scherzo malvagio, senza mai dimostrarsene responsabile. E, ancora una volta senza parere, aveva attuato una sua piccola vendetta, per un insulto venutogli dal funzionario, con l'imporre al garzone di legare una scatola di latta alla coda di Fiocco. Il cane scacciato aveva preso a correre, inseguito dal rumore come di ferrame; e ad ogni tentativo di avvicinarlo, guaendo, era fuggito sino all'ora in cui aveva ceduto parte del suo terrore dinanzi all'atteggiamento del funzionario.
Essendo intanto falliti i tentativi di Amelia e di Enzo di portare aiuto a Fiocco, la loro comune comprensione e l'affetto che ugualmente avevano per la bestia li aveva fatti scoprire d'accordo nell'attendere ancora ad un'ora tarda della notte. Sebbene vestiti del solo pigiama, tenendosi caldi con una coperta a scacchi, si erano seduti al buio, dietro i vetri del balcone che dava sulla via, al fine di spiare, almeno, il comportamento del cane. Vedutolo quindi ridotto a ragione nello angolo della bottega del cappellaio, quantunque si fossero proposti di non farsi scoprire in quella attesa, pure, sapendolo di ritorno erano corsi sugli scalini illuminati, non curanti del proponimento e facendo nascere dispetto in Michele; il quale, prima che Amelia raggiungesse la propria camera, si era ritirato ancora vestito di cappotto e cappello.
La camera di Michele era adiacente a quella che la sorella divideva con. Enzo; e una sottile parete consentiva al funzionario di ascoltare i dialoghi detti accanto, pure se detti sommessamente. Mentre la testa gli doleva e la ebbrezza de[...]



da Sergio Solmi, Distrazioni in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: DISTRAZIONI

Il leopardiano Dialogo della Moda e della Morte risente di un’epoca in cui la moda, per la sua persistente ieraticità, conservava, più di oggi,

i suoi legami con la morte, che l’ideale moderno del comfort ha in parte erosi.

La moda come precorrimento e riassunzione esteticosimbolica di fasi storiche. Una certa pettinatura sconvolta, a fiaccola, preesistenzialistica, primo sintomo della seconda guerra mondiale. Nella primavera del 1948, l’apparizione per le strade di certe enormi gonne tipo abatjour preannuncio la schiacciante vittoria della Democrazia Cristiana.

Il gusto delle forme ridondanti, del plantureux (Lollobrigida, Marilyn Monroe), che ha sostituito il mito androginico e vampiresco del primo scorcio di secolo. Ci sono precedenti storici (rivedere, quando possibile, nella Vita di Goya di Eugenio D’Ors, il capitolo dedicato alla Maya desnuda). Un ideale erotico da pouponnière ha preso il posto della Vamp che ha dominato l’epoca simbolista, quella dannunziana e quella immediatamente postdannunziana.

Quali pronostici se ne possono trarre? Non sembra semplice. Vedere quel curioso scrittore americano di fantascienza, Fritz Leiber, e quali presagi apocalittici deduce da queste indicazioni del gusto e dell’eros collettivi. Non è detto, purtroppo, che la predisposizione all’infantilismo, quale denunciata dalla moda americaneggiante, dal gioco di « lascia o raddoppia », dalla lenta ma inesorabile sostituzione del vino con la cocacola, debba ricondurci all’innocenza, riaprirci i cancelli del paradiso terrestre.

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Il mio amico Piero Martina, figlio di operai torinesi di vecchio ceppo, è un concentrato di « torinesità », come si vede anche dalla peculiare eleganza del suo segno pittorico. Non è perciò un caso, ma devo leggerlo in termini di destino, il fatto che, dopo tanti anni, sia lui a condurmi su di una sconquassata « giardinetta », in un rapido giro per la mia vecchia città.94

SERGIO SOLMI

Sfuggo i vortici neri, i buchi fondi del ricordo e del dolore. Al Valentino, malamente ostacolato da uno dei soliti concorsi automobilistici* la rapida veduta del passeggio domenicale sullo sfondo del fiume, con la collina a ridosso, carica delle ville variodipinte che l’« epoca Guaiino » cominciò ad aggiungere alle due stratificazioni tradizionali dell’architettura torinese, l’epoca Carlo Felice e quella Umbertina. L’incanto coloristico, il lento armonioso movimento dei passeggiatori, e si opera tosto il clic psicologico, l’assunzione del paesaggio al cristallo del «già veduto », all’eternità momentanea di cui sono materiati i ricordi profondi* Soltanto, oggi li posso rileggere in termini di technicolor, mentre ieri, tutt’al più, in quelli di illustrazione da Domenica del Corriere. Tornando a Milano, alla Stazione Centrale, un manif estora:/# e illuminato in trasparenza mi offre uno specimen dei paradisi colorati che già ci apersero la pubblicità degli alimentari sulle riviste americane, o il cinerama. Scampati al napalm e ai campi di concentramento della seconda guerra mondiale, il secolo ci assiepa delle sue preziose e nitide immagini, dei suoi balocchi confortevoli, dei suoi più accreditati panorami serviti al minuto, ci lascia intravvedere la promessa di sempre più delicate anestesie. Ringrazio il secolo.

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I BRUCHI. Verso la fine d’ottobre, sulla facciata del muro esposto a mezzogiorno, cominciavano a discendere, provenienti dall’orto retrostante, i bruchi verdi delle cavolaie. Una certa mattina, ispezionando la superficie scabra, scorgevo, appese ai loro robusti fili, le crisalidi in cui alcuno di essi si era tramutato, mentre altri, originariamente parassitati da certe farfalline carnivore, erano schiattati, esprimendo i loro voraci ospiti, un mucchietto di minuscoli bozzoli gialli, presso ai quali pendeva una floscia e morta spoglia.

Mi stupivo, considerando la nessuna cautela dei bruchi nello scegliere il luogo della loro metamorfosi : il più spesso sulla parte bassa del muro, in una tenue scanalatura fra le pietre, a portata del primo passante che avrebbe potuto, con un leggero gesto della mano distratta

o curiosa, sopprimere il gracile individuo. Dovevo concluderne la pressoché totale trascendenza del nostro al loro mondo: deducibile dallo stesso volo capriccioso e spezzato delle farfalle, analogo nella sua funzione al colorito mimetico, predisposizione organica e meccanica delle specie contro la morte, improvvisamente materializzantesi nella rossaDISTRAZIONI 95

voragine d una gola d’uccello, nella rete o nella mano concava d’un ragazzo. Pericoli cui l’individuo, con le sue risorse d’istinto autonomo, non potrebbe parare. Nell’orizzonte lenticolare, scabro e circoscritto, di questi bruchi, non entravano evidentemente le immense ombre dei passeggiatori in attesa del tram.

Quest’anno, la cavolaie hanno disertato il muro: e sì che, dalla porticina spesso socchiusa, per tutto l’inverno hanno continuato ad occhieggiare le enormi rosacee dei cavoli color verde antico. Durante la primavera, l’orto è scomparso: è stato trasformato in terreno da costruzioni, e scorgo operai che vanno e vengono con attrezzi e sacchi di cemento. L’unica crisalide che fossi riuscito a rintracciare, ultimo superstite esemplare della stirpe[...]

[...]dei cavoli color verde antico. Durante la primavera, l’orto è scomparso: è stato trasformato in terreno da costruzioni, e scorgo operai che vanno e vengono con attrezzi e sacchi di cemento. L’unica crisalide che fossi riuscito a rintracciare, ultimo superstite esemplare della stirpe, s’è disseccata senza schiudere il volo al delicato insetto. Mi piace fantasticare che l’intera colonia ha « previsto » fin dallo scorso autunno la prossima distruzione del suo ambiente vitale, ha per tempo emigrato e deposto altrove le sue uova. Forse nell’acquisto e nel perfezionamento lento, attraverso i millenni, di questa capacità di «previsione», è il suo «progresso». Penso agli insetti razionali (e giganti) che scienziati immaginosi come Hòrbiger hanno situato nella remota preistoria del nostro mondo, e la cui mostruosa intelligenza s’è a poco a poco automatizzata in quello che chiamiamo istinto (in base alle convenzioni logiche che presiedono alla nostra «ragione»).

Sempre mi ha colpito questa trascendenza reciproca delle forme di vita, che moltiplica in una dimensione disperata l’inevitabile trascendenza delle singole coscienze tra loro. Mi sono spesso perduto a suppormi da quel punto di vista talmente esterno e remoto, di fronte a cui le modificazioni della nostra storia, i progressi della nostra tecnica, non abbiano più senso del dilatarsi d’una muffa, di un lichene sopra una roccia, del ramificarsi di una vegetazione. Vivere nell’immanenza è, in ogni caso, una scelta — sia pur necessaria — un superare con un gesto di volontà il momento di colorita vertigine e smarrimento che è forse la nostra prima e più autentica reazione al mondo, per incanalarci nelle strutture razionali che a quel mondo danno un senso almeno internamente valido per l’esplicazione del nostro ciclo vitale. Ma guai se quel brivido di pungente irrealtà, o di nulla, o di extratemporalità, guai se quell’aria d’abisso non fiatasse di tanto in tanto sui nostri volti. Un impegno terrestre troppo insistito, un eccesso di realtà ci renderebbe la vita impossibile. I nostri atti resterebbero per sempre imprigionati in un blocco atrocemente impensabile, come nelle mitiche immagini dell’inferno. La salvezza è nel fatto che, senza saperlo o sapendolo, noi pen96

SERGIO SOLMI

siamo e viviamo sul filo esatto (furia contraddizione. Per questo, finché durerà la storia dell’uomo, vi saranno sempre, sui ripiani dell’Himalaya, monaci tibetani a contemplare attoniti un cielo indecifrabile.

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Credendosi solo nel tram fermo al capolinea, all’una di notte, in attesa dell’ultima corsa, il giovane missino in maglione nero butta indietro le spalle, si atteggia fiero sporgendo il mento nel noto profilo imperatorio. Mi sforzo di immettermi in lui, di combaciare col suo orizzonte. Probabilmente questa equivoca e travagliata democrazia deve apparirgli una fase d’oscuramento transitorio imposta dalla malasorte al nostro paese, al termine della quale si ridischiuderà infallibilmente una visione luminosa di risorti fasci littori e aquile romane. I dati dell’attuale situazione internazionale non hanno probabilmente per lui molto senso, tantalizzato come ancora dev’essere dalla perfida Albione e la corrotta Francia[...]



da Vittorio Lanternari, Scienze religiose e storicismo: note e riflessioni in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: SCIENZE RELIGIOSE E STORICISMO:
NOTE E RIFLESSIONI
Di un odierno risveglio d'interesse per le scienze religiose nel mondo laico italiano, di una approfondita curiosità per i fatti pertinenti alle tradizioni religiose le più disparate, di una accentuata attenzione del pubblico non solamente d'elevata, ma anche di media cultura per la conoscenza di ciò che é religione nella vita dei popoli, esistono segni evidenti: si consideri da un lato la stimolante accoglienza del pubblico stesso alle edizioni di carattere storicoreligioso od etnologicoreligioso, dall'altro il concomitante intensificarsi delle iniziative editoriali in materia, l'aprirsi dello stesso mondo culturale cattolico a nuove esigenze di riflessione sociologica sui fatti religiosi (la « sociologia religiosa » cattolica), infine l'accendersi di dibattiti e polemiche circa i rapporti fra vita religiosa e civile, fra religione e società o scuola o stato: fenomeni i quali nel loro insieme denunciano[...]



da Sergio Solmi, Inchiesta sull'arte e il comunismo. Nota sul comunismo e la pittura in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: NOTA SUL COMUNISMO E LA PITTURA
I rapporti tra arte e comunismo non possono non preoccupare chi, come il sottoscritto, ravvisa negli ideali socialistici e comunistici il grande mito dell'età moderna, e si ritrae sgomento di fronte alla cecità delle classi borghesi nella loro stolta difesa di privilegi e nella loro stupefacente incomprensione del senso attuale della storia. Eppure, é proprio alla comprensione e alla capacità di sacrificio e di rinnovamento della borghesia che sono affidate le prossime sorti della libertà del mondo, tra cui quella della cultura e dell'arte.
Che cosa si deve intendere per rapporti tra arte e comunismo? Non, evidentemente, quelli che potranno esistere in un'ipotetica società comunista di domani, che non sappiamo se ed in quale forma si realizzerà. Anche senza dircelo, sappiamo tutti benissimo che, parlando di quei rapporti, si vuol alludere all'esperienza sovietica e a quella che, sotto la guida della Russia, sta rapidamente compiendosi nei paesi delle cosiddette «d[...]

[...]ndo, tra cui quella della cultura e dell'arte.
Che cosa si deve intendere per rapporti tra arte e comunismo? Non, evidentemente, quelli che potranno esistere in un'ipotetica società comunista di domani, che non sappiamo se ed in quale forma si realizzerà. Anche senza dircelo, sappiamo tutti benissimo che, parlando di quei rapporti, si vuol alludere all'esperienza sovietica e a quella che, sotto la guida della Russia, sta rapidamente compiendosi nei paesi delle cosiddette «democrazie popolari ». vale obbiettare che poco conosciamo della Russia e degli altri paesi: la logica del sistema é inflessibile, e del resto le testimonianze, pro e contro, concordano. Si vuol significare, cioè, una inserzione, imposta e guidata dall'alto, di particolari «contenuti» nello svolgimento delle espressioni della letteratura e dell'arte: contenuti che sono, nello stesso tempo, anche forma, tenute presenti le finalità educative e divulgative dei programmi culturali del comunismo.
Lo spirito formato, come il mio, alla scuola della spontaneità liberale, suole, a questo punto, senz'altro scandalizzarsi e rifiutare ogni ulteriore discussione. Forse a torto. Meglio vale intendere in che cosa effettivamente si concreti l'« imposizione» comunista e quale ne sia il reale senso; e cercar di vedere quali possano essere le conseguenze sulla libertà della cultura e dell'arte nell'ipo
62 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
tesi di un crollo, o di una profonda modifica, delle attuali strutture economicosociali. E conviene prendere le mosse da una fondamentale antinomia, insita nel concetto stesso dell'arte, che, mentre da una parte si presenta come determinata espressione storicosociale, condizionata da un dato ambiente di costume e di cultura, dall'altra reca inevitabilmente in sé un elemento anarchico, e per dir così, antisociale, tendendo spesso a fiorire al limite dei divieti, e implicando altrettanto spesso una palese e talara sotterranea opposizione alla « mentalità corrente ». E, in sostanza, il rapporta dialettico individuosocietà che anche qui si riflette, e, mentre nelle grandi epoche attenua il contrasto sempre in esso latente, in quanto l'eccezionalità e lo scandalo finiscono con l'inserirsi con piena naturalezza e respiro in un mondo armonico di cultura, nelle epoche difficili e di crisi si accentua, talara fino alla dram maticità.
Naturalmente, i tentativi di pianificazione nel campo della cultura non possono che sacrificare questo secondo elemento o peculiarità dell'opera d'arte, che vi si sottrae addirittura per definizione; fanno leva invece sul primo, ossia sull'aspetto sociale, cercando anzi di infondere ad esso una finalità educativa e di contributo alla formazione di una nuova coscienza collettiva. Il contrasto con la necessaria spontaneità dell'arte è evidente, e la prevalenza della mediocrità dei risultati é fatale. Comunque, é giusto riconoscere che quei tentativi non vorrebbero completamente pre scindere dalla spontaneità, bensì, anzi, intenderebbero [...]



da (9 Domande sul romanzo) Elsa Morante in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: ELSA MORANTE
Per evitare ogni malinteso, io penso che convenga, da principio, mettersi d'accordo sulla definizione di romanzo. Mi sembra difatti che, in proposito, esistano ancora delle convenzioni, tutte esteriori, che limitano o confondono i giudizi.
Secondo l'opinione corrente, meriterebbe il titolo di romanzo qualsiasi narrazione in prosa che sia comunque legata, nelle sue parti, da un intreccio unitario, e che, nella sua mole cartacea, raggiunga un peso non inferiore a un certo numero di ettogrammi. Di conseguenza, succede che chiunque abbia riempito 300 pagine di pettegolezzi, oppure abbia allungato fino a 300 pagine una novelletta amena, si presume autore di un romanzo. Mentre che, magari, per difetto di uno o due ettogrammi di peso, vengono classificati altrove che fra i romanzi alcuni modelli perfetti di romanzo, quali, a esempio, « La steppa » di Cekof.
Inoltre, succede pure, che, secondo le rigide, e talora incongrue, determinazioni dei « generi », le storie letterarie àccademi' che, nelle loro trattazioni del romanzo, studiano, si, fra i romanzi
18 ELSA MORANTE
— com'è logico —, « L'asino d'oro », per esempio, o il « Don Chisciotte »; ma non, invece, l'« Eneide », per esempio, o l'« Orlando furioso », che pure, nella loro sostanza, sono assolutamente dei romanzi, e andrebbero studiati sotto lo stesso titolo dei due primi. Nei riguardi dell'arte del romanzo, non importa se questi siano scritti in prosa, e quelli in versi. Anche nell'arte del teatro, si possono dare drammi in versi, o in prosa; ma non se ne determinano, in conseguenza, due « generi » distinti. « Il giardino dei ciliegi » appartiene all'arte del teatro, come vi appartiene « The cocktail party ».
Per quanto mi riguarda, io confesso che arrivo addirittura a considerare romanzi il « Canzoniere » di Petrarca, per esempio, o « I Sonetti » di Shakespeare (per le stesse considerazioni sostanziali per cui si chiama romanzo « La princesse de Clèves » o « A la recherche du temps perdu »).
Già altre volte (per esempio nel 1957, a proposito del « Can zoniere » di Saba) mi è capitato di esporre le mie ragioni su simile argomento. E mi si scuserà, dunque, se, ripetendo, in parte, cose già dette allora, riproporrò qui una definizione del romanzo che a me sembra giusta (ma che do, naturalmente, per quello che vale) :
«Romanzo sarebbe ogni opera poetica, nella quale l'autore — attraverso la narrazione inventata di vicende esemplari (da lui scelte come pretesto, o simbolo delle « relazioni » umane nel mondo) — dà intera una propria immagine dell'universo reale (e cioè dell'uomo, nella sua realtà) ».
Non occorre far notare, evidentemente, che opera poetica significa, per definizione, un'opera che, attraverso la realtà degli. oggetti, renda la loro verità poetica: è inteso da tutti che questa verità è l'unica ragione del romanzo, come di ogni arte. L'interezza, poi, dell'immagine rappresentata, distingue il romanzo dal racconto. Il racconto, difatti, rappresenta un « momento » di real tà, mentre il romanzo rappresenta una realtà (da questo non si. desume, tuttavia, una superiorità poeti[...]



da (9 Domande sul romanzo) Elémire Zolla in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: ELÉMIRE ZOLLA
« Allora il Signore mandò contro al popolo dei serpenti .ardenti, i quali mordevano il popolo; onde molta gente d'Israele mori.
« E il popolo venne a Mosé e disse: Noi abbiamo peccato; conciossiaché abbiamo parlato contro al Signore e contro a te; prega il Signore che rimuova d'addosso a noi i serpenti. E Mosé pregò per il popolo.
«Il Signore disse a Mosé: Fatti un serpente ardente e mettilo sopra un'antenna; e avverrà che chiunque sarà morso, riguardando quello scamperà ».
La esatta rappresentazione del male, la critica fine a se stessa che delinea i confini del male e gli dà forma, reca salute.
Anche il romanziere é chiamato a issare un serpente di bronzo sopra un'antenna, la sua missione é intimamente sacerdotale.
Ma il male ha per essenza la mutabilità poiché è del tempo oltre che nel tempo. Perciò nel deserto era il morso del serpe ar dente e voleva il serpe di bronzo, ma già al tempo di Ezechia questo non aveva piú senso e fu distrutto; nella Gerusalemme romana il male era il giogo della legge che chiedeva come serpe da contemplare uno strumento di tortura. Chi avesse mostrato serpi ardenti ai cittadini dei Cesari non avrebbe recato salute. Chi oggi
66 ELÉMIRE ZOLLA
mostri uno strumento di tortura in forma di assi compenetrate non reca salute, poiché le camere a gas sono state banalità quotidiana. In una situazione in cui la combustione universale dipende dall'umore di pochi semianalfabeti non è forse più acconcia l'immagine di K. del Castello, segnito a ogni passo dagli assistenti idioti ?
Oggi è al romanziere che spetta di individuare con nitore il male. Infatti dal mondo sono spariti i riti iniziatici, non si sa più morire per rinascere, attraversare gl'inferi e risalire, subire le prove e disporsi alla luce, ed il romanzo nasce per rimediare alla mancanza: le peripezie dell'eroe sono il mistero per chi non ha istituzioni sociali che glielo forniscano. Non a caso il segreto che spinse Petronio a scrivere il Satyricon è nel passo del discorso di. Trimalcione che Eliot premise al Waste Land: « Poichè io stesso [...]

[...]idioti ?
Oggi è al romanziere che spetta di individuare con nitore il male. Infatti dal mondo sono spariti i riti iniziatici, non si sa più morire per rinascere, attraversare gl'inferi e risalire, subire le prove e disporsi alla luce, ed il romanzo nasce per rimediare alla mancanza: le peripezie dell'eroe sono il mistero per chi non ha istituzioni sociali che glielo forniscano. Non a caso il segreto che spinse Petronio a scrivere il Satyricon è nel passo del discorso di. Trimalcione che Eliot premise al Waste Land: « Poichè io stesso vidi la Sibilla coi miei occhi, a Cuma, appesa in una bottiglia: e quando i fanciulli le domandarono: Sibilla, che cosa vuoi ? ella rispose: Voglio morire ».
I mali che si debbono contemplare e assimilare, le morti che si debbono subire per vivere rinascendo sono delineati nel corso dell'iniziazione dell'eroe. Ma quale sia il rituale giusto tocca al romanziere di volta in volta riscoprire; egli deve soltanto sapere che, a differenza di altri artisti, gli compete di costruire un labirinto dove l'eroe subisca delle traversie, questo è il suo modo di offrire un serpente o un crocifisso.
In qual senso oggi il romanzo sia critica è stato detto in modo sufficiente da Adorno nel saggio Conciliazione forzata (1). Il ro
manzo è critica del reale, ma proprio perciò non ha da dirigersi in convoglio da nessuna parte, reincarnandosi di volta in volta
proprio in quanto non risponde ad un dover essere socialmente
consacrato o comunque prevedibile. Sciagurata quanto l'idea che si possa sapere ciò che si deve scrivere é l'altra che non si debba
sapere. Il culto della fabbricazione consapevole e quello dell'ispirazione sono due facce opposte d'una stessa maledizione, cui soccombono i candidi per furbizia, i deboli per bisogno di rassicurazione:
(I) T. W. ADORNO, La conciliazione forzata. « Tempo Presente », marzo 1959.
9 DOMANDE SUL ROMANZO 67
coloro che vorrebbero sapere come è fatto il male prima di averne creata l'immagine e coloro che s'aspettano di vederne nascere l'immagine senza averla cercata nella notte oscura tendendo le loro facoltà d'amore e conoscenza.
Le norme rettoriche nascono dai romanzi passati come le norme civili nascono dalla comunità dei padri. Le segue chi teme i mani, chi è ancora malvivo, non perfettamente pubere ed emancipato. Ai padri si obbedisce davvero e ai loro mani si presta riverenza autentica soltanto involontariamente, per una loro rinascita dentro di noi quando non ce ne difendiamo e non procuriamo di riverirli, quando verso di loro nutriamo rispetto soltanto nel senso etimologico, di guardare attentamente, respicere. Gli osservanti di proposito sono spenti ipocriti, superflui imitatori. Peggio ancora sono gl'inventori di nuove norme, che a queste procurano di adeguarsi, sottomettendosi al gratuito arbitrio, fanatici senza felicità, non irrigati dal passato.
Un romanzo come un'opera buona non nasce per ossequio a, leggi ma per fede. Per ottenere fede (che faccia sperare di sgominare il male foggiando un serpente, cacciando se stessi come protagonisti in un labirinto sacro di prove iniziatiche) non c'è ricetta o norma. Fede é lo stato in cui non si ha bisogno di norme.
«La lampada del corpo é l'occhio; se dunque l'occhio tuo é puro, tutto il tuo corpo sarà illuminato ».
Come purificare l'occhio e quindi ottenere fede ? Si dà soltanto una raccomandazione negativa: non cercare il bene che ti consoli, ma contempla il male che ti dispera e esploralo fino agli estremi confini. Se la critica sarà costante l'occhio vedrà in purezza non ciò che vuole che sia ma ciò che è, e la mano traccerà il romanzo che lo rappresenta perfettamente. Chi lo leggerà con pari purezza sarà salvo dai morsi.
Il trattato sulla pittura di Ch'ing Tsai T'ang (2) dice:
« Fra coloro che studiano pittura alcuni si sforzano di ottenere un effetto elaborato, altri preferiscono il semplice. Né la complessità in sé né la semplicità in sé sono sufficienti.
(2) The Tao of Paintin[...]


precedenti
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine , nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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