Brano: [...] 'I nemico
Nel frattempo si chiarirono anche le ragioni dell’accenno, fatto dal proclama, riguardo ai « contatti » avuti col nemico. La cosa risaliva a un episodio verificatosi ai primi di agosto, i cui sviluppi avrebbero avuto una portata per tanta parte decisiva sulle successive vicende della « Pasubio », fino agli ultimi giorni della Guerra di Liberazione.
Il 12.8.1944 una pattuglia scesa a Caldiero Veronese per giustiziare o catturare il maggiore Ciro Di Carlo, comandante del 40° Battaglione Mobile della G.N.R., dopo aver vanamente atteso l'ufficiale aveva prelevato dall’abitazione di questi il figlio sedicenne e l’attendente. Proposito del capopattuglia partigiano era di scambiare i due sequestrati con i famigliari di Marozin presi in ostaggio dai nazisti: la figlia (che aveva meno di due anni), la madre, la sorella e
il fratello. Immediatamente il cappellano del 40° don Gildo Cbvili e il segretario del Vescovo di Verona arrivarono al Comando della « Pasubio » per iniziare le trattative e, con altrettanta prontezza, Marozin co[...]
[...]ati). Questi due ultimi verranno successivamente catturati dai nazifascisti, durante la caccia ai nuclei dispersi della « Pasubio », distrutta in settembre, e saranno impiccati: l’uno a Velo Veronese, l’altro a Pasquali di Crespadoro.
La madre e la sorella di Marozin, internate nel lager di Bolzano, torneranno a casa nel maggio 1945, mentre il fratello, deportato in Germania, scomparirà nei campi di sterminio.
Colpito dal gesto di Marozin, il maggiore Di Carlo rilasciò a sua volta alcuni ostaggi e chiese di incontrare il Comando della « Pasubio ». Da qui gli accennati « contatti col nemico ». Questi si concretizzarono il 21 agosto, durante un incontro nel quale, secondo il verbale steso da Turiddu (Angelo De Stefani), tra l’altro si disse: « Il Magg. Di Carlo espone chiaramente la sua fede fascista e la sua devozione all’alleato tedesco perché lo riconosce fedele e unico che potrebbe portare l’Italia alla dignità di Nazione libera. Manifesta il desiderio per l’avvenire di venire ad accordo, perché si potesse, nell’interesse della nostra Patria, evitare fatti luttuosi che servono solamente ad acuire l’odio di parte e a scindere gli italiani in due campi. Il comandante Marozin espone chiaramente lo scopo della lotta da lui combattuta e cioè quello della libertà della Patria, la cacciata del tedesco, unico responsabile della nostra rovina. [...]
[...]lva di Progno, dove erano stati fatti affluire tre battaglioni partigiani. Il colloquio durò qualche istante: fu aperto da un alto ufficiale tedesco che, con arroganza, chiese a Marozin cosa volesse; fu chiuso da Marozin' che rispose sferrando una bastonata sul tavolo, rivendicando la necessità della lotta partigiana e dando cinque minuti di tempo agli interlocutori per allontanarsi.
Rileggendo oggi il verbale del primo incontro tra Marozin e il maggiore fascista Di Carlo, si coglie quanto di comune vi fosse nella ideologia (la retorica nazionalistica) di uomini pure schierati in campi contrapposti: ma di grande nobiltà allora apparve (e rimane) il comportamento di Marozin che non chiese la liberazione dei propri famigliari come pure avrebbe potuto, bensì quello di Lorenzo Fava e degli ostaggi. Quando si diffuse la notizia di questo comportamento di Marozin, si rinsaldò il suo ascendente tra i partigiani, i quali si sentirono garantiti sulle trattative, di cui non si conosceva con precisione l’oggetto.
La tregua di quattro giorni, con [...]