Brano: di blocco, durò cinque giorni. A Firenze ci avevano detto che lassù c’erano duecento soldati sbandati, ma armati; il nostro compito era di riorganizzare questi sbandati, svolgere opera di chiarimento e orientamento politico e di costituire una formazione parti giana. Arrivati in Monte Giovi ci si fermò sull’aia di una casa di contadini e si chiese di un certo Aurelio Piani e di un certo “ Ballotta ”, uno che accompagnava i cacciatori di città e che il Gandi, uno dei miei compagni, conosceva per essere stato due o tre volte a caccia con lui. Questi contadini a veder arrivare un gruppo di persone di città, un paio delle quali, fra cui io, avevano un maglione nero, che chiedevano del Piani, ci presero per fascisti e ci si misero tutti intorno fino a circondarci completamente. Dopo un po’ arrivò uno che poi si rivelò per il Piani, un muratore della zona che aveva un grande ascenden[...]
[...]rci chi eravamo, di dove venivamo, chi ci aveva mandati, come la pensavamo ecc. Fu un vero e proprio interrogatorio al termine del quale, chiariti tutti i dubbi e visto che eravamo affamati, il Piani disse a quella gente di portarci da mangiare. Mentre ci sfamavano il Piani ci spiegò che tutta quella diffidenza era dovuta al fatto che nella zona erano nascosti circa duecento prigionieri alleati scappati da un campo di concentramento che c’era in Monte Giovi, ospitati dai contadini. Cominciò così la nostra attività partigiana che fin dall’inizio mirò a stabilire le migliori relazioni possibili con la popolazione di Monte Giovi tanto è vero che ben presto riuscimmo a stringere attivi rapporti anche col parroco di Acone, che era una degnissima persona.
Questa nostra attività che creò le condizioni essenziali per il successivo sviluppo della Brigata “ Lanciotto ” dette presto i primi risultati: già nel novembre del ’43 i contadini, senza che nessuno gli dicesse niente, quando facevano l’olio ne davano una parte al padrone, una parte la tenevano per sé ed una parte la davano ai partigiani. Altrettanto avvenne al momento della raccolta di tutti gli altri prodotti. Per il Natale del ’43 eravamo in 17 o 18 attendati a [...]
[...]ale chi in una casa e chi in un’altra, ma tutti quanti
— e questo posso dirlo non solo sulla base della mia esperienza personale, ma anche di quanto mi raccontarono allora gli altri miei compagni — fummo trattati come se fossimo stati dei figli
tornati dopo dieci anni di guerra. E una cosa questa che a raccontarla mi commuove ancora. Ma questi sono solo alcuni episodi ed io credo di poter dire senza paura di essere smentito che in tutto il Monte Giovi non c’era contadino, anzi è più esatto dire che non c’era un abitante che non fosse con noi: a qualsiasi ora del giorno o della notte un partigiano bussava alla porta di un contadino era certo che gli aprivano; bastava che un fascista passasse la Sieve in un qualsiasi punto che si veniva subito a saperlo. Gli unici ad essere detestati erano quelli che facevano il mercato nero; i contadini di Monte Giovi erano capacissimi di darci tutto quanto avevano, ma se qualcuno avesse fatto tanto di dire “ ce l’hai dieci chili di grano? Lo porto a casa ” poteva essere certo che in quella casa non sarebbe entrato più e che sarebbe stato evitato il più possibile.
Purtroppo la Resistenza ha restituito poco a tutta questa gente, ma d’altro canto come si possono restituire questi tesori di solidarietà, che nessun partigiano potrà dimenticare?
[dalla testimonianza di Ugo Corsi, presso Vlstituto Storico della Resistenza in Toscana]
Premi amari del “ camerata ” tedesco e ri sposta più amara dei contadi[...]