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Il segmento testuale Gramsci è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
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da [Gli interventi] Gilbert Moget in Studi gramsciani

Brano: Gilbert Moget

Amici e compagni, parlerò della concezione della cultura in Gramsci, perché è l’aspetto dell’opera di Gramsci che mi è sembrato, sin dalla prima lettura, tra i più interessanti.

Ho cominciato un lavoro intitolato Gramsci e la cultura in Italia., che è stato accettato dall’Università di Parigi come argomento di tesi. Non è tuttavia mia intenzione fare una trattazione completa del concetto di cultura nell’opera di Gramsci, che comunque non sarei in grado di sviluppare. Vorrei solo dire ciò che rappresenta, per un comunista francese, orientato verso l’Italia come verso una seconda patria intellettuale, il grande contributo di Gramsci alFelaborazione di una concezione nuova della cultura, scegliendo, evidentemente, i punti che mi sono apparsi più rilevanti.

Opponendo, cioè, alla concezione tradizionale della cultura, il cui rappresentante più largo e aperto mi pare essere in Francia il filosofo e critico Alain (morto nel 1951), la concezione di Gramsci, vorrei mettere in rilievo il senso nuovo dato alla parola « cultura » da una concezione della filosofia della prassi che pone la dialettica come metodo fondamentale, gnoseologico; il senso di massima estensione e comprensione dato alla cultura, se questa non concerne solo una casta, una élite, ma tutti gli uomini che pensano e operano in una società determinata, che sono elementi di uno stesso « clima culturale », il cui pensare e operare definisce un certo « senso comune », base di qualsiasi inventario e elaborazione culturali; il senso dinamico della cultura che vogliamo storicamente costr[...]

[...]benché sia quella di un umanesimo tradizionale aperto quanto è possibile, non ha abbandonato il miraggio di quell’uomo da ritrovare, di quella permanenza di una natura umana o dell’uomo, già tipica della concezione rinascimentale. L’ambiguità che c’era nel Rinascimento, paganesimocristianesimo, è scomparsa, ma la concezione della cultura, in un radicale come Alain, è praticamente rimasta la stessa.

A questa concezione umanistica tradizionale, Gramsci oppone la concezione della cultura quale può impostarla, appunto, la filosofia della prassi. È una concezione totale, universale, la quale non può essere scissa dalla stessa filosofia della prassi, quindi dalla storia, dalla pratica. La concezione di Gramsci mi pare tipica di una sua volontà di cogliere la realtà nel suo complesso, dando alla filosofia della prassi un nuovo sviluppo, e il carattere particolare di una ricerca che opera sul terreno nazionale. La concezione di Gramsci apre prospettive nuove, pur rimanendo sempre legata a una concezione del mondo e dell’uomo. Gramsci ingrandisce fino all’universale la comprensione della cultura.

1 Lettres à S. Solmi sur la philosophie de Kant, Paris, Hartmann, 1956, p. 63.Gilbert Moget

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La cultura assume il suo vero significato dalla stessa definizione della filosofia della prassi concepita come storicismo assoluto, come umanesimo assoluto, legata quindi ad una concezione della storia e dell’uomo che Gramsci ribatte come principio fondamentale, opponendola a quella delle filosofie che postulano implicitamente o esplicitamente una « natura umana ». Gramsci infatti, fa questa domanda : « cos e l’uomo?» e risponde: «L’uomo è un processo e precisamente il processo dei suoi atti. E vogliamo sapere cosa siamo oggi e non in qualsiasi tempo e non in qualsiasi vita, ma in funzione di ciò che abbiamo visto, in funzione di ciò che abbiamo fatto, che abbiamo riflettuto ». La cultura, definita in rapporto con l’uomo storicamente definito « il processo dei suoi atti », si oppone quindi ad una concezione statica di un uomo permanente, di una faccia dell’uomo o di un certo « umano » da ritrovare attraverso l’arte, ciò che appunto tentava l’umanesimo tradizion[...]

[...]finito « il processo dei suoi atti », si oppone quindi ad una concezione statica di un uomo permanente, di una faccia dell’uomo o di un certo « umano » da ritrovare attraverso l’arte, ciò che appunto tentava l’umanesimo tradizionale; la cultura assume tutta l’umanità, tutto l’umano, è assoluta anch’essa, è anch’essa un processo obiettivo e non è solo legata alila particolare ricchezza e sensibilità di una persona eccezionale.

La concezione di Gramsci è una concezione audace, è una concezione difficile. Egli vuol dare alla filosofia della prassi il suo pieno carattere di filosofia nuova, autonoma, liberata sia dai residui di materialismo tradizionale che dall’idealismo. Colpisce, in tutta l’opera di Gramsci, la sua costante esigenza di fare del metodo dialettico un mezzo realmente efficiente per conoscere certi nessi fondamentali, e render conto insieme di tutti gli aspetti della realtà e dell’unità di essa, per comprendere il reale e esser capaci di modificarlo. Per chi vuol studiare l’importante contributo di Gramsci al concetto stesso di cultura, è necessario capire il valore gnoseologico della dialettica, la quale non può essere dialettica pura di concetti come nell’idealismo d’ispirazione hegeliana, ma non deve neppure diventare « capitolo di logica formale » aggiunto a un materialismo tradizionale. La critica fatta al Saggio di Bukharin, acuta e spietata, talvolta severa e appassionata, testimonia della necessità urgente per Gramsci che la filosofia della prassi superi il materialismo tradizionale (volgare), sia pur questo rinnovato da una dialettica formale./Cosi, la cultura non si potrà definire se non attraverso rapporti dialettici, fra i quali il rapporto fondamentale è quello496

Gli interventi

di teoriapratica, che può assumere forme diverse: filosofiapolitica, intellettualimassa, dirigentidiretti ecc...

In questa concezione della cultura inscindibile da un metodo dialettico, la cultura stessa assume una funzione pratica, una funzione di unificazione, per cui Gramsci sottolinea «l'importanza che ha il “mom[...]

[...]da una dialettica formale./Cosi, la cultura non si potrà definire se non attraverso rapporti dialettici, fra i quali il rapporto fondamentale è quello496

Gli interventi

di teoriapratica, che può assumere forme diverse: filosofiapolitica, intellettualimassa, dirigentidiretti ecc...

In questa concezione della cultura inscindibile da un metodo dialettico, la cultura stessa assume una funzione pratica, una funzione di unificazione, per cui Gramsci sottolinea «l'importanza che ha il “momento culturale ” anche nell’attività pratica (collettiva) : ogni atto storico non può non essere compiuto dall’ 44 uomo collettivo ”, cioè presuppone il raggiungimento di una unità 44 culturalesociale ” per cui una molteplicità di voleri disgregati, con eterogeneità di fini, si saldano insieme per uno stesso fine, sulla base di un’uguale e comune concezione del mondo (generale e particolare, transitoriamente operante — per via emozionale — o permanente, per cui la base intellettuale è cosi radicata, assimilata, vissuta, che può diventare passione). Poich[...]

[...]olare. Importanti pure tutti gli aspetti del « rapporto pedagogico », cioè il nesso dialettico tra maestro e scolaro, tra ceti intellettuali e non intellettuali, tra governanti e governati, tra élites e seguaci, tra dirigenti e diretti ecc...

Ora, se si vuole portare avanti le masse, se si vuole rispondere a quel concetto della 'Cultura posta come universale, si deve prendere le mosse dal livello di cultura delle masse, cioè dal senso comune. Gramsci ha dato al senso comune tutta la sua importanza, ricordando le formule di Marx sulla « saldezza » (simile a quella delle forze materiali) delle credenze popolari, ribattendo la forza dei proverbi, dei modi di dire, ma denunciando nello stesso tempo gli atteggiamenti ambigui del Croce rispetto al senso comune, il « civettare » del Gentile ecc... Ma se Gramsci con Marx si riferisce, quando afferma la saldezza delle credenze popolari, alla « validità del contenuto di tali credenze », quindi alla « loro iimperatività quando producono norme di condotta » 2, Croce e Gentile,

1 M. S., p. 26.

2 M. Sp. 123.Gilbert Moget

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e si potrebbe in un certo senso aggiungere Alain, considerano il senso comune come punto di riferimento, pietra di paragone; oppure il senso comune è giusto, basta prenderne coscienza, esplicitare le sue intuizioni e questa è la parte del filosofo.

Per Gramsci, invece, il senso comune non è quella «naturale » disposizio[...]

[...] validità del contenuto di tali credenze », quindi alla « loro iimperatività quando producono norme di condotta » 2, Croce e Gentile,

1 M. S., p. 26.

2 M. Sp. 123.Gilbert Moget

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e si potrebbe in un certo senso aggiungere Alain, considerano il senso comune come punto di riferimento, pietra di paragone; oppure il senso comune è giusto, basta prenderne coscienza, esplicitare le sue intuizioni e questa è la parte del filosofo.

Per Gramsci, invece, il senso comune non è quella «naturale » disposizione a pensar giusto. Possiamo fare la critica del senso comune di oggi, e in questa critica sarà implicita l’« affermazione della necessità di nuove credenze popolari, cioè di un nuovo senso comune, e quindi di una nuova cultura e di una nuova filosofia che si radichino nella coscienza popolare con la stessa saldezza e imperatività delle credenze tradizionali ». Cioè il senso comune definisce « il livello di cultura della moltitudine, esso è la filosofia dei non filosofi, la concezione del mondo assorbita acriticamente dai vari ambien[...]

[...]uomo medio ». Quindi, il senso comune non è una concezione unica, una « sapienza » immobile connaturata all’uomo, identica nel tempo e nello spazio, ma è il « folklore » della filosofia. Concezione disgregata, incoerente, inconseguente, conforme alla posizione sociale e culturale delle moltitudini di cui esso, cioè il senso comune, è la filosofia. È proprio da questa base che deve partire la filosofia della prassi, e prima grave critica fatta da Gramsci a Bukharin è appunto che l’autore non abbia ritenuta necessaria tale critica all’inizio del suo Saggio popolare.

A questa critica del senso comune sono legate due necessità che a Gramsci premono e che il partito come organizzatore della cultura deve tener presenti, se vuol realizzare l’unità di una massa per portarla a nuove conquiste, se vuol sostituire alle vecchie concezioni del mondo, concezioni nuove:

1) « di non stancarsi mai dal ripetere i propri argomenti (variandone letterariamente la forma): la ripetizione è il mezzo didattico più efficace per operare sulla mentalità popolare».

2) «di lavorare incessantemente per elevare intellettualmente sempre più vasti strati popolari, cioè per dare personalità all’amorfo elemento di massa, ciò che significa, di lavorare pe[...]

[...]tualmente sempre più vasti strati popolari, cioè per dare personalità all’amorfo elemento di massa, ciò che significa, di lavorare per suscitare élites di intellettuali di un tipo nuovo che sorgano direttamente dalla massa pur rimanendo a contatto con essa» \

1 M. S., p. 17.498

Gli interventi

Non è possibile, entro i limiti di questo intervento, sviluppare a lungo tutti gli aspetti del problema degli intellettuali, tanto importante per Gramsci, e che lui stesso pone proprio al centro del problema della cultura.. Basti precisare che la critica degli intellettuali italiani, o di altri paesi, è sempre fatta attraverso la loro funzione effettiva, in rapporto con la « filosofia » (cioè la politica) del gruppo dirigente e il senso comune e la vita della massa. Si dovrebbe anche sviluppare il « principio teoricopratico dell’egemonia», come consiglia Gramsci, l’« apporto teorico massimo di Lenin alla filosofia della prassi ». « Anche l’unità di teoria e pratica non è quindi un dato di fatto meccanico, ma un divenire storico, che ha la sua fase elementare e primitiva nel senso di “ distinzione ”, di “ distacco ”, di indipendenza appena instintivo, e progredisce fino al possesso reale e completo di una concezione del mondo coerente e unitaria. Ecco perché è da mettere in rilievo come lo sviluppo politico del concetto di egemonia rappresenta un grande progresso filosofico oltre che politicopratico, perché necessariamente coinvolge e suppone una unit[...]

[...]à di una lotta culturale. È necessario lottare per innalzare il livello di coscienza degli uomini, della massa che dispone, dal punto di vista culturale, del senso comune. Tale lotta è inscindibile dalla lotta di classe, e ogni progresso culturale delle masse è legato a un progresso della coscienza dei conflitti fondamentali della società. Ma dove avviene questa presa di coscienza? Su che terreno? Per giudicare dell’importanza della risposta che Gramsci dà, rifacendosi a Marx, basta ricordare quan
1 M. Sp. 11,Gilbert Moget

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te volte egli rimanda il lettore alle celebri righe della prefazione al Contributo alla critica dell'Economia politica, secondo le quali le forme ideologiche sono il terreno su cui gli uomini prendono coscienza dei conflitti di struttura, il terreno della lotta. Cosi si capisce l’urgente necessità dell’inventario della cultura e della cultura delle masse, delle forze e componenti di un « clima culturale » determinato. Proprio questa elaborazione culturale tentata da Gramsci, può permettere di condurre sul terre[...]

[...] il lettore alle celebri righe della prefazione al Contributo alla critica dell'Economia politica, secondo le quali le forme ideologiche sono il terreno su cui gli uomini prendono coscienza dei conflitti di struttura, il terreno della lotta. Cosi si capisce l’urgente necessità dell’inventario della cultura e della cultura delle masse, delle forze e componenti di un « clima culturale » determinato. Proprio questa elaborazione culturale tentata da Gramsci, può permettere di condurre sul terreno nazionale (ma con prospettive universali) una lotta concreta in cui sarà necessario conoscere chiaramente chi è il nemico maggiore, dove sono i nemici che non contano, e discernere, tra coloro che hanno un pensiero diverso, chi può essere alleato, portare un contributo effettivo alla costruzione comune.

Nella lotta culturale, c’è dapprima la considerazione per l’avversario. Questa pare una evidenza, ma io non me sono tanto convinto. Senza fare un’assimilazione tra campo culturale e campo militare, sconsigliata da Gramsci, direi che non dobbiamo mai f[...]

[...] necessario conoscere chiaramente chi è il nemico maggiore, dove sono i nemici che non contano, e discernere, tra coloro che hanno un pensiero diverso, chi può essere alleato, portare un contributo effettivo alla costruzione comune.

Nella lotta culturale, c’è dapprima la considerazione per l’avversario. Questa pare una evidenza, ma io non me sono tanto convinto. Senza fare un’assimilazione tra campo culturale e campo militare, sconsigliata da Gramsci, direi che non dobbiamo mai fare come i governi colonialisti: durante la guerra d'Indocina, la parola d’ordine del Movimento della Pace era « trattare con il nemico contro cui combattiamo » ; pare una pazzia come formula, ma in realtà il governo francese non voleva Considerare il Vietmin come nemico, cioè esso non era il nemico ufficiale.

Combattere l’avversario significa dunque non negarlo, rispettarlo, quindi conoscerlo e non cadere nelle forme di critica loriana, cioè di anticultura, vale a dire parlare di ciò che non si conosce, o di cui non si è capito nulla; significa poi, questo ris[...]

[...]che è possibile talvolta qualche posizione comune, sia pure limitata, significa che gli avversari possono avere una parte non del tutto negativa nel processo del pensiero e porre, anzi, problemi i quali, spogliati dalla loro ganga speculativa, sono passibili di venir presi in considerazione dalla stessa filosofia della prassi1.

Combattere l’avversario non significa distruggerlo per potere ripartire da zero. Infatti il fronte ideologico — dice Gramsci — non si può assimilare ad un fronte politicomilitare in cui vince chi distrugge l’avversario, perché la cultura si deve costruire, ed è pertanto l’opera di tutti; cioè anche gli avversari idealisti possono contribuire, iin certi casi,500

Gli interventi

a tale costruzione. Si tratta infatti, a lungo andare, di costruire — come dice Gramsci — lo « spirito umano », dando aU’espressione un senso positivo; cioè laddove l’idealismo avvezzo a camminare sulla testa concepisce lo spirito umano come punto di partenza, la filosofia della prassi lo concepisce come una conquista e un punto di arrivo.

In Gramsci dunque, l’avversario non è negato, non è annientato, ma deve essere superato. Non si distruggono le filosofie del passato che costituiscono la storia del pensiero, la storia della cultura, e quando Bukharin chiama Platone « il maggiore filosofo fautore della schiavitù, reazionario ad oltranza », oppure Seneca « filosofo riccone », è come se non avesse detto nulla, anzi peggio. Non si devono negare le filosofie o i filosofi, nello stesso modo che non si possono distruggere le idee che si sono fatte senso comune, occorre superarle: Marx ha superato Hegel, il che vuol dire che Marx non è possibi[...]

[...]cultura, e quando Bukharin chiama Platone « il maggiore filosofo fautore della schiavitù, reazionario ad oltranza », oppure Seneca « filosofo riccone », è come se non avesse detto nulla, anzi peggio. Non si devono negare le filosofie o i filosofi, nello stesso modo che non si possono distruggere le idee che si sono fatte senso comune, occorre superarle: Marx ha superato Hegel, il che vuol dire che Marx non è possibile se non con Hegel, cosi come Gramsci non è possibile senza Croce, il quale quasi « monopolizzava » la cultura italiana.

Comunque la lotta per l’egemonia cultura non è unilaterale, è un rapporto^ dialettico fra filosofia della prassi e avversari, nello stesso modo che ce un rapporto dialettico fra educatore e ambiente educato, il quale è a sua volta educatore. Questo non deve mai significare abbandono o concessioni agli avversari; è un fatto che la filosofia della prassi ha dato luogo a combinazioni, che cioè le filosofie tradizionali le hanno preso certi elementi che hanno rinvigorito e ringiovanito queste filosofie. Ma la fi[...]

[...]oè le filosofie tradizionali le hanno preso certi elementi che hanno rinvigorito e ringiovanito queste filosofie. Ma la filosofia della prassi che è necessariamente immersa nell’ambiente culturale nazionale può, come forza egemonica, sicura dei suoi criteri, assimilare nel corso della lotta gli elementi positivi delle correnti avverse e, superandoli, dar loro un nuovo significato.

Ce anche un punto importante della cultura, come la concepisce Gramsci, a cui vorrei fare un accenno: è l’aspetto morale. E ritroviamo qui ciò che abbiamo detto degli umanisti moderni, scegliendo Alain come esempio tipico.

Si è già insistito sull’alta moralità di Gramsci; diremo solo che in lui la morale viene considerata proprio in funzione di una concezione assoluta dell’umanesimo, di una concezione universale della cultura: seGilbert Moget

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l’uomo è il processo dei suoi atti, se l’uomo è responsabile, tale concezione progressiva dell’uomo, che non dipende da una « natura umana », ma che pone l’uomo signore del proprio destino, non può non legare alla cultura una norma di vita. Anzi la filosofia della prassi è l’unica concezione che possa sistemare questa perfetta adesione della filosofia alla vita, alla pratica, alla morale vissuta. Tutti devono [...]

[...] vita, alla pratica, alla morale vissuta. Tutti devono sentire questo impegno culturale, partecipare a questa volontà collettiva di creare l’uomo e di sviluppare tutte le possibilità umane del genere umano. La responsabilità di questa « creazione » tocca al partito, il quale è l’unico « principe collettivo » capace di dirigere organicamente « tutta la massa economicamente attiva », di dirigerla, « non secondo vecchi schemi, ma innovando » ; dove Gramsci ci ricorda che l’« innovazione non può diventare di massa, inei suoi primi stadi, se non per il tramite di una élite in cui la concezione implicita nella umana attività sia già diventata in una certa misura coscienza attuale coerente e sistematica e volontà precisa e decisa ». Quindi la grande responsabilità degli intellettuali, anche e soprattutto se si pensa che, nel periodo in cui la classe operaia assume una funzione subalterna, sarà sempre difficile un loro legame organico colle masse; ma essi dovranno almeno tener presente che, se rinunziano a questo legame, cioè a operare per il « ragg[...]

[...] la classe operaia assume una funzione subalterna, sarà sempre difficile un loro legame organico colle masse; ma essi dovranno almeno tener presente che, se rinunziano a questo legame, cioè a operare per il « raggiungimento collettivo » di uno « stesso clima culturale », tradiscono la cultura, diventano un gruppo « autonomo », fuori della realtà sociale, fuori della, vita.

In Francia, come voi forse sapete, l’Italia è di moda; non l’Italia di Gramsci, ma quell'Italia che appare attraverso diversi romanzi, e anche attraverso brevi viaggi turistici: l’Italia vera, quella delle lotte,, quella che si sta edificando, erede di una storia originale, con una sua. problematica nazionale diversa da quella francese, è ancora poco conosciuta. Un certo pubblico comunque si compiace nella descrizione di una Italia ferma nel tempo, paese fortunato cui basta una prima donna a fare scomparire tutti i problemi (cosi lo speaker della radio francese per i fatti della Callas che fecero anche in Francia un certo rumore). Da tale visione, non è escluso un certo[...]

[...]a tale visione, non è escluso un certo senso della propria superiorità riguardo a un paese seducente per il turista, ma di cui si isola l’aspetto arretrato tanto da sentirsi in confronto « progrediti ». A questa visione indulgono talvolta gli scrittori per cui il paese di Di Vittorio offrirebbe facile rinfresco a un libertinaggio già appassito. Perciò consideriamo che502

Gli interventi

presentando al pubblico francese il pensiero forte di Gramsci, temprato nelle lotte e nelle sofferenze della prigione, daremo una eco diretta della cultura italiana di ventanni fa, non solo, ma della cultura del mezzo secolo e della cultura di tutti i secoli passati. A chi avrà il coraggio di leggere questi testi spesso difficili, verrà prospettata anche la cultura dell’Italia nuova.



da [Gli interventi] Livio Maitan in Studi gramsciani

Brano: Livio Maitan

In alleimi scritti di Gramsci esistono annotazioni sul pensiero di Trotzki. La mia opinione è che questi giudizi di Gramsci non siano pertinenti, cioè riguardino non il reale pensiero di Trotzki, ma una sua deformazione.

Come primo esempio faccio subito quello del motivo cui si è rifatto stamattina Togliatti, il motivo della cosiddetta guerra manovrata e della cosiddetta guerra di posizione.

Benché il riferimento gramsciano non appaia del tutto chiaro, ritengo legittima l'interpretazione secondo cui Gramsci si riferirebbe alla tattica del «fronte unico» adottata dairinternazionale Comunista dopo il III Congresso mondiale. A questa tattica corrisponderebbe la guerra di posizione, valida per i paesi deirOccidente, dove sarebbe riuscita inapplicabile la tattica della guerra manovrata applicata in Russia nel ’17.

Ora, questa valutazione non corrisponde affatto alle posizioni dell’Internazionale Comunista che della strategia e della tattica valide in una fase di crisi rivoluzionaria si è occupata nei suoi due primi Congressi, mentre il problema del « fronte unico » si poneva su un piano ben divers[...]

[...]essi, mentre il problema del « fronte unico » si poneva su un piano ben diverso. La svolta idei IH Congresso era in realtà determinata da una relativa attenuazione della crisi rivoluzionaria e dalla necessità di un parziale ripiegamento dati gli sviluppi della situazione e non riguardava affatto una presunta differenziazione nei metodi di lotta per la conquista del potere in Occidente rispetto all’Oriiente.

Quanto a Trotzki poi, l’equivoco di Gramsci viene accentuato. Infatti, come è facile constatare, nella battaglia per il « fronte unico » contro gli ultrasinistri, Trotzki si è trovato sulla stessa linea di Lenin, assumendo persino in un’occasione ili ruolo di relatore a nome della Direzione delrinternazionale.580

Gli interventi

Altro esempio della scarsa pertinenza delie critiche di Gramsci a Trotzki: la teoria della rivoluzione permanente, sulla quale Togliatti ha riferito un accenno di Gramsci che può essere fatto solo partendo da una caricatura volgare e non da una. conoscenza diretta della teoria stessa.

Anche qui basterebbe un confronto tra quello che Gramsci dice e le reali formulazioni di Trotzki a dimostrare l’insussistenza della ripetuta critica gramsciana. Un elemento solo dovrebbe del resto essere sufficiente a convincere dell’equivoco del giudizio di Gramsci.

Ad un certo momento, parlando della teoria in questione, Gramsci dice: «la teoria di Trotzki,Parvus». Si tratta di una identificazione assoilutamente inesatta, perché se è vero che su certi problemi della Rivoluzione russa Trotzki si è trovato d’accordo con Parvus — come, peraltro, con quasi tutti i teorici marxisti di allora —, per quanto riguarda i problemi più pertinenti della dinamica della rivoluzione la posizione di Trotzki e quella di Parvus erano in antitesi e solo per errore o per falsificazione si sono sovente attribuite a Trotzki parole d’ordine erronee in realtà formulate da Parvus (ad es. la parola d’ordine « Abbasso lo zar! Viva il governo op[...]

[...]e, peraltro, con quasi tutti i teorici marxisti di allora —, per quanto riguarda i problemi più pertinenti della dinamica della rivoluzione la posizione di Trotzki e quella di Parvus erano in antitesi e solo per errore o per falsificazione si sono sovente attribuite a Trotzki parole d’ordine erronee in realtà formulate da Parvus (ad es. la parola d’ordine « Abbasso lo zar! Viva il governo operaio! »).

Tutto ciò significa che la conoscenza che Gramsci aveva delle posizioni di Trotzki era senz’altro di seconda mano, se non addirittura una conoscenza deformata. Non è qui il luogo di indagare le ragioni di questa insufficienza. Basterà mettere in guardia contro il metodo di considerare senz’altro come validi in assoluto tutti i giudizi di Gramsci, metodo che potrebbe essere una delle manifestazioni della tendenza alla santificazione contro cui vari oratori si sono pronunciati, e non senza motivo, nel corso di questo Convegno. Sarà sempre necessario effettuare i controlli del caso, tanto più trattandosi di un autore come Trotzki, il cui pensiero è stato sinora oggetto quasi sempre non di analisi scientifiche, ma di deformazioni anche caricaturali.

Passo ad un secondo punto, la concezione dei Consigli, concezione formulata da Gramsci in una situazione concreta e non certo sub specie aeternitatis.

Nella situazione rivoluzionaria de[...]

[...]nifestazioni della tendenza alla santificazione contro cui vari oratori si sono pronunciati, e non senza motivo, nel corso di questo Convegno. Sarà sempre necessario effettuare i controlli del caso, tanto più trattandosi di un autore come Trotzki, il cui pensiero è stato sinora oggetto quasi sempre non di analisi scientifiche, ma di deformazioni anche caricaturali.

Passo ad un secondo punto, la concezione dei Consigli, concezione formulata da Gramsci in una situazione concreta e non certo sub specie aeternitatis.

Nella situazione rivoluzionaria dell’altro dopoguerra i Consigli sono anzitutto concepiti come elementi di dualismo di potere, come organi espressione della forza della cliasse operaia ohe si contrappone alla forza dello Stato borghese.Livio Maitan

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Sarebbe assolutamente erroneo ridurre la concezione gramsciana ai Consigli di fabbrica. Una cosa sono i Consigli di fabbrica, una cosa sono i Consigli operai in senso più generale o Soviet. Il collegamento evidente è stato ribadito da Gramsci quando ha lanciato la parola d’ordine : « Tutto il potere dell'officina ai Comitati di fabbrica, tutto il potere dello Stato ai Consigli operai e contadini ». E l’elemento fondamentale comune — essenziale nella concezione di Gramsci — consisteva nella comune natura di elementi di rottura rivoluzionaria nei confronti defilo Stato borghese.

L’altro aspetto fondamentale è che i Consigli rappresentano già la cellula di quello che sarà l’organismo democratico del nuovo Stato proletario. A questo proposito mi limiterò ad accennare a un motivo di particolare interesse e di viva attualità, soprattutto dopo le polemiche suscitate dal XX Congresso del PCUS: il motivo della pluralità dei partiti in uno Stato operaio 1.

In uno scritto de L’Ordine Nuovo si legge : « Il problema concreto,, immediato dei Partito socialista è quin[...]

[...] tendenze anticapitalistiche la libertà e la possibilità di diventare partiti di governo proletario e verso resterno sia come una macchina implacabile che stritoli gli organismi del potere industriale e politico del capitalismo » 2.

Qui è il nucleo essenziale della concezione della dittatura del proletariato, dittatura nel senso più specifico dell termine nei confronti delle vecchie classi, massima democrazia per la classe degli sfruttati. Ma Gramsci non si accontenta delle espressioni astratte, concepisce garanzieprecise che assicurino l’effettivo esercizio della democrazia in favore del proletariato e dei contadini.

Il suo pensiero è assolutamente chiaro: si deve contemplare la possibilità della pluralità dei partiti proletari. Ed egli arriva anche ad avanzare l’ipotesi della sostituzione al governo proletario di una tendenza con un’altra. Punto essenziale, perché la pluralità ha un valore fittizio

1 Per questo e per altri temi mi permetto di rinviare al mio saggio : Attualità di Gramsci e politica comunista, Milano, Sehwarz, 1955[...]

[...]o esercizio della democrazia in favore del proletariato e dei contadini.

Il suo pensiero è assolutamente chiaro: si deve contemplare la possibilità della pluralità dei partiti proletari. Ed egli arriva anche ad avanzare l’ipotesi della sostituzione al governo proletario di una tendenza con un’altra. Punto essenziale, perché la pluralità ha un valore fittizio

1 Per questo e per altri temi mi permetto di rinviare al mio saggio : Attualità di Gramsci e politica comunista, Milano, Sehwarz, 1955.

2 O. N., pp. 5960.582

Gli interventi

e viene meno ogni vera dialettica interna della nuova società, qualora si attribuiscano ad eventuali altri partiti una funzione puramente subordinata. Naturalmente Gramsci precisa che la legittimità di raggruppamenti molteplici e l’accettazione della eventuale prevalenza di un raggruppamento diverso da quello rappresentato dal partito operaio rivoluzionario sono condizionate dal fatto che si tratti di raggruppamenti i cui esponenti « siano lavoratori salariati, vengano eletti nella loro sede di lavoro [si tratta di una legalità sovietica e non di una democrazia parlamentare} e aderiscano allo Stato operaio ».

Sarebbe assurdo pensare ad uno sviluppo storico unicamente in questo senso; ma la lezione di Gramsci è che, qualora le condizioni spingano in questa di[...]

[...]evalenza di un raggruppamento diverso da quello rappresentato dal partito operaio rivoluzionario sono condizionate dal fatto che si tratti di raggruppamenti i cui esponenti « siano lavoratori salariati, vengano eletti nella loro sede di lavoro [si tratta di una legalità sovietica e non di una democrazia parlamentare} e aderiscano allo Stato operaio ».

Sarebbe assurdo pensare ad uno sviluppo storico unicamente in questo senso; ma la lezione di Gramsci è che, qualora le condizioni spingano in questa direzione, la pluralità dei partiti operai è un elemento essenziale dello Stato proletario.

Quali sono gli elementi di debolezza della concezione gramsciana? Goncordo su quanto detto dall’on. Togliatti anche nella relazione scritta, cioè che Gramsci non delimiterebbe sempre1 con la necessaria precisione le funzioni dei Consigli operai prima e dòpo la conquista del potere e che verrebbero a volte attribuite ai Consigli prima della conquista del potere determinate funzioni economiche che in realtà potranno esercitare soltanto dopo.

Non mi paiono invece giuste le accuse di opportunismo o di gradualismo riformista rivolte da taluni a Gramsci e di cui primo formulatore è stato Bordiga. Queste accuse possono essere avanzate solo se si esaminano alcuni passi di certi scritti astraendoli dal' contesto del pensiero gramsciano, non se si considera questo pensiero nel suo insieme e nella sua ispirazione di fondo. E questa ispirazione è genuinamente rivoluzionaria, a parte il fatto che esistono dei passi che mettono esplicitamente in guardia contro possibili illusioni opportunistiche. Né va d’altronde dimenticato che in una situazione come era quella di allora, i Consigli operai aquistavano per la loro stessa dinamica, una volta costituiti su determinate basi, una funzione di rottura rivoluzionaria.

Insussistente mi pare anche la critica secondo cui Gramsci avrebbe trascurato, in una certa fase, il fattore part[...]

[...]o. E questa ispirazione è genuinamente rivoluzionaria, a parte il fatto che esistono dei passi che mettono esplicitamente in guardia contro possibili illusioni opportunistiche. Né va d’altronde dimenticato che in una situazione come era quella di allora, i Consigli operai aquistavano per la loro stessa dinamica, una volta costituiti su determinate basi, una funzione di rottura rivoluzionaria.

Insussistente mi pare anche la critica secondo cui Gramsci avrebbe trascurato, in una certa fase, il fattore partito. In realtà egli ha avuto sempre presenti le due esigenze fondamentali di quel periodo: cioè assicurare gli organi del dualismo di potere — i Consigli —, assicurare la direzione cosciente e rivoluzionaria — il Partito.Livio Maitan

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Un terzo, ed ultimo punto.

Forse mi staglierò — gli studi gramsciani debbono procedere ancora ed è troppo presto per trarre conclusioni defininitive —, ma penso che il pensiero marxista di Gramsci abbia un valore maggiore in senso assoluto, come contributo al marxismo creatore, sul terreno più propriamente storicoculturale che non sul terreno più specificatamente politico. Se volessimo includere Gramsci nella schiera eletta dei grandi marxisti di tutti i paesi e di tutti i tempi, lo dovremmo includere di più per il suo contributo sul terreno storicoculturale ohe non per il contributo politico specifico.

Manacorda ha sottolineato alcune delle radici italiane del pensiero di Gramsci, Togliatti l’apporto decisivo del leninismo alla sua formazione. Su questo punto concordo. Il pensiero gramsciano si è formato sotto l'influenza diretta delle tesi di Lenin e della III Internazionale e senza questa influenza Gramsci non sarebbe probabilmente giunto a tutte le conclusioni cui è giunto. Schematizzando un po’, si può concludere che, su questo terreno, non esiste una vera e propria originalità di Gramsci.

Qual è il suo merito? Quello di aver compreso a fondo il pensiero leninista — e molto pochi lo comprendevano allora, anche tra coloro che a Lenin e alla III Internazionale si richiamavano, in Italia e in tutto il movimento operaio internazionale —, di arver compreso la portata universale di questo pensiero, di aver respinto le volgari interpretazioni socialdemocratiche e centriste.

Aggiungerei che si può parlare di originalità per quanto riguarda la questione dei Consigli, nonostante la stretta parentela con il leninismo anche su questo piano : questo, perché Gramsci è giunto alle sue [...]

[...]che tra coloro che a Lenin e alla III Internazionale si richiamavano, in Italia e in tutto il movimento operaio internazionale —, di arver compreso la portata universale di questo pensiero, di aver respinto le volgari interpretazioni socialdemocratiche e centriste.

Aggiungerei che si può parlare di originalità per quanto riguarda la questione dei Consigli, nonostante la stretta parentela con il leninismo anche su questo piano : questo, perché Gramsci è giunto alle sue formulazioni non sodo e non tanto per aver sentito quello che avveniva in Russia, quanto sulla base della propria diretta esperienza, dell esperienza della dasse operaia torinese alle cui lotte prendeva parte. Potrei dire — quasi paradossalmente — che le stesse manchevolezze nella concezione gramsciana dei Consigli costituiscono una riprova di originalità, perché è molto più facile prendere una tesi leninista belle pronta e riportarla meccanicamente, che non « ricrearla » sulla base di una esperienza propria.

A proposito dell’attualità politica del pensiero di Gramsci, vorrei riferirmi ad un’affermazione di Togliatti che esigerebbe un chiarimento.

38.584

Gli interventi

Togliatti dice che il pensiero politico di Gramsci « non è legato a una piattaforma politica determinata, quale poteva essere quella su cui venne fondato, nel 1921, il partito comunista».

Che il programma del ’21 non esaurisca il pensiero di Gramsci è fuori dubbio, ma non si può d’altro canto farne astrazione, insistendo soprattutto sul valore del metodo. Il metodo non è una cosa astratta, ma una cosa concreta ed è fecondo in quanto porta a determinati risultati e cioè a determinate tesi, a determinate teorie. E le tesi, le teorie per i marxisti, per i leninisti non sono che la cristallizzazione dell'esperienza del movimento precedente e la comprensione delle tendenze di sviluppo.

Le posizioni di Gramsci nel ’21 costituiscono il punto d’arrivo del suo pensiero in virtù dell utilizzazione di un determinato metodo. Il problema che si po[...]

[...]ubbio, ma non si può d’altro canto farne astrazione, insistendo soprattutto sul valore del metodo. Il metodo non è una cosa astratta, ma una cosa concreta ed è fecondo in quanto porta a determinati risultati e cioè a determinate tesi, a determinate teorie. E le tesi, le teorie per i marxisti, per i leninisti non sono che la cristallizzazione dell'esperienza del movimento precedente e la comprensione delle tendenze di sviluppo.

Le posizioni di Gramsci nel ’21 costituiscono il punto d’arrivo del suo pensiero in virtù dell utilizzazione di un determinato metodo. Il problema che si pone ora è di vedere se queste esperienze cristallizzate, queste generalizzazioni conservino valore di attualità. Per stabilirlo non basta ovviamente uno stucchevole 'richiamo meccanico alle posizioni di Gramsci in quanto tali, ma è necessaria un’analisi concreta.

Non posso entrare su di un terreno che non è quello di questo Convegno, ma la mia opinione è che le posizioni gramsciane del ’19’21 conservino la loro validità e attualità.

La conoscenza di Gramsci ha attraversato anzitutto la fase della rivelazione : un grande marxista sino ad allora ignoto veniva « scoperto » dai marxisti italiani e da tutta la cultura italiana. Seconda fase: una disamina approfondita, analitica, settore per settore del pensiero gramsciano.

Penso che è necessario oramai inaugurare una terza fase, una fase critica, che stabilisca precisamente la genesi e le linee di sviluppo di questo pensiero e ne determini i veri limiti. Non credo che sussista il pericolo che da un lavoro del genere la figura di Gramsci esca sminuita. Ormai il suo posto nella storia del movimento operaio e del pensiero marxista Gramsci ce l’ha e lo manterrà quali che siano le conclusioni di questa nuova eventuale fase critica.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Massucco Costa, Aspetti sociologici del pensiero gramsciano in Studi gramsciani

Brano: Angiola Massucco Costa
ASPETTI SOCIOLOGICI DEL PENSIERO GRAMSCIANO
Premesso che non esiste per Gramsci una sociologia filosofica che non coincida con la filosofia della prassi o il materialismo storico, non sembri incongruo l'affermare che egli non esclude la possibilità di una ricerca sociologica, a confini limitati, di carattere empirico.
Due orientamenti, soltanto in apparenza contraddittori, dominano il pensiero gr:msciano nei confronti di questo problema: il primo è il netto rifiuto della sociologia positivistica; il secondo è l'ammissione della possibilità di una sociologia scientifica, ricomprendendo in questo nome piuttosto le scienze sociali che non uno schematismo classificatorio ge[...]

[...]i confronti di questo problema: il primo è il netto rifiuto della sociologia positivistica; il secondo è l'ammissione della possibilità di una sociologia scientifica, ricomprendendo in questo nome piuttosto le scienze sociali che non uno schematismo classificatorio generico e una ricerca di astratte strutture e costanze.
La contraddizione, di fatto, non esiste, poiché proprio il positivismo, e specie alcuni suoi rappresentanti, non avevano, per Gramsci, capito il diritto della scienza non già all'astrattezza arbitraria e sterile, ma alla feconda astrazione euristica.
La critica all'astrattezza fu da Gramsci fatta soprattutto per l'economia, ma ha senso per tutte le scienze, e ancora piú per quelle che meglio aderiscono al processo di sviluppo delle condotte umane nei loro impegni collettivi.
Certo le scienze sociali constatano soltanto, o promuovono le tecni che di un possibile controllo, o dimostrano il prevalere di alcuni valori e la loro inerenza ad aspettazioni particolari: esse non possono, presentandosi come scienze, dare come assoluto, e neppure assolutizzabile nel significato storicistico, alcun valore. Ma possono contribuire a chiarirne le
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condizion[...]

[...]particolari: esse non possono, presentandosi come scienze, dare come assoluto, e neppure assolutizzabile nel significato storicistico, alcun valore. Ma possono contribuire a chiarirne le
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condizioni di scelta e di accettazione e il significato pratico che ne deriva. Pertanto possono anche servire di strumenti culturali per una definita azione politica. Di qui anzi la loro pericolosità.
Ma la preoccupazione di Gramsci è soprattutto teoretica. Egli anzi non poteva considerare assurda o negativa la rivendicazione della scienza di inserirsi nell'ordine vivente della storia, contribuendo a illuminarne le ragioni e a promuoverla. Poteva al contrario volere una piú approfondita critica teoretica intorno al reale significato di ció che s'intende chiamare scienza. E poteva parergli che la scienza matematizzabile, o la scienza sperimentale, non potessero avere, nella storia della cultura e della civiltà, alo stesso peso della scienza come riflessione teoretica su una realtà culturale già costituita ad opera di impu[...]

[...]profondita critica teoretica intorno al reale significato di ció che s'intende chiamare scienza. E poteva parergli che la scienza matematizzabile, o la scienza sperimentale, non potessero avere, nella storia della cultura e della civiltà, alo stesso peso della scienza come riflessione teoretica su una realtà culturale già costituita ad opera di impulsi relativamente spontanei, il senso comune.
Un'analisi del concetto di spontaneità nel pensiero gramsciano, oggi che le scienze sociali riesaminano questo schema interpretativo dell'agire umano e ne fanno anzi mezzo di azione riflessa, educativa o terapeutica, mostrerebbe quanto egli, di là dalle apparenti contraddizioni, sia vicino alle piú recenti conclusioni al riguardo.
Che la spontaneità non esista allo stato puro è oggi luogo comune. Che gli istinti siano già il frutto di una elaborazione culturale di originarie elementari esigenze di vita, è pure quasi universalmente ammesso. Che lo sperimentare sia già in nuce nei tentativi piú elementari di adattamento, che lo sviluppo della mente e l[...]

[...]arie elementari esigenze di vita, è pure quasi universalmente ammesso. Che lo sperimentare sia già in nuce nei tentativi piú elementari di adattamento, che lo sviluppo della mente e l'energia dell'azione siano, non immediatamente né meccanicisticamente, condizionati dalle possibili reazioni personali consentite storicamente a situazioni già create dall'uomo, sono pure principi accettati da quasi tutti i moderni ricercatori.
La spontaneità, dice Gramsci, è una involuzione che ha paralizzato gli studi pedagogici poiché non si è tenuto conto che le idee del Rousseau valgono in quanto sono una reazione violenta alla scuola e ai metodi pedagogici dei gesuiti, e in quanto tali rappresentano un progresso. II Gentile e il Lombardo Radice hanno fatto un uso negativo di questo concetto, lasciando adito all'idea di un facile sviluppo spontaneo della mente infantile, che va invece formata, lottando contro il preumano, la rozza natura, l'impulso biologico grezzo, per dominarli e «creare l'uomo " attuale " alla sua epoca » .
D'altronde questa formazione[...]

[...]diali, e tentativi preconsapevoli di unificazione e di ordinamento delle norme e dei valori cosí assunti, che si possono considerare relativamente spontanei nei confronti di condotte piú consapevoli e piú organicamente di rette. Già in quella fase però possono manifestarsi energie positive, che, liberate da pregiudizi, stereotipi, incrostazioni culturali fallaci, possono incanalarsi attivamente nella storia, e contribuire ad un reale progresso.
Gramsci fa spesso notare come certi livelli di cultura, certi irrigidimenti di pensiero, certi ristagni, dipendano da mancanza di chiarificazione e da non attivazione di possibili energie; anzi rammenta che, ove le energie sopite non siano a tempo rideste e usate per scopi di lavoro collettivo nella prospettiva marxista, troveranno attivatori e sfruttatori non disinteressati, che se ne impadroniranno per loro fini individualistici. Ciò che egli dice della cultura dei meridionali e dei contadini, è insieme. una riprova di questa prospettiva dinamica e fiduciosa, e del timore di interventi distruttivi.[...]

[...]li e dei contadini, è insieme. una riprova di questa prospettiva dinamica e fiduciosa, e del timore di interventi distruttivi.
Riteniamo che sia stata la prospettiva causale ad avvicinarlo, e il suo mal uso ad allontanarlo, dalla prospettiva delle scienze sociali, o meglio dall'orientamento sociologico nelle scienze della natura. Oggi il concetto di causalità è cosí profondamente cambiato nelle stesse scienze esatte, che alcune delle difficoltà gramsciane non avrebbero piú ragione di essere. Si cercano infatti, non piú cause meccaniche ritenute equivalere ai loro effetti e universalmente necessitanti fuori del tessuto storico in cui operano; ma le condizioni, o i fattori, sperimentalmente verificabili e situazionalmente variabili di processi storici, tali anche per le forme e .i contenuti delle scienze.
L'antinomia, ancora operante nel pensiero gramsciano, tra scienze dello spirito o della cultura, e scienze della natura, oggi, tenuto presente tale concetto causale, non ha piú ragione di sussistere; ed è forse l'oscura preveggenza di questa o altra possibile soluzione, che spiega l'interesse di Gramsci al problema sociologico, presente tanto nella critica al Bukharin e ad alcuni pensatori italiani contemporanei, quanto per contro nei rilievi
I documenti del convegno
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positivi o nei progetti di accertamenti di situazioni effettuali di rapporti umani.
Quando Gramsci, per l'Italia, parla di un fenomeno generale di deterioramento della cultura, che ha avuto la tumefazione piú vistosa nel campo sociologico, ha in mente il Lumbroso, il Sillani, il Carli, il Belluzzo, il Lenzi, il Loria; nomi che non hanno lasciato una solida traccia nella cultura italiana, e che non facevano propriamente della scienza, ma vaghi e arbitrari studi di problemi sociali, ora biologici, ora economici, ora politici.
Altre volte Gramsci sembra identificare la sociologia con la riduzione, fatta ad esempio dall'Ardigò, del materialismo storico al naturalismo volgare, riduzione che egli ritiene propria, a torto, di tutto il pensiero positivistico.
Ma il naturalismo volgare è una filosofia scadente, non è la ricerca scientifica, a cui Gramsci non poteva non riconoscere il suo buon diritto; ricerca che può ammettere, senza dannosamente interferirvi, la presenza di principi etici nelle formazioni umane, quelle stesse considerate spontanee o naturali. Tali sono le organizzazioni di gruppi, gli interscambi collettivi, che anche il Cattaneo aveva studiato, con piú astrattamente mitica fiducia nella quasi presenza del divino in coloro che « pensano insieme ». La psicologia delle menti associate del Cattaneo, senza cadere nell'entificazione del positivismo durkheimiano, prelude però a un concetto ottimistico degli interscambi mentali in [...]

[...]ni di gruppi, gli interscambi collettivi, che anche il Cattaneo aveva studiato, con piú astrattamente mitica fiducia nella quasi presenza del divino in coloro che « pensano insieme ». La psicologia delle menti associate del Cattaneo, senza cadere nell'entificazione del positivismo durkheimiano, prelude però a un concetto ottimistico degli interscambi mentali in genere, che sarebbero produttivi di verità. Piú cauto, e piú storicamente agguerrito, Gramsci riconosce la funzione positiva possibile delle associazioni umane, ma non ne ignora, al di là della generica funzione formale di attivazione di energie umane, il pericolo contenutistico di una chiusura in princfpi e conoscenze indebitamente cristallizzati e resi assoluti. La via di uscita da questo pericolo sta appunto nella auspicata presa di coscienza e nella unificazione universalistica, non però dogmatica.
« Non può esistere — dice Gramsci — associazione permanente e con capacità di sviluppo, che non sia sostenuta da determinati principi etici, che l'associazione stessa pone ai suoi singoli componenti in vista di una compattezza interna e dell'omogeneità necessaria per raggiungere il fine. Non perciò questi principi sono sprovvisti di carattere universale. Cosí sarebbe se l'associazione avesse fine in se stessa, fosse cioè una
Angiola Massucco Costa 203
setta o un'associazione a delinquere... Ma un'associazione normale concepisce se stessa come legata da milioni di fili a un dato raggruppamento sociale e per il suo tramite a [...]

[...]tramite a tutta l'umanità. Pertanto questa associazione non si pone come qualche cosa di definitivo o di irrigidito, ma come tendente ad allargarsi a tutto un raggruppamento sociale, che anch'esso è concepito come tendente a unificare tutta l'umanità. Tutti questi rapporti danno carattere tendenzialmente universale all'etica di gruppo, che deve essere concepita come capace di diventare norma di condotta di tutta l'umanità » .
In questa polemica Gramsci aveva di mira, ancor piú che la mancata analisi scientifica dei gruppi cosí intesi (analisi che si andava invece facendo in altri climi culturali, per esempio in Francia), la reale situazione degli intellettuali contemporanei e delle loro stanche accademie. Gli intellettuali formavano, e purtroppo formano ancora spesso, quadri chiusi, di carattere « feudale, militare », che ripetono nella loro improduttiva staticità l'immobilismo di un pensiero che vuol perpetuarsi senza arricchirsi nel contatto con la realtà creatrice della storia.
Ma la filosofia dei pensatori qualificati col nome di filos[...]

[...]etuarsi senza arricchirsi nel contatto con la realtà creatrice della storia.
Ma la filosofia dei pensatori qualificati col nome di filosofi, come per altro verso la dottrina dei politici, non è dipendente, o non deve dipendere soltanto da ermetici sviluppi di una tradizione che, per i primi, assume carattere metastorico. Essa deve profondarsi nella filosofia di tutti, e conferirle un significato piú critico, piú unitario e comprensivo. Resta in Gramsci la fiducia, che è propria di chiunque ritenga di contribuire allo sviluppo progressivo della realtà umana, di una possibile adeguata interpretazione e di un possibile potenziamento cosciente di linee orientatrici della direzione effettuale del progresso stesso, che sono quelle storicamente vere e valide.
Una delle fonti a cui attingere per questa prima orientazione, è il linguaggio di una data epoca culturale, che è già per Gramsci un insieme di nozioni e di concetti determinati, non un insieme di parole grammaticalmente vuote di contenuto. Sicché tutti gli uomini sono « filosofi » di una filosofia « spontanea », propria di tutti, ossia di quella contenuta nel linguaggio, nel senso comune e buon senso, nella religione popolare, e anche quindi in tutto il sistema di credenze, superstizioni, opinioni, modi di vedere o di operare che si affacciano in quello che generalmente si chiama « folclore ».
I documenti del convegno
Vi è forse in questi passi, quasi letteralmente citati, di Gramsc'I, una maggiore concessione al co[...]

[...]uindi in tutto il sistema di credenze, superstizioni, opinioni, modi di vedere o di operare che si affacciano in quello che generalmente si chiama « folclore ».
I documenti del convegno
Vi è forse in questi passi, quasi letteralmente citati, di Gramsc'I, una maggiore concessione al concetto di spontaneità di quanto egli non volesse, ma non ne è intaccata la critica fondamentale della inesistenza della spontaneità come « pura naturalità ». Per Gramsci « anche nella minima manifestazione di una qualsiasi attività intellettuale, il linguaggio, è contenuta una determinata concezione del mondo », ma vi si può partecipare in molti modi, e l'alternativa fondamentale è di parteciparvi o subendone la pressione, attraverso uno dei tanti gruppi sociali in cui ciascuno è coinvolto fin dalla nascita, pensando in modo disgregato e occasionale; oppure di parteciparvi in modo critico, scegliendo la propria concezione del mondo consapevolmente, determinando la propria sfera d'attività, partecipando attivamente alla produzione della storia del mondo, facen[...]

[...] la propria concezione del mondo consapevolmente, determinando la propria sfera d'attività, partecipando attivamente alla produzione della storia del mondo, facendosi guida di se stessi e « non derivando dall'esterno l'impronta della propria personalità » .
Introdurre la consapevolezza critica e l'autodirezione è anche il modo di superare, nella propria condotta, l'antinomia tra anarchismo e conformismo. Un certo conformismo è ineliminabile per Gramsci, poiché per la propria concezione del mondo si appartiene sempre a un determinato aggruppamento, e precisamente a quello di tutti gli elementi sociali ehe condividono uno stesso modo di pensare e di operare. « Si è conformisti di un qualche conformismo — dice Gramsci —, si è sempre uominimassa, o uomini collettivi. La quistione è questa: di che tipo storico è il conformismo, l'uomomassa di cui si fa parte? Quando la concezione del mondo non è critica e coerente, ma occasionale e disgregata, si appartiene simultaneamente a una molteplicità di uominimassa, la propria personalità è composita in modo bizzarro; si trovano in essa elementi dell'uomo delle caverne e principi della scienza piú moderna e progredita, pregiudizi di tutte le fasi storiche passate grettamente localistiche e intuizioni di una filosofia avvenire quale sarà propria del genere umano unifi[...]

[...] pianificati nella societas rerum e nella societas hominum, si deve passare a un tecnicismo controllato e critico, tanto del proprio fare che dello stesso pensare; che sono poi due aspetti della stessa realtà storica in sviluppo.
La consapevolezza di tale storicità, ossia della fase di sviluppo rappresentata da una concezione del mondo, e del fatto che essa è in contraddizione con altre concezioni o con altri elementi di altre concezioni, è per Gramsci indispensabile per una sana filosofia, che è inseparabile dalla cultura e da ogni progresso scientifico. Il presente va pensato con un pensiero elaborato per problemi attuali, e non per problemi sorpassati. Pertanto Gramsci, ad onta della sua resistenza alle istanze positivistiche, non poteva rimanere indifferente all'esigenza posta dal positivismo, benché male, di una concreta analisi scientifica della realtà tutta quanta, compresa la realtà sociale che si veniva formando nella lotta politica ed economica e úi margini di essa.
Ne fa fede il suo interesse per la situazione creata in Italia dal dialetto in malte regioni arretrate. Il dialetto non può essere un linguaggio universale, scientifico o filosofico. « Chi parla solo il dialetto o comprende la lingua nazionale in gradi diversi, partecipa necessariamente [...]

[...]rporativi o economistici, non universali ». Una lingua propria di una grande cultura, « storicamente ricca e complessa, può tradurre qualsiasi altra grande cultura, cioè essere una espressione mondiale ». Essa può anche socializzare le scoperte scientifiche,
1 M. S., p. 4.
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farle diventare base di azioni vitali, può essere elemento di coordinamento e di ordine intellettuale e morale del reale presente. E questo per Gramsci è un fatto filosofico, « piú importante e " originale" che non sia il ritrovamento da parte di un "genio" filosofico di una nuova verità che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali » '.
La filosofia cosí intesa è un ordine intellettuale di un gruppo che può ricomprendere idealmente tutti gli altri, ed esigere un conformismo che si identifica con l'accettazione critica, coincidendo col « buon senso » che si contrappone al senso comune.
Ma qui importa la scelta della filosofia, che non è un fatto puramente intellettuale, ma risulta, dice Gramsci, dalla reale attività di ognuno, ed è[...]

[...]" filosofico di una nuova verità che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali » '.
La filosofia cosí intesa è un ordine intellettuale di un gruppo che può ricomprendere idealmente tutti gli altri, ed esigere un conformismo che si identifica con l'accettazione critica, coincidendo col « buon senso » che si contrappone al senso comune.
Ma qui importa la scelta della filosofia, che non è un fatto puramente intellettuale, ma risulta, dice Gramsci, dalla reale attività di ognuno, ed è quindi una realtà politica, implicita nell'operare. Quando vi 6 divergenza tra quanto si afferma teoricamente e quanto si opera nei fatti, siamo di fronte a contraddizioni, non sempre in mala fede, dovute a caratteristiche situazioni sociali.
Per Gramsci ciò si spiega col fatto che un gruppo sociale (e non si è gruppo senza avere una propria concezione del mondo, sia pure oscura, che si manifesta nell'azione) prende a prestito una concezione verbalizzata da un altro gruppo verso cui si è intellettualmente sottomessi. La filosofia deve far superare queste contraddizioni, rompendo quell'adesione verbale a gruppi non storicamente rispondenti alle esigenti manifestate con l'agire, adesione che può peraltro giungere sino a. paralizzare, per il suo interno contrasto, ogni azione, conducendo a passività morale e politica.
Conoscere queste situazion[...]

[...]tanto opera del politico, ovvero tocca anche la ricerca scientifica. Che gli scienziati vi debbano essere interessati, discende dal fatto che la politica culturale, costituita dalla scelta di un indirizzo, potrebbe proporsi limiti della ricerca stessa. Ma « chi fisserà i " diritti della scienza " e i limiti della ricerca scientifica; e potranno questi diritti e questi limiti essere propriamente fissati? ».
Queste incalzanti domande mostrano che Gramsci non ignorava l'urgere di un problema come quello del significato della scienza nella cultura contemporanea, e in particolare del significato delle scienze sociali. Sembra talora che Gramsci si ponga, nei confronti di esse, in quella
1 M. S., pp. 45.
Angiola Massucco Costa 207
situazione metodologica che consiglia per la discussione scientifica in genere. «Non bisogna concepire la discussione scientifica come un processo giudiziario... Nella discussione scientifica, poiché si suppone che l'interesse sia la ricerca della verità e il progresso della scienza, si dimostra piú " avanzato " chi si pone dal punto di vista che l'avversario può esprimere un'esigenza che deve essere incorporata, sia pure come un momento subordinato, nella propria costruzione. Comprendere e valutare real[...]

[...] di vista che l'avversario può esprimere un'esigenza che deve essere incorporata, sia pure come un momento subordinato, nella propria costruzione. Comprendere e valutare realisticamente la posizione e le ragioni dell'avversario... significa appunto essersi liberato dalla prigione delle ideologie (nel senso deteriore, di cieco fanatismo ideologico), cioè porsi da un punto di vista " critico ", l'unico fecondo nella ricerca scientifica » 1.
Forse Gramsci non intese molto chiaramente l'istanza scientifica proposta, non sempre bene, dal positivismo; e scienza spesso per lui coincide con filosofia critica o con filologia o con storia, mentre una certa diffidenza gli rimane a proposito delle scienze della natura, scienze sperimentali e matematizzabili; sicché si comprende il suo timore, d'altronde giustificato, per l'uso possibile acritico di quello strumento che, in sé, conserva tutto il suo valore, ed è la ricerca statistica, o ricerca delle leggi dei grandi numeri. Egli temeva che vi si perdesse di vista l'umano, e che si ritornasse per tal vi[...]

[...]a personalità significa modificare l'insieme di questi rapporti » 1.
Io non conosco nulla di piú conforme ad alcune concezioni contemporanee sociologiche o psicosociali, le piú disposte e preparate alla ricerca sperimentale. E questa idea è nel contempo la piú idonea a favorire l'iniziativa di rinnovamento. Soltanto considerando l'uomo come l'insieme dei rapporti sociali (e non psicologicamente o speculativamente), i problemi del progresso, che Gramsci contrappone a quelli astratti del divenire filosofico, si possono risolvere.
Intanto appare, in questa prospettiva, l'incommensurabilità degli uomini, nel tempo, poiché essi non mantengono una identità metastorica, e assumono una realtà storicamente diversa, irriducibile a una realtà naturale immodificabile. Inoltre, poiché l'uomo è anche l'insieme delle sue condizioni di vita, si può misurare quantitativamente la differenza tra il passato e il presente, poiché si può misurare la misura in cui l'uomo domina la natura e il caso. Che l'uomo possa fare una cosa o non possa farla — dice sempre G[...]

[...]ni, nel tempo, poiché essi non mantengono una identità metastorica, e assumono una realtà storicamente diversa, irriducibile a una realtà naturale immodificabile. Inoltre, poiché l'uomo è anche l'insieme delle sue condizioni di vita, si può misurare quantitativamente la differenza tra il passato e il presente, poiché si può misurare la misura in cui l'uomo domina la natura e il caso. Che l'uomo possa fare una cosa o non possa farla — dice sempre Gramsci — ha la sua importanza per valutare ciò che realmente fa. E se possibilità significa libertà, la misura della libertà entra nel concetto dell'uomo. Le scienze che accertano il grado della libertà, ovvero le diverse possibilità di fatto concesse ai vari aggruppamenti umani nelle condizioni del tempo, possibilità che toccano le stesse apparenti immutabili leggi psicologiche o l'astratto momento trascendentale di certe filosofie, hanno dunque il loro peso nella cultura progressista.
Né questa prospettiva personalistica ha valore soltanto dal lato pra
1 M. S., pp. 2829.
Angiola Massucco Costa [...]

[...]ella cultura progressista.
Né questa prospettiva personalistica ha valore soltanto dal lato pra
1 M. S., pp. 2829.
Angiola Massucco Costa 209
tico, bensí da quello teoretico, poiché, se dalla considerazione delle personalità singole si passa a quella della personalità come struttura universale, immanente al conoscere umano, ne deriva una soluzione antispeculativa della funzione gnoseologica, che è costruente, non ricettiva. L'obiettività per Gramsci non deriva dall'attingimento di una realtà estranea all'uomo, ma da una norma d'azione collettiva in cui è implicita una direzione storicamente tracciata del pensiero.
La questione piú importante da risolvere intorno al concetto di scienza, per lui diviene allora questa: se la scienza può dare, e in che modo, la « certezza » dell'esistenza obiettiva della cosiddetta realtà esterna. Per il senso comune la quistion.e non esiste neppure, ma per il filosofo sí. Ora la scienza ha, per Gramsci, non senza qualche residuo della concezione di Mach, il compito di rettificare il modo della conoscenza e[...]

[...]realtà estranea all'uomo, ma da una norma d'azione collettiva in cui è implicita una direzione storicamente tracciata del pensiero.
La questione piú importante da risolvere intorno al concetto di scienza, per lui diviene allora questa: se la scienza può dare, e in che modo, la « certezza » dell'esistenza obiettiva della cosiddetta realtà esterna. Per il senso comune la quistion.e non esiste neppure, ma per il filosofo sí. Ora la scienza ha, per Gramsci, non senza qualche residuo della concezione di Mach, il compito di rettificare il modo della conoscenza e dei suoi mezzi sensoriali, e di elaborare principi nuovi e complessi di induzione e deduzione, affinando gli strumenti stessi dell'esperienza e del controllo. Essi sono tanto importanti, che fuori del loro uso non esiste un mondo obiettivamente accertabile. La scienza stessa comunque si pone il problema di applicarli e di stabilire ciò che è attendibile o no obiettivamente, nel senso di essere accertabile in modo valido per tutti. Ma una scienza di tal tipo è universale? E se non lo è, co[...]

[...]ologia popolare. Ciò che si può determinare, storicamente, come comune a tutti gli uomini, è ciò che in una data cultura si può riconoscere e accertare da tutti, non ciò che è essenziale per sempre. « "Oggettivo" significa proprio e solo questo: che si afferma essere oggettivo, realtà oggettiva, quella realtà che è accertata da tutti gli uomini, che è indipendente da ogni punto di vista che sia meramente particolare o di gruppo ». In realtà, per Gramsci, questa è ancora una particolare concezione del mondo, ma questa concezione, nel suo insieme, e per la direzione che segue, può essere accettata dalla filosofia della prassi, purché si riconosca che « ... le verità scientifiche non sono neanche esse definitive», che «la scienza è una categoria storica, è un movimento in continuo sviluppo », che nessun limite è posto alla conoscenza umana che non sia dato dallo sviluppo degli strumenti fisici e dall'intelligenza storica dei singoli scienziati. «Se è cosí, ciò che interessa la scienza non è tanto dunque l'oggettività del reale, ma l'uomo che el[...]

[...]n falso naturalismo, alla filosofia metafisica. Ma la sociologia cosí intesa non è la stessa cosa degli accertamenti sociali, che hanno ben altra concretezza, non usano strumenti immodificabili, non generalizzano a vuoto, non classificano e astraggono arbitrariamente. Tali accertamenti, incorporati in varie discipline, le qualificano come sociali (il che indica soprattutto una loro prospettiva o un loro campo d'azione) e sono utilizzati anche da Gramsci nello studio di strutture aziendali, di organismi commerciali, di rapporti regionali, di rapporti cittàcampagna. Anzi egli ne è in notevole misura attratto, e forse soltanto la sua peculiare formazione filosofica lo allontanò dal dedicarvisi maggiormente. Egli aveva per di piú individuato nel lavoro umano il rapporto essenziale attraverso cui un'analisi, insieme scientifica e politica, della società, era possibile. E non per nulla polemizza con l'interpretazione dei Veblen e dei De Man che, essi pure, nel lavoro umano, ma da ben altra prospettiva, cercavano la chiave interpretativa delle prin[...]

[...]icarvisi maggiormente. Egli aveva per di piú individuato nel lavoro umano il rapporto essenziale attraverso cui un'analisi, insieme scientifica e politica, della società, era possibile. E non per nulla polemizza con l'interpretazione dei Veblen e dei De Man che, essi pure, nel lavoro umano, ma da ben altra prospettiva, cercavano la chiave interpretativa delle principali caratteristiche della società contemporanea.
Non dunque forzeremo la mano a Gramsci per farne un fautore di scienze sociali, ma sono da riconoscere in lui le premesse gnoseologiche ed epistemologiche per un possibile atteggiamento di critica accettazione delle medesime.



da [Le relazioni] R. Cessi, Lo storicismo e i problemi della storia d'Italia nell'opera di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Roberto Cessi

LO STORICISMO E I PROBLEMI DELLA STORIA D’ITALIA NELL’OPERA DI GRAMSCI

Chi sfogli la raccolta degli scritti su 11 Risorgimento (il titolo* non fu apposto dall’Autore) forse può essere preso da un senso di delusione nella presunzione di ritrovare qui, in una linea continua, lo sviluppo e lo svolgimento di un sistema, di seguire passo a passo, quasi, sia pure nelle prospettive generali ed essenziali, l’organica illustrazione' di uno degli aspetti più impegnativi della storia italiana attraverso i tempi e attraverso la sua maturazione.

La storia italiana di oggi, come risultato della storia di ieri e dell’altro ieri, anche se prolungata nei secoli, non soltan[...]

[...]tenderemo il valore di osservazioni quasi estemporanee, sentiremo la potenza ed il valore della intuizione, il contenuto della realtà storica.

E noi dobbiamo proprio domandarci sopra quale tessuto le espressioni dialettiche, le critiche, le fugaci osservazioni, i giudizi sparsi qua e là e raccolti quasi in forma estemporanea, si vengono a collocare.

È presto detto : lo storicismo. Lo storicismo è la mentalità, direi quasi la personalità di Gramsci, la quale sommuove, informa, ispira tutta la sua attività e le finalità verso cui è rivolta tutta la sua azione.

Storicismo. Che cosa s’intende con questa parola? Qual è il valore di questo termine, quale il significato intimo di questa disposizione, di questo abito mentale, che serve di substrato e di strumento per poter giudicare effettivamente i fenomeni; e poi, come questo strumento è utilizzato?

Ricordava il Gramsci, che, se si vuole studiare la nascita di una concezione del mondo, che dal suo fondatore non è mai stata esposta sistematicamente, occorreva fare preliminarmente un lavoro filologico minuzioso e condotto con il massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso. Occorreva, a suo giusto avviso, ricostruire il processo di sviluppo intellettuale del pensatore valutando criticamente tutti gli elementi stabili e permanenti assunti come pensiero proprio e quelli contingenti desunti da precedenti esperienze in q[...]

[...]serve, piuttosto che azzardare soluzioni, rifacendosi tuttavia ad alcuni principi generali, nei quali trovavano giustificazione e fondamento le obiezioni e le censure, che egli opponeva a prospettive contrastanti.

Le penose vicende della vita non gli consentirono né il tempo, né i mezzi, né l’opportunità di ricondurre, dopo una tenace meditazione, in un quadro organico i concetti progressivamente elaborati.

Nella posizione metodologica del Gramsci tale assenza, a causa della quale la grandiosa opera di introspezione si presenta con carattere di frammentarietà, non rappresenta né immaturità di pensiero, né incertezza di orientamento, anche se affermazioni casuali ed aforismi staccati, talora, lasciano scoprire sconcertanti oscillazioni.

La forte inquietudine polemica, che si rivela nella sua posizione critica, costituiva un abito mentale, che inconsapevolmente lo allontanava da una elaborazione sistematica, che potesse apparire dogmatica. La polemica era argomento strumentale, non soltanto formale e contingente, ma intrinseco del pro[...]

[...] pseudo storica. L’esperienza, su cui si fonda la filosofia della prassi,, non può essere schematizzata; essa è la storia stessa nella sua infinita varietà e molteplicità, il cui studio può dar luogo alla nascita della filosofia come metodo dell’erudizione nell’accertamento dei fatti particolari ed alla nascita della filosofia intesa come metodologia generale della storia.

In questa prospettiva lo storicismo marxista — secondo il pensiero del Gramsci — non poteva essere circoscritto nell’ambito di un rigido economismo del vecchio materialismo, del materialismo volgare, del materialismo empirico — egli soggiungeva — e confuso con lo storicismo eticopolitico dell’idealismo speculativo e neppure con il dogmatismo storicogiuridico tedesco (al quale il Gramsci fa soltanto qualche fuggevole accenno) che ebbe tanta fortuna in Germania.

Critico del materialismo empirico e del positivismo come dell’idealismo speculativo, considerati forme deteriori della dialettica materialista e di quella hegeliana confluite nella filosofia della prassi, dalle quali eranoRoberto Cessi

Alò

derivati i valori negativi, negli aforismi e nei criteri piratici, dei quali si è rivestita la filosofia della prassi, ritrovava esemplificata tutta una concezione del mondo, una filosofia, nella quale l'immanentismo hegeliano era diventato storicismo, uno storicismo assolu[...]

[...]fica il termine « storia » ? Troppo spesso si scambiano indifferentemente i due termini storia e storiografia, quasi fossero sinonimi ed esprimessero identiche prospettive, e perciò concezione storiografica equivalesse ed equivalga a creazione storica. In realtà occorre ben differenziare i due concetti, in quanto rappresentano due processi diversi, i cui valori sono diversi anche se interdipendenti.

Storia — tecco ili concetto fondamentale di Gramsci — si identifica nella vita del mondo, nella quale attore non è la natura, ma l’uomo, non però ridotto ad una semplice espressione ideologica, né ad una espressione economica, Ybomo oeconomicus, e neppure a tipo astratto, ma l’uomo considerato come soggetto di rapporti.

La vita è il complesso di rapporti delle energie operanti nel mondo nel passato, nel presente e nel futuro, sicché la storia è accertamento del passato, attuazione del presente e previsione del futuro, e si attua non secondo una legge di regolarità conforme alla legge dei fatti naturali, ma seguendo un processo di tesi e di [...]

[...] norma e regola; non è quello rispondente alla interpretazione empirica del senso comune, che è fattore secondario, o quello pseudo scientifico di una logica formale. Anche essa, forma secondaria, è derivata dal processo storico.

Anche il principio di causalità mantiene il proprio valore, anche se è difetto di conoscenza. Ecco dove riposa e dove mi si presenta il dubbio, che io avevo sollevato all’inizio, sopra il carattere subiettivo, che il Gramsci attribuiva alla conoscenza. Questo carattere subiettivo, che è determinato non dall’assenza assoluta di qualche elemento esterno, ma dal fatto che la conoscenza stessa è limitata per effetto della limitazione individuale e subiettiva, non consente la ricerca e la sicura individuazione di tutti i rapporti e del loro svolgimento.

Oggettività e soggettività

E qui si pone, come dicevo, il problema della soggettività e della oggettività della realtà.

La concezione deH’oggettività della realtà, nata da una credenza religiosa e dalla esperienza del senso comune, è stata superata dalla filos[...]

[...]pi sociali, che si attua gradualmente dal solidarismo economico corporativo professionale (non del gruppo sociale) al solidarismo economico di interesse del gruppo sociale, alla fase politica, nella quale l’ideologia diventa partito, e che universalmente nel gruppo determina l’unicità dei fini economici e politici e l’unità morale ed intellettuale, che portano alla egemonia del gruppo dominante.

■Ma che cosa è il partito? Ecco il problema che Gramsci si pone subito.

Ogni partito è espressione di un gruppo sociale, di un solo gruppo, e con funzioni di equilibrio fra gli interessi del proprio gruppo e quelli degli altri gruppi; ma né la funzione politica in senso stretto, né la coesione molecolare sono condizioni necessarie per formare un partito.

La funzione del partito può essere esercitata fuori dalla organizzazione. Nellambito di questa si verificano frazionamenti e fratture anche là dove esiste un partito unico sotto governi totalitari, perché esistono sempre tendenze legalmente incoercibili.Roberto Cessi

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D’altronde vi[...]

[...]re ed organizzare una nuova società politica, od un nuovo tipo di società civile, ma per attuare una rotazione di frazioni con mutamento di dirigenti.

Tale è la funzione dell’economismo liberale, e del sindacalismo teorico, ovvero dei partiti dei grandi industriali e degli agrari, che si configurano almeno in una organizzazione permanente o in una serie di organizzazioni diverse, ma convogliate verso il medesimo fine.

La critica storica di Gramsci

Orbene, è su questi elementi fondamentali che il Gramsci impostava (egli non ha mai preteso di scoprire la storia) la sua indagine, la sua ricerca storiografica e gli apprezzamenti, che egli veniva mano a mano progressivamente registrando, annotando, in presenza di letture, direi quasi, estemporanee; è dal vaglio di questi elementi che egli veniva a stabilire i valori, che erano intrinseci ai fatti storici, dall’antichità all’età moderna: gli atti storici contingenti e gli atti storici permanenti^480

Le relazioni

Egli aveva cura di richiamare, spesso, i suoi interlocutori (i libri che egli leggeva, che egli annotava e che criticava) sulla so[...]

[...]
E qui si poneva una domanda, la domanda, forse, più grave nella sua ricostruzione storica: che cosa era, che cosa è la rivoluzione?

Egli aveva ben distinto, e distingueva molto profondamente, due concetti: sommossa o rivolta da rivoluzione.

La rivoluzione — come del resto stamattina ha detto ottimamente il Garin — non è un atto taumaturgico, è un processo dialettico di sviluppo storico. La creazione dello Stato proletario — soggiungeva il Gramsci — non è un atto di arbitrio, è anch’esso fase di un processo di sviluppo, e per questo è un atto eminentemente rivoluzionario. E distingueva la rivoluzione dalla sommossa.

La sommossa — egli diceva — è presente nel dissolvimento di una forma dell’organismo sociale. La rivoluzione comincia quando l’organismo sociale si avvia ad acquistare una forma nuova. Il momento, che è puramente negativo, della sommossa avrà una durata tanto più lunga quanto maggiore sarà la difficoltà che i gruppi di avanguardia dovranno superare per dare forma organica alle masse, che il moto di rivolta ha reso inform[...]

[...]ntalmente espressivo,Roberto Cessi

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quando naturalmente non sia interpretato unilateralmente o superficialmente: al concetto di rivoluzione permanente.

Si può dire che proprio la umanità, — il mondo, — avanzi in una continua rivoluzione, perché essa stessa per il suo divenire è un costante rinnovarsi, un rimutarsi non soltanto nelle grandi masse, ma anche nell’intimo d^lle masse stesse ed anche dei piccoli raggruppamenti sociali.

Gramsci ed il Risorgimento

Ed allora il Gramsci ad un certo momento delle sue indagini si domandava: il Risorgimento è stato una rivoluzione? A questa domanda, che il Gramsci non ha posto direttamente, ma che ad un attento lettore non sfugge, e che si può sorprendere qua e là nelle sue pagine, implicitamente rispondeva sollevando il dubbio e l’eccezione, che effettivamente nella vita del Risorgimento italiano operasse uno spirito rivoluzionario, e negando, ad esempio, la presenza di quello spirito giacobino che aveva costituito una delle espressioni più manifeste ed essenziali della Rivoluzione francese, qualunque fosse il suo contenuto e le finalità alle quali si ispirava. Gli pseudogiacobini italiani obbedivano ad impulsi di conservazione non di rivoluzione. In [...]

[...]egando, ad esempio, la presenza di quello spirito giacobino che aveva costituito una delle espressioni più manifeste ed essenziali della Rivoluzione francese, qualunque fosse il suo contenuto e le finalità alle quali si ispirava. Gli pseudogiacobini italiani obbedivano ad impulsi di conservazione non di rivoluzione. In questa posizione era difficile ravvisare l’espressione di un movimento e di una forza rivoluzionaria e nella comparazione che il Gramsci istituiva fra gli elementi e le forme di sviluppo del movimento risorgimentale nell’Inghilterra e nella Germania e nella Francia rispetto all’Italia, quasi quasi egli è indotto a negare la capacità del movimento italiano di poter creare veramente un sostanziale rinnovamento. Egli giustamente afferma che lo Statuto Albertino, in fondo, non era altro che il convalidamento della conservazione e che ribadiva e riproponeva la categoria di principi — in sostanza — eredi della vecchia struttura, appena ammodernata nella forma e rivestita di nuove vesti di una società immobile 'nella sua tradizione. [...]

[...]ve vesti di una società immobile 'nella sua tradizione. In queste prospettive era difficile ravvisare un valore rivoluzionario della vita italiana, che non fosse puramente esteriore e apparente.

Ora, se questa proposizione e questa critica fossero limitate da un presupposto politico — permettetemi che io stesso formuli a me stesso un dubbio, sia pure per rispondere negativamente, ma dubbio che può nascere dalla lettura stessa delle pagine del Gramsci — se si interpre482

Le relazioni

tasserò nel senso, come qualcuno potrebbe presumere, che il giudizio negativo risultasse dalla mancanza di uno spirito rivoluzionario proletario, potremmo anche convenire.

In questo caso la visione del Gramsci perfettamente collimava con la realtà, e questa, che in lui fu una intuizione più che una dimostrazione, noi la possiamo oggi controllare non solo, ma ampiamente illustrare.

Non è certo fare offesa ai grandi sacrifìci della vita del Risorgimento riconoscere e costatare quella che fu la realtà degli avvenimenti.

Non fu una rivoluzione proletaria. Si dirà: ma non vi hanno partecipato dei contadini, dei lavoratori, dei ceti bassi? Si, hanno partecipato, ma il loro valore politico è quello che fin dal 1848 ben individuava Giuseppe Mazzini. Questi uomini hanno partecipato, questi uomini hann[...]

[...]me uomini, come individui e come cittadini, non come elementi di classe ». Cosi melanconicamente constatava Mazzini, che, rimproverando alla borghesia la mancata soddisfazione del suo impegno d’onore, di ricompensare le classi che « avevano dato tutto di sé e nulla avevano richiesto », concludeva invitando le classi lavoratrici, che avevano pugnato e combattuto per il bene degli altri, a levare il braccio e combattere per la causa propria.

Il Gramsci si trova, a questo proposito, sul medesimo terreno. Egli deve riconoscere e riconosce che una rivoluzione e un movimento proletario nel periodo del Risorgimento non vi fu, ed egli stesso deve riconoscere, o meglio denuncia come motivo di questa mancata rivoluzione il fatto che non si è avuto sostanziale ed organica concatenazione con la massa contadina.

Ma se invece consideriamo — qui appunto possiamo riprendere il discorso con lo stesso Gramsci — che il movimento ottocentesco era legato alle esigenze ed ai fini di un’altra classe, la classe dei proprietari, classe che fino allora viveva fuori della vita pubblica e che tendeva a rivendicarne il controllo ed occupare il suo posto in funzione ed in rapporto della evoluzione economica compiuta, sotto l’impulso naturale delle esigenze della vita, se pensiamo che la rivoluzione italiana era obiettivo, spirito, ispirazione, finalità della classe dei proprietari, non possiamo negare un contenuto rivoluzionario che lo stesso Gramsci avvertiva, considerando che non tutte le manifestazioni riv[...]

[...]asse, la classe dei proprietari, classe che fino allora viveva fuori della vita pubblica e che tendeva a rivendicarne il controllo ed occupare il suo posto in funzione ed in rapporto della evoluzione economica compiuta, sotto l’impulso naturale delle esigenze della vita, se pensiamo che la rivoluzione italiana era obiettivo, spirito, ispirazione, finalità della classe dei proprietari, non possiamo negare un contenuto rivoluzionario che lo stesso Gramsci avvertiva, considerando che non tutte le manifestazioni rivoluzionarieRoberto Cessi

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presentano i medesimi caratteri. « Ce un carattere comune — egli diceva — nelle rivoluzioni: quello di sommuovere le condizioni attuali e statiche di una determinata condizione della società, per distruggerne gli organi, per mutarne le funzioni (processo negativo) per crearne altrettante di nuove, per imprimere una fisionomia ed un comportamento nuovo alla struttura politica e sociale ».

Ed in questa prospettiva, analogamente a tutte le grandi rivoluzioni, faceva rientrare il rinnovamento del cri[...]

[...]re meramente esteriore e politico, si muovono tutti su un medesimo terreno, sono tutti esponenti della classe dei proprietari. Non si conosce ancora la dottrina del marxismo, la propaganda, pur tiepida, del socialismo empirico solleva quasi un grido di terrore; la paura che questa veramente porti ad un capovolgimento della situazione creata dalla classe dei proprietari, genera inquietudine ed orgasmo.

Da questo punto di vista la posizione del Gramsci nettamente corrisponde alla esatta interpretazione che egli ha dato sopra il concetto della rivoluzione, che dipende da due elementi: 'la necessità e la libertà.484

Le relazioni

Necessità e libertà

La necessità è un fatto determinante che sta al di là e al di sopra della volontà deiruomo. La libertà, che è connaturata un po’ alla volontà dell’uomo, però deve obbedire alle esigenze fondamentali della classe.

Libertà. Delle libertà ve ne sono di tante specie e in Gramsci ricorre spesso la parola libertà.

Libertà dal passato. Ne parlavano anche nel periodo del trapasso dall’età p[...]

[...]satta interpretazione che egli ha dato sopra il concetto della rivoluzione, che dipende da due elementi: 'la necessità e la libertà.484

Le relazioni

Necessità e libertà

La necessità è un fatto determinante che sta al di là e al di sopra della volontà deiruomo. La libertà, che è connaturata un po’ alla volontà dell’uomo, però deve obbedire alle esigenze fondamentali della classe.

Libertà. Delle libertà ve ne sono di tante specie e in Gramsci ricorre spesso la parola libertà.

Libertà dal passato. Ne parlavano anche nel periodo del trapasso dall’età pagana all’età cristiana, contrapponendo i due termini: libertas et servitus. Libertà serviva, allora, ad indicare il riscatto di una classe, che forzava per essere dimessa neH’interesse stesso dei proprietari: la classe degli schiavi.

Per libertà s’intendeva precisamente ridare all’uomo quella fisionomia, quella figura giuridica, quella personalità, che lo schiavo non aveva; era una cosa.

Libertà nel periodo comunale, a secoli di distanza, rappresenta la liberazione di un altr[...]

[...]amente nell’ambito della formazione del Comune e dell’attività mercantile.

Anche nel periodo della Rivoluzione francese, la libertà giacobina — l’impulso giacobino — è essa pure il riscatto di una classe, il riscatto dei ceti rurali i quali non sono più elementi e strumenti economici validi per la valorizzazione della proprietà la quale avanza nella conquista del potere. Questo è il fine supremo del movimento rivoluzionario.

Ed oggi — dice Gramsci — che cosa si intende per libertà? Questa libertà, che noi abbiamo ereditato ormai come conseguenza di tutto un processo storico, perché anche il nostro movimento attuale non è la creazione soltanto dell’arbitrio di pochi individui, di pochi gruppi, ma è la risultante del processo storico, di cui si sono ereditate le conseguenze e le influenze, a quali finalità si dirige?

Libertà è — spiega il Gramsci — liberazione dalle contraddizioni,, «nelle quali vive la società attuale. Ed ecco il concetto di previsione, che egli attribuisce anche alla storia, ed è funzione della storia stessa. Come si attuerà la nuova forma di libertà? Si attuerà precisamente nel distruggere le cause, che determinano le contraddizioni, e le cause sono determinate dalla contrapposizione delle classi. La distruzione delle classiRoberto Cessi

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porterà con sé la eliminazione delle cause, che hanno determinato e che determinano le contraddizioni, in virtù delle quali manca la piena ed assoluta, completa libertà [...]

[...]dizioni, e le cause sono determinate dalla contrapposizione delle classi. La distruzione delle classiRoberto Cessi

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porterà con sé la eliminazione delle cause, che hanno determinato e che determinano le contraddizioni, in virtù delle quali manca la piena ed assoluta, completa libertà nell’individuo.

Rinascimento ed Età moderna

Ma questo processo su quale terreno si viene sviluppando, si viene producendo attraverso il tempo?

Il Gramsci stabilisce, direi quasi, due formule, valide luna per il Rinascimento e l’altra per la età moderna.

Per il Rinascimento egli vede nella formula municipale e corporativa il motivo e la ragione della mancanza della possibilità di una rivoluzione nazionale. Nel mondo moderno egli ravvisa, invece, nell’altra, formula, nella mancanza cioè di collaborazione fra gli elementi rivoluzionari e la massa contadina, la impossibilità di una rivoluzione proletaria.

Che cosa significano in parole povere queste due formule? Esse non rappresentano altro che la ricerca e lo sforzo di scoprire le cause pri[...]

[...]i collaborazione fra gli elementi rivoluzionari e la massa contadina, la impossibilità di una rivoluzione proletaria.

Che cosa significano in parole povere queste due formule? Esse non rappresentano altro che la ricerca e lo sforzo di scoprire le cause prime,, che determinano i movimenti rivoluzionari, e i movimenti di profonda, trasformazione.

Il movimento di profonda trasformazione nasce sempre — e lo dice esplicitamente e chiaramente il Gramsci — da un interesse agrario fra le masse contadine, fra le masse agrarie, nella struttura della società agraria,, dove si trovano i primi germi che preparano e predispongono lo sviluppo successivo dell’azione rivoluzionaria.

Quando egli ammoniva i movimenti moderni, prevalentemente di carattere operaio, ed avvertiva gli stessi sindacalisti operai, che non si poteva operare una trasformazione della società senza congiungersi e collegarsi intimamente con il movimento contadino, egli indicava una delle fonti principali dello spirito rivoluzionario. E se noi ripercorriamo il ciclo della storia, [...]

[...]derni, prevalentemente di carattere operaio, ed avvertiva gli stessi sindacalisti operai, che non si poteva operare una trasformazione della società senza congiungersi e collegarsi intimamente con il movimento contadino, egli indicava una delle fonti principali dello spirito rivoluzionario. E se noi ripercorriamo il ciclo della storia, ritroviamo nei suoi diversi momenti al fondo della crisi la scintilla animatrice di questo fecondo processo. Il Gramsci, pur senza essere disceso allanalisi dei grandi processi storici attuati traverso il tempo, ne intuì le origini e ne individuò le cause.

Egli non ha avuto la possibilità di approfondire l’esame di testimonianze e di controllare e meditare là letteratura storiografica. Le vicende486

Le relazioni

fortunose della vita limitavano le sue conoscenze alle letture, quasi estemporanee di studi, spesso contrastanti alla sua mentalità, e su essi fù costretto a condurre la propria critica. Tuttavia sulla base anche di elementi incompleti ed eterogenei ha avuto felice intuizione dei momenti stor[...]

[...]ma organizzazione del Comune stesso, alla campagna poi l’elemento cittadino deve chiedere il contributo fondamentale per il proprio sviluppo e per la propria forza.

Nelle rivoluzioni iniziate nel secolo XVIiII, sia quella francese, sia quella inglese, questa più calma, più tranquilla, ed anche più pacifica, ma altrettanto profonda e forse più ancora di quella francese, dal movimento agrario nasce la prima spinta.

Questa interpretazione del Gramsci trova piena conferma in studi recenti.

I lavori del Labrousse hanno messo in luce i fermenti e le energie operanti, che hanno alimentato la grande Rivoluzione francese, iniziata nella sua organica preparazione prima che nelle città, nelle campagne, tra quella proprietà agraria, la quale si trovava in uno stato di espansione, non di miseria.

Giustamente lo storico francese concludeva che la Rivoluzione in terra di Francia non era la rivoluzione della miseria, ma dell’agiatezza, del benessere; era la classe che già aveva creato questo nuovo stato, la quale si avvicinava alla conquista del[...]

[...]oprietà agraria, la quale si trovava in uno stato di espansione, non di miseria.

Giustamente lo storico francese concludeva che la Rivoluzione in terra di Francia non era la rivoluzione della miseria, ma dell’agiatezza, del benessere; era la classe che già aveva creato questo nuovo stato, la quale si avvicinava alla conquista del potere e che erigeva il governo facendo leva sulle migliorate condizioni delle masse rurali.

Orbene, proprio il Gramsci ha intuito nettamente quale sia stato il valore dello spirito giacobino che, se fece appello all’intervento di masse di pezzenti le quali spianano la via al trionfo del ceto fondiario, in questo trovò la sua tipica espressione ed efficienza.

II giacobino è un cittadino, non un proletario, e come cittadino legato all’interesse agrario per il successo della causa dell’economia rurale. Il proletario, che scende in piazza, è 1 ausiliario di una causa altrui, comeRoberto Cessi

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si ricava dallo studio del Lefèvre, senza alcun interesse personale se non riflesso. Il governo del Direttor[...]

[...] il potere.

Altrettanto si può ripetere della rivoluzione italiana, in tono minore, s’intende, perché le condizioni economiche e le condizioni strutturali della vita italiana erano profondamente diverse. Mentre nelle altre nazioni l’impulso rivoluzionario aveva potuto condurre anticipatamente alla formazione di una unità territoriale e politica reale e sostanziale, in Italia la unificazione si attuò tardivamente e con caratteri formali.

Il Gramsci, di questi risultati e di questo stato — dirò anomalo —■ rispetto alle grandi potenze vicine, ha dato una interpretazione che a mio avviso credo risponda a verità. Egli ragiona: in sostanza l'Italia è stata fatta intorno a un piccolo statarello, al Piemonte, per una serie di aggregazioni operate traverso un processo dii sovrapposizione di una parte alle altre membra. Donde dalla esteriore unificazione è effettivamente risultata la dicotomia fra l’Italia superiore accentratrice e l’Italia meridionale, aggregata.

Un noto conservatore del tempo non andava molto lontano da questo apprezzamento[...]

[...]ere se stesso e la sua politica estera, nel 1877 — mi riferisco al Visconti Venosta già ministro degli esteri — alla censura rivoltagli alla Camera di mancata tutela nel concerto internazionale degli interessi dello Stato italiano rispondeva in sua difesa: «Ma non sapete come è stata fatta l’Italia? L’Italia è stata fatta soltanto con l’aggregazione di pezzi diversi per la compiacenza di Europa e per la volontà soltanto di un piccolo gruppo».

Gramsci, però, a questa spiegazione di carattere politico piuttosto esteriore dà un fondamento non illegittimo. Egli rilevava che nell’Italia superiore aveva trovato propizio terreno un’attività industriale, che era mancata o mancava nell’Italia meridionale. Da questo maturare di strutture economicosociali scaturivano lo sdoppiamento politico e la sostanziale antitesi fra l’Italia settentrionale e l’Italia meridionale, cioè fra una società che è costretta a vivere di una economia agraria piuttosto povera, e una ricca e potente organizzazione industriale dell’Italia settentrionale.

In questo antago[...]

[...], che era mancata o mancava nell’Italia meridionale. Da questo maturare di strutture economicosociali scaturivano lo sdoppiamento politico e la sostanziale antitesi fra l’Italia settentrionale e l’Italia meridionale, cioè fra una società che è costretta a vivere di una economia agraria piuttosto povera, e una ricca e potente organizzazione industriale dell’Italia settentrionale.

In questo antagonismo, in questo contrasto, in questo difetto il Gramsci giustamente intravvedeva il riflesso della mancata unità sostan
32.488

Le relazioni

ziale in dipendenza di una mancata rivoluzione rinnovatrice, suffragata dal concorso di grandi masse, soprattutto contadine, arenate invece in una rivoluzione conservatrice.

Gramsci da queste considerazioni cerca di trarre anche una previsione e si domanda se sia possibile in Italia una rivoluzione in applicazione di quella dottrina che insegna che la storia non è soltanto accertamento del passato e attuazione del presente, ma anche previsione del futuro. È possibile una rivoluzione in Italia? — egli si domanda e risponde in una forma affermativa a condizione che essa trovi il collegamento del processo operaio con la « liberazione dell’elemento contadino ».

Egli era fermamente convinto che la città potesse essere un buon focolaio di attività rivoluzionaria, che la cit[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] F. Alderisio, Riflessioni di A. Gramsci sul concetto della finalità nella filosofia della prassi in Studi gramsciani

Brano: Felice Alderisio
RIFLESSIONI DI A. GRAMSCI SUL CONCETTO DELLA FINALITÀ` NELLA FILOSOFIA DELLA FRASSI
facilmente riconoscibile che tutta la materia raccolta nel volume postumo di Gramsci Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce presenta un andamento asistematico e rapsodico, e spesso ha un carattere meramente filologico, anziché speculativo, per quanto il volume stessa riesca largamente informativo ed illuminante su di un notevole gruppo di questioni anche d'interesse strettamente filosofico e dottrinario. Ed. anche, o specialmente, le riflessioni sporadiche e per lo piú vaghe e indirette ivi contenute sulla finalità, o teleologia, nel mondo naturale e soprattutto nel mondo umano — la quale categoria, per quanto intervenga solo occasionalmente, o per lo piú inconsap[...]

[...]categoria, per quanto intervenga solo occasionalmente, o per lo piú inconsapevolmente, nelle pagine degli autori piú insigni della filosofia della prassi e del materialismo storico, è necessariamente intrinseca e implicita in tale dottrina, ed è particolarmente valida per distinguerla, anche meglio che non si sia fatto neI passato, dal comune indirizzo del naturalismo positivistico o dello schietto materialismo, — sono state pensate e scritte da Gramsci in forma filologica, immediata e intenzionalmente provvisoria, se non proprio di sfuggita; e ciò forse è avvenuto assai piú in considerazione della gran difficoltà del tema e dell'impegno critico da esso richiesto, che non per il misconoscimento o la svalutazione di esso in ordine alla più compiuta. e soddisfacente concezione della natura e della storia nella filosofia della. prassi. E quindi ovvio e naturale per me che il tema di questa comunicazione rispetti e quasi rispecchi nella sua trattazione l'indole e l'andamento delle riflessioni gramsciane che ad esso si riferiscono, fino a la scia[...]

[...] forse è avvenuto assai piú in considerazione della gran difficoltà del tema e dell'impegno critico da esso richiesto, che non per il misconoscimento o la svalutazione di esso in ordine alla più compiuta. e soddisfacente concezione della natura e della storia nella filosofia della. prassi. E quindi ovvio e naturale per me che il tema di questa comunicazione rispetti e quasi rispecchi nella sua trattazione l'indole e l'andamento delle riflessioni gramsciane che ad esso si riferiscono, fino a la sciare allo stato semplicemente allusivo o alquanto indeterminato quegli
54 I documenti del convegno
spunti di idee, che cosí furono abbozzati nei quaderni del carcere, donde fu tratta la materia per il suddetto volume.
Gramsci ha affermato che la « filosofia della prassi è una concezione nuova, indipendente, originale », e che la sua indipendenza e originalità è quella « di una nuova cultura in incubazione, che si svilupperà con lo svilupparsi dei rapporti sociali »; ha scritto inoltre che « la filosofia della prassi è uguale a Hegel piú Davide Ricardo » 1, in quanto i nuovi canoni metodologici introdotti da Ricardo in economia « hanno avuto un significato d'innovazione filosofica » (cosicché, ad es., il principio della legge di tendenza nell'homo oeconomicus e nel mercato determinato « è stata una scoperta di valo[...]

[...]erialismo storico per l'efficacia dell'azione economicopolitica, con l'esigenza etica propria del libero volere agente secondo fini suggeriti soprattutto dalla detta condizionalità e da realizzarsi, se necessario, anche con un rovesciamento della prassi; onde il progresso sociale riesca una moralizzazione sociale. Ma il detto volume contiene un'altra riflessione, molto ampia e forse meglio introduttiva alla filosofia della prassi, e con la quale Gramsci vedeva questa filosofia presupporre il passato culturale della Rinascita e della Riforma, la filosofia tedesca e la Rivoluzione francese, :il calvinismo e l'economia classica inglese, il liberalismo laico e in senso lato lo storicismo, che sta alla base di tutta la concezione moderna della vita. E di tutto questo complesso movimento « la filosofia della prassi è il coronamento », quale «riforma intellettuale e morale », e anche quale dialettizzamento del « contrasto tra cultura popolare e alta cultura » : essa è « una filosofia che è anche politica, e una politica che è anche filosofia ». Per[...]

[...]e ". Il laceramento avvenuto per l'hegelismo si è ripetuto per la filosofia della prassi, cioè dall'unità dialettica si è ritornati da una parte al materialismo filosofico, mentre l'alta cultura moderna idealistica, ha cercato d'incorporare ciò che della filosofia della prassi le era indispensabile per trovare qualche nuovo elisir» 1 (di lunga vita per la classe di. cui la cultura idealistica è stata ed è l'esponente).
È facile qui rilevare che Gramsci intuiva nella concezione hegeliana — a parte la cattiva riuscita di essa in una sorta di uomo capovolto, che cammini sulla testa delle idee, e non sulle gambe dei bisogni e delle forze reali — una sintesi di due momenti della vita e del pensiero, e vedeva pure, in corrispondenza o analogia col laceramento avvenute nella scuola hegeliana, anche un laceramento avvenuto nella filosofia. della prassi, spesso degenerata in pregiudizio o superstizione materialistica e deterministica. Onde egli avvertiva che se la filosofia della prassi aveva
1 M. S., pp. 867.
Felice Alderisio 57
ragione di affer[...]

[...]di ogni concezione del mondo e della vita) », bisognasse ancora ammettere — per quanto la cosa fosse difficile farla comprendere « praticamente » — che una tale interpretazione storicista delle verità supreme del mondo e della vita « è valida anche per la stessa filosofia della prassi, senza scuotere quei convincimenti che sono necessari per l'azione » , e senza perciò dedurre dallo storicismo « lo scetticismo morale e la depravazione ». Insomma Gramsci qui riassume nella concettosa riflessione già riferita la sua veduta circa la filosofia della prassi: « Ecco perché la proposizione del passaggio dal regno della necessità a quello della libertà deve essere analizzata ed elaborata con molta finezza e delicatezza » 1.
Altra considerazione di Gramsci che a me sembra pure orientata o convergente verso il nostro tema è quella sul concetto di regolarità e necessità nello sviluppo storico, a cui giunse il « fondatore della filosofia della prassi » (Marx); ma non proprio per « una derivazione dalle scienze naturali », bensí con « una elaborazione di concetti nati nel terreno dell'economia politica, specialmente nella forma e nella metodologia che la scienza economica ricevette da Davide Ricardo », (la cui impostazione delle leggi economiche Gramsci riteneva necessario studiare). Infatti Ricardo « non ha avuto importanza nella fondazione della [...]

[...]verso il nostro tema è quella sul concetto di regolarità e necessità nello sviluppo storico, a cui giunse il « fondatore della filosofia della prassi » (Marx); ma non proprio per « una derivazione dalle scienze naturali », bensí con « una elaborazione di concetti nati nel terreno dell'economia politica, specialmente nella forma e nella metodologia che la scienza economica ricevette da Davide Ricardo », (la cui impostazione delle leggi economiche Gramsci riteneva necessario studiare). Infatti Ricardo « non ha avuto importanza nella fondazione della filosofia della prassi solo per il concetto di " valore " in economia, ma ha avuto un'importanza " filosofica ", ha suggerito un modo di pensare e d'intuire la vita e la storia ». Tale modo di pensare è, detto alla buona, « il metodo del posto che, delta premessa che dà una certa conseguenza »; ed a Gramsci parve che esso « debba essere identificato come uno dei punti di partenza (stimoli intellettuali) delle esperienze filosofiche dei fondatori della filosofia della prassi ». Ma l'economia classica dette luogo a una « critica dell'economia politica », la quale è partita dal concetto della « storicità » del mercato determinato e del suo cosiddetto « automatismo », mentre gli economisti puri concepivano gli elementi o fattori economici come « eterni », « naturali ». « La critica analizza realisticamente i rapporti delle forze che determinano il mercato, ne approfondisce le contraddizioni, valuta [...]

[...] che sarà presuntivo finché non avrà dato prova manifesta di vitalità » '.
Non si tratta dunque di un automatismo statico, immodificabile dal giuoco delle forze economiche e dal loro risultato, ma variabile col variare dei rapporti delle forze; ed è un automatismo in cui entra « l'arbitrio » individuale o collettivo (che è l'elemento storicistico per eccellenza). e L'elemento arbitrario », dell'individuo, di consorzi sociali, dello Stato, come Gramsci riconosce — ha assunto « un'importanza che prima non aveva », ed ha « profondamente turbato l'automatismo tradizionale »
mediante interventi arbitrari, « misura diversa, imprevedibili», per quanto esso non faccia sparire del tutto il vecchio « automatismo », il quale può continuare a verificarsi « su scale piú grandi di quelle di prima per i grandi fenomeni economici, mentre i fatti particolari sono impazziti» (o si hanno le crisi economiche, che modificano la vita economica, soprattutto a causa dell'elemento arbitrario). Queste e simili considerazioni ritiene Gramsci di dover fare onde « pr[...]

[...] »
mediante interventi arbitrari, « misura diversa, imprevedibili», per quanto esso non faccia sparire del tutto il vecchio « automatismo », il quale può continuare a verificarsi « su scale piú grandi di quelle di prima per i grandi fenomeni economici, mentre i fatti particolari sono impazziti» (o si hanno le crisi economiche, che modificano la vita economica, soprattutto a causa dell'elemento arbitrario). Queste e simili considerazioni ritiene Gramsci di dover fare onde « prendere le mosse per stabilire ciò che significa regolarità, legge, automatismo nei fatti storici », e senza che con ciò si tratti «di scoprire una legge metafisica di determinismo, e neppure di stabilire una legge generale di causalità. Si tratta solo di rilevare come nello svolgimento storico si costituiscano delle forze relativamente permanenti, che operano con una certa regolarità e automatismo ». In altri termini non si può indicare una vera e propria « legge» dei fatti storici, eterna ed immutabile; ma l'accennato « elemento della filosofia della prassi » (derivato[...]

[...]oprire una legge metafisica di determinismo, e neppure di stabilire una legge generale di causalità. Si tratta solo di rilevare come nello svolgimento storico si costituiscano delle forze relativamente permanenti, che operano con una certa regolarità e automatismo ». In altri termini non si può indicare una vera e propria « legge» dei fatti storici, eterna ed immutabile; ma l'accennato « elemento della filosofia della prassi » (derivato, secondo Gramsci, soprattutto dall'impostazione delle leggi economiche fatta dal Ricardo) « è poi, nientemeno, il suo particolare modo di concepire l'immanenza » . Nel senso finora chiarito « il concetto di necessità è strettamente connesso a quello di regolarità e di razionalità » . Non è la necessità nel senso
1 M. S., pp. 99100. A proposito del modo di pensare la vita e la storia conseguentemente alla forma e al metodo dell'economia politica del Ricardo, Gramsci qui annota che bisogna vedere, o meglio studiare, il concetto filosofico di caso e di legge, il concetto di una razionalità e di una provvidenza perché —come solitamente è accaduto — si finisce, da un lato, « nel teleologismo trascendentale, se non trascendente », e dall'altro lato — col concetto di caso — « nel materialismo metafisico, che il mondo a caso pone».
Felice Alderisio 59
speculativo astratto, ma « nel senso storico concreto », poiché « esiste necessità quando esiste una premessa efficiente e attiva, la cui consapevolezza negli uomini sia diventata operosa ponendo dei fini concre[...]

[...]complesso di passioni e sentimenti imperiosi, cioè che abbiano la forza di indurre all'azione " a tutti i costi ".
Come si è detto, solo per questa via si pub giungere a una concezione storicistica (e non speculativaastratta) della "razionalità" nella storia » (e quindi anche della cosiddetta irrazionalità — relativa anch'essa, com'è relativa la razionalità — nella storia stessa).
Da quanto precede risulta una innegabile intuizione da parte di Gramsci della presenza del fattore arbitrio, anzi del fattore razionalità, cioè di una legge immanente, nonché di una finalità ed autodeterminazione (se consapevole o inconsapevole, o con entrambe le accezioni, ora non importa indagare) nella storia e nella vita umana. E di una tale intuizione si possono rintracciare altre chiare indicazioni .non solo nell'opera finora citata, ma anche in altre. Ma è anche innegabile che di quel concetto Gramsci ebbe piú il senso e l'avvertimento che non l'intendimento pieno e spiegato, onde egli della questione della razionalità o immanenza della storia umana e della teleologia, come finalità naturale e interna alle cose e come idea umana operante nella storia, dovette limitarsi a dare solo alcune interessanti indicazioni piú che altro +filologiche, che potevano soltanto preludere ad una necessaria trattazione teoretica, ma non soddisfarla, né ancor meno eluderla. Tuttavia quanto egli riuscí a considerare sull'argomento fu segno per lui di un chiaro e fermo
i M. S., p. 101. Qui G. ricorda i concett[...]

[...]l Vico, « in cui il concetto di Provvidenza è tradotto in termini speculativi, e in cui si dà inizio all'interpretazione idealistica della filosofia vichiana ».
60 1 documenti del convegno
orientamento, e tale orientamento è sempre valido e necessario per la migliore intelligenza e il piú sicuro quanto necessario sviluppo della filosofia della prassi.
Ed ecco ora l'osservazione piú diretta e calzante sul concetto della finalità, lasciataci da Gramsci nei suoi « quaderni », per quanto anch'essa sia rimasta alla fase di una semplice obiezione polemica e di una vaga e generica presa di posizione teoretica. E un'annotazione avente per titolo « La teleologia » 1 e fa parte delle molteplici critiche che Gramsci scrisse contro il Manuale popolare di sociologia marxista di Bukharin. Egli fra l'altro lamentava che tale libro proprio « nella questione della teleologia » apparisse piú vistosamente difettoso, poiché a tale proposito quel saggio popolare presentava « le dottrine filosofiche passate su uno stesso piano di trivialità e banalità, cosí che al lettore pare che tutta la cultura passata sia stata una fantasmagoria di baccanti in delirio... Cosí il Saggio presenta la quistione della teleologia nelle sue manifestazioni piú infantili, mentre dimentica la soluzione data da Kant. Si potrebbe forse dim[...]

[...]io c'è molta teleologia inconscia, che riproduce senza saperlo il punto di vista di Kant: per esempio il capitolo sull'Equilibrio tra la natura e la società» 2. Ed a questo proposito, tanto del vieto finalismo teologico o trascendente ed intrinseco (degenerante spesso ad un livello volgare ed infantile), quanto di una teleologia razionale e scientifica (che ben poteva meritare di essere adoperata anche
M.S., pp. 1645.
2 La critica qui fatta da Gramsci a Bukharin è tanto piú seria e degna di meditazione in quanto egli vi denunziava un metodo riprovevole di esporre le dottrine storiche, poiché, a causa di esso, « un lettore serio, che estenda le sue nozioni e approfondisca i suoi studi, crede di essere stato preso in giro, ed estende il suo sospetto a tutto l'insieme del sistema. È facile parere di aver superato una posizione abbassandola, ma si tratta di una pura illusione verbale. Presentare cosí burlescamente le questioni può avere un significato in Voltaire, ma non è Voltaire chiunque voglia, cioè non è grande artista ». Ma sull'argoment[...]

[...]ionario filosofico (alla voce Fin, cause finale), distinguendo i fini fittizi e innaturali da quelli manifestamente naturali e razionali, per cui iniziò il suo ragionamento con questa ferma battuta: « Il parait qu'il faut être forcené pour nier que les estomacs soient faits pour digérer, les yeux pour voire, les oreilles pour entendre».
Felice Alderisio 61
dalla scienza naturale, e di essere accortamente adottata dalla filosofia della prassi), Gramsci prese posizione a questo punto in una lunga e concettosa nota, valendosi del pensiero di Kant, di Goethe e di Croce. In tale nota Gramsci comincia col citare dalle Xenie del Goethe (nella traduzione del Croce)' l'esortazione satirica contro il finalismo volgare: «Il Teleologo: — II Creatore buono adoriamo del mondo, che, quando — il sughero creò, inventò insieme il tappo » ; poi riporta questa breve ed importante chiosa del Croce stesso: « Contro il finalismo estrinseco, generalmente accolto nel secolo decimottavo, e che il Kant aveva di recente criticato surrogandolo con un piú profondo concetto della finalità »; poi egli si attacca di nuovo al Goethe, scrivendo che questi « altrove e in altra forma » aveva ripetuto « questo s[...]

[...] Kant è il
più eminente dei moderni filosofi, quello le cui dottrine hanno maggiormente influito sulla mia cultura; la distinzione del soggetto dall'oggetto
e il principio scientifico che ogni cosa esiste e si svolge per ragion sua propria ed intrinseca (che il sughero, a dirla proverbialmente, non nasce per servir di turacciolo alle nostre bottiglie) ebb'io comune col Kant, ed io in seguito applicai molto studio alla sua filosofia». Da ultimo Gramsci trae il succo di tali anteriori motivi di pensiero, e conclude la sua interessantissima nota con questa franca dichiarazione di teleologismo storico: « Nella concezione di missione storica {sottint.: del proletariato moderno) non potrebbe scoprirsi una radice teleologica? E infatti in molti casi essa assume un significato equivoco e mistico. Ma in altri casi ha un significato, che, dopo il concetto kantiano della teleologia, può essere sostenuto e giustificato dalla filosofia della prassi ».
Gramsci dunque, con siffatto suo orientamento filosofico piú avanzato
e decisamente fuori del quadro[...]

[...]ro, e conclude la sua interessantissima nota con questa franca dichiarazione di teleologismo storico: « Nella concezione di missione storica {sottint.: del proletariato moderno) non potrebbe scoprirsi una radice teleologica? E infatti in molti casi essa assume un significato equivoco e mistico. Ma in altri casi ha un significato, che, dopo il concetto kantiano della teleologia, può essere sostenuto e giustificato dalla filosofia della prassi ».
Gramsci dunque, con siffatto suo orientamento filosofico piú avanzato
e decisamente fuori del quadro convenuto del materialismo causalistico, cioè meramente naturalistico e meccanico, era rivolto ad una concezione
e spiegazione causalefinalistica della natura ed ancora piú ad un finalismo immanente e volontaristico della prassi storica umana. Ed il suo merito per tale orientamento è stato tanto maggiore in quanto egli non ebbe modo di scoprire, né di poter rendere manifesto alcunché di preciso
e netto in tale senso nella precedente e migliore letteratura del materialismo storico, per quanto si sen[...]

[...]elle categorie fisse », che « i risultati della scienza moderna si devono spiegare razionalmente », che « è necessario pensare; che atomo, molecola, ecc. non possono essere osservati col microscopio, ma solo col pensiero » 2 — rimase per tre decenni :inutilmente affidato al Bernstein e sottratto ad ogni studio; né della tardiva pubblicazione fattane a Mosca nel 1925 una prima volta (e poi, ivi di nuovo, nel 1927 e nel 1935) poté forse giungere a Gramsci qualcosa di piú della semplice notizia bibliografica. Ma egli avrebbe certamente molto gioito nel leggere alcune cose in quei manoscritti di Engels, e molto si sarebbe giovato delle numerose utili indicazioni storiche e riflessioni teoretiche engelsiane sulla dialettica naturale, sulla finalità nella natura, sui rapporti tra la natura e l'uomo, e sui rapporti in genere tra la scienza, la filosofia, la storia naturale e la storia umana. E cosí egli vi avrebbe certamente rilevato, e con pieno assentimento, questo giudizio storico di Engels sulla scienza naturale e sulla filosofia, da questi for[...]

[...] Hegel. E poiché questa inversione del rapporto tra l'ideale e il reale, anche nell'immagine della testa stante all'ingiú, anziché eretta sulle spalle e sulle gambe (con la forza delle quali soltanto é possibile portare il proprio corpo e camminare), riguarda — nel concetto
e nell'immagine — direttamente il rapporto tra il fine e la causa, o il fine e il mezzo (o i mezzi), e può quindi bene sviluppare ed arricchire l'esposizione del pensiero di Gramsci in rapporto al tema propostomi, importa che io esamini anche ciò che egli ha scritto sul detto motivo critico della filosofia d'ella prassi contro la concezione del mondo storico ponente l'uomo « con la testa all'ingiú » . Gramsci dunque, in una lunga riflessione filologica su Marx e Hegel j, comincia con l'avvertire che « nello studio dello hegelismo di Marx » occorre ricordare che questi (il quale ebbe « carattere » — e Gramsci fece pur bene a rilevarlo —« eminentemente praticocritico ») aveva partecipato alla vita universitaria di Berlino pochi anni dopo la morte di Hegel (1831), cioè quando doveva essere ancora vivissimo « il ricordo dell'insegnamento orale di Hegel e delle discussioni appassionate » da esso già suscitate, e soprattutto in riferimento alla storia concreta. E in tali discussioni certamente « la concretezza storica del pensiero di Hegel doveva risultare molto piú evidente » di quanto in avvenire possa essere risultato dallo studio degli « scritti sistematici » del filosofo. Cosicché Gramsci espresse[...]

[...]morte di Hegel (1831), cioè quando doveva essere ancora vivissimo « il ricordo dell'insegnamento orale di Hegel e delle discussioni appassionate » da esso già suscitate, e soprattutto in riferimento alla storia concreta. E in tali discussioni certamente « la concretezza storica del pensiero di Hegel doveva risultare molto piú evidente » di quanto in avvenire possa essere risultato dallo studio degli « scritti sistematici » del filosofo. Cosicché Gramsci espresse l'avviso che « alcune affermazioni » di Marx dovettero essere legate proprio a quella « vivacità conversativa: per es., l'affermazione che Hegel fa camminare gli uomini
1 M. S., pp. 701, in fine al frammento « Marx ed Hegel » .
66 1 documenti del convegno
con la testa in gin » . E qui è importante riferire che lo stesso Gramsci tentò di ricondurre in qualche modo alla fonte hegeliana questa plastica e notissima immagine critica di Marx (e che fu poi anche di Engels), raffigurante un uomo capovolto, che stando con la testa in basso e con le gambe per aria si sforzi tuttavia di camminare (come sanno fare i saltimbanchi), e diretta quindi a riprodurre — con immediato e irresistibile effetto di comicità — la strana posizione che all'uomo sarebbe stata data dalla concezione hegeliana della filosofia della storia e, anzitutto, da quella del diritto e dell'eticità. Difatti Gramsci osservò che l'immagine degli « uomini con [...]

[...]ca di Marx (e che fu poi anche di Engels), raffigurante un uomo capovolto, che stando con la testa in basso e con le gambe per aria si sforzi tuttavia di camminare (come sanno fare i saltimbanchi), e diretta quindi a riprodurre — con immediato e irresistibile effetto di comicità — la strana posizione che all'uomo sarebbe stata data dalla concezione hegeliana della filosofia della storia e, anzitutto, da quella del diritto e dell'eticità. Difatti Gramsci osservò che l'immagine degli « uomini con la testa in giú » dové derivare dallo stesso Hegel, poiché questi se ne era servito « parlando della Rivoluzione francese » , e scrivendo che « in un certo momento della Rivoluzione francese (quando fu organizzata la nuova struttura statale) pareva che il mondo camminasse sulla testa, o qualcosa di simile ». Egli inoltre (affidandosi ancora ad un suo vago ricordo, per l'impossibilità in cui si trovava di riscontrare le fonti) aggiunse anche che il Croce si sarebbe una volta domandato « di dove i1 Marx abbia preso questa immagine » ; ed in conclusione [...]

[...]cordo) »; o che piú veramente gli appariva « scaturita da una conversazione tanto è fresca, spontanea, poco " libresca " » . E in una breve nota a questo punto si legge — a proposito sempre della suddetta immagine — che A. Labriola aveva scritto: «Gli è proprio quel codino di Hegel che disse come quegli uomini (della Convenzione) avessero pei primi, dopo Anassagora, tentato di capovolgere la nozione del mondo, poggiando questo su la ragione» ~.
Gramsci dunque aveva colto nel vero ritenendo che proprio Hegel era stato il primo ad usare l'immagine della « testa » dell'uomo (ossia del suo « pensiero ») come reggente e movente sopra di sé il mondo umano; quindi prima che la stessa immagine venisse poi usata ed abusata nelle conversazioni, discussioni e anche polemiche di scuola, tanto a sostegno dell'idealismo storicopolitico di Hegel, quanto per la critica realistica — anzi la satira — di tale idealismo. Da una tale critica perd
1 A. LABRIOLA, Da un secolo all'altro, ed. Dal Pane, p. 43.
Felice Alderisio 67
quell'immagine veniva rovesciata [...]

[...]ll'ingiú e con le gambe per aria, e che in tale posa s'affaticasse non solo a muovere sé stesso mediante la testa e le mani, ma a reggere e a portare eventualmente anche qualche altro peso. Ed è ovvio che se non si sta sui piedi, e non si hanno buone gambe, non si può portare in giro il proprio corpo, né si può portare alcunché sulle proprie spalle o sulla propria testa. Ma oltre la vaga indagine filologica, indicata
piuttosto che eseguita — da Gramsci, sull'origine dell'immagine degli « uomini con la testa all'ingiù », e oltre la riferita citazione del Labriola (risalente esattamente .a una fonte hegeliana 1), nulla è possibile trovare, nella filologia marxistica, che di quella immagine in essa pur tanto ripetuta nel senso critico datole da Marx e da Engels valga a scoprirne l'origine e la fonte vera, e forse anche a precisarne storicamente l'esatto senso e valore, tanto positivo nell'uso fattone dallo Hegel, quanto negativo nell'uso a controsenso e a distorsione critica, a cui ben presto quell'immagine della testa (resa, da eretta, rovesc[...]

[...]ta al dualismo di esistenza e coscienza, e considera questa come un mero riflesso di quella, e non come il coronamento e l'autoriflessione della stessa realtà o esistenza nel suo sapersi ed attuarsi, ossia la finalità ultima, che è la finalità stessa del reale e ad esso immanente.
Ritengo cosí di aver messo in opportuna luce, e riportato all'attualità della presente considerazione e ricerca filosofica un importante filone di pensiero di Antonio Gramsci, e ripreso insieme una esigenza teoretica interna alla filosofia della prassi ed al suo metodo dialettico nella sua concezione della natura e della storia umana e nella sua azione conseguente, aprendo infine una vasta ed interessante prospettiva di lavoro.
6.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] M. Tronti, Alcune questioni intorno al marxismo di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Mario Tronti

ALCUNE QUESTIONI INTORNO AL MARXISMO DI GRAMSCI

L’interpretazione che Gramsci dà del marxismo in generale è tutta contenuta, credo, in una sola definizione: la filosofia della prassi è filosofia integrale e storicismo assoluto.

L’origine teorica e storica di questa interpretazione dovrebbe farci risalire alla formazione giovanile del pensiero di Gramsci, alle sue prime esperienze di cultura, a quelle prime personali letture, che sempre lasciano un’impronta decisiva nella mente sgombra di un giovane studioso, dovrebbe aprirci le porte ad un più approfondito esame dell’ambiente torinese, cosi ricco in quel periodo di fermenti culturali oltre che sociali, di personalità in formazione o già formate. Tutto questo non rientra nello scopo di questo lavoro. Con la conoscenza attuale degli scritti giovanili non appare possibile una discussione intorno agli influssi culturali che hanno agito sul pensiero del giovane Gramsci; e appare una inutile eserc[...]

[...]nella mente sgombra di un giovane studioso, dovrebbe aprirci le porte ad un più approfondito esame dell’ambiente torinese, cosi ricco in quel periodo di fermenti culturali oltre che sociali, di personalità in formazione o già formate. Tutto questo non rientra nello scopo di questo lavoro. Con la conoscenza attuale degli scritti giovanili non appare possibile una discussione intorno agli influssi culturali che hanno agito sul pensiero del giovane Gramsci; e appare una inutile esercitazione il mettersi a misurare quanto di Sorel e quanto di Bergson, quanto di sindacalismo rivoluzionario e quanto di intuizionismo volontaristico possa ritrovarsi in questi pochi scritti che conosciamo.

Per il problema che trattiamo, tra questi scritti del *17 e del ’18 e la successiva ricerca dei Quaderni, c’è, a parte il diverso livello di cultura, una coerenza logica e una direzione univoca che non si può negare.

Due premesse implicite si intravvedono in questi brevi scritti: in primo luogo la necessità teorica della lotta contro il vecchio positivismo, c[...]

[...]eorico, la rivalutazione deH’elemento soggettivo, anzi creativo, nei confronti della morta oggettività delle condizioni sociali stratificate e inerti; e la rivalutazione del lato attivo all’interno del rapporto storicosociale, e quindi dell’attività sensibile umana come attività pratica che finisce per coinvolgere anche l’oggetto, il reale, il sensibile, secondo l’espressione usata da Marx nella prima delle Tesi su Feuerbach. È il momento in cui Gramsci esclama : « No, le forze meccaniche non prevalgono mai nella storia: sono gli uomini, sono le coscienze, è lo spirito che plasma l’esteriore apparenza, e finisce sempre col trionfare » 1. È avvenuto quindi un processo di « interiorizzamento ». SÌ è trasportato dall’esterno all’interno il fattore della storia. « Alla legge naturale, al fatale andare delle cose degli pseudoscienziati è stata sostituita: la volontà tenace dell’uomo » 2.

1 Rinascita, 1957, n. 4, p. 149.

2 Ivi, p. 158. « Oggi il massimalismo riafferma, contro la previsione oggettiva, il fine volontario dell’azione. Ma costre[...]

[...]iva, il fine volontario dell’azione. Ma costretto nei limiti dell’antitesi astratta

che disgiungeva gli opposti (condizione oggettiva e volontà soggettiva) come se

l’affermazione dell’uno esigesse la negazione dell’altro, seguendo cioè ancora l’abito mentale che Hegel ed Engels avrebbero chiamato metafisico, essi credono che asMario Tronti

307

Non è certo formula episodica come non è facile slogan >la efficace e puntuale espressione gramsciana della « Rivoluzione contro il Capitale ». Quando egli dice : « I bolsceviki rinnegano Carlo Marx », pone un problema fondamentale. Le soluzioni teoriche della II Internazionale avevano prodotto l’opportunismo politico e il tradimento totale, al momento dello scontro decisivo, di fronte alla guerra. La lotta contro quelle soluzioni, la negazione di esse, aveva prodotto il grande fuoco liberatore della Rivoluzione d’ottobre. La scelta era precisa e, forse, anche facile. Comunque era una scelta cosi impegnativa che non poteva restringersi nell’ambito della pratica politica, non poteva rimaner[...]

[...]esso — anche se non concesso — che gli studi più recenti avessero inconfutabilmente dimostrato la materiale inesattezza di tutte le singole affermazioni di Marx, ogni marxista ortodosso serio potrebbe riconoscere incondizionatamente tutti questi nuovi risultati, rigettare tutte le singole tesi di Marx, senza per questo dover rinunciare per un momento alla sua ortodossia marxista » 1.

È il pensiero che, su un piano diverso, esprimeva lo stesso Gramsci: « Se i bolsceviki rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore... Essi vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche » 2.

Abbiamo accennato alla coerenza logica di questi scritti giovanili con il pensiero maturo di Gramsci. Ed in effetti la collocazione storica che egli assegna al pensiero di Marx, l'angolazione ideale da cui egli lo guarda, rimarranno identiche in tutte le note dei Quaderni.

serire l’efficacia storica della volontà debba significare negarla alle condizioni oggettive ». Cfr. Rodolfo Mondolfo, Sulle orme di Marx, nelle note che sono del ’19.

1 Was ist ortodoxer Marxismus?, in Geschichte und Klassenbewusstsein, Berlin, 1923.

2 Rinascita, cit., p. 147.308

I documenti del convegno

« Fino alla filosofia classica tedesca, la filosofia fu concepita come attività ricettiva o al massimo [...]

[...]ca» 3.

Dunque l’idea di un AntiCroce non è un compito occasionale, con
tingente, dettato da particolari sviluppi culturali, nazionali; esso rappresenta il momento mondiale odierno del marxismo, è il compito storico del marxismo della nostra epoca. Se noi consideriamo oggi « in gran parte esaurite le ragioni di quell’AntiCroce » (riassunto della relazione Luporini), dobbiamo concludere che ne risulta « in gran parte » esaurita la problematica gramsciana intorno al marxismo. La « ritraduzione » della

1 M. S., p. 23.

2 M. S.y p, 199.

3 M. S., p. 200.Mario Tronti

509

filosofìa crociana è infatti la conclusione necessaria che si ricava da tutto

10 schema di premesse che sopra abbiamo esposto. Ma questo schema è

11 fulcro intorno a cui ruota tutta l'interpretazione gramsciana del marxismo. Sono d’accordo nel ritenere che Gramsci ha già scritto l’AntiCroce (Togliatti). Ma credo che proprio questo sia il limite del pensiero di Gramsci.

Ma guardiamo le risultanti, negative e positive, che derivano da una simile impostazione. Ammesso che questo compito diventa esclusivo nei confronti di altri, pur importanti, problemi di teoria, occorre vedere fino a che punto ne risulti favorita o inficiata la natura stessa della ricerca teorica. Il pensiero di Marx viene tutto immerso in una particolare atmosfera culturale; e già il problema dell’unità negli « elementi costitutivi dei marxismo » oscilla tra una ricerca filologica e un tentativo di mediazione logica tra concetti per natura diversi, se presi isolatamente (il valore nell’e[...]

[...]stessa della ricerca teorica. Il pensiero di Marx viene tutto immerso in una particolare atmosfera culturale; e già il problema dell’unità negli « elementi costitutivi dei marxismo » oscilla tra una ricerca filologica e un tentativo di mediazione logica tra concetti per natura diversi, se presi isolatamente (il valore nell’economia, la prassi nella filosofia, lo Stato nella politica).

Accanto a Hegel troviamo a un certo punto David Ricardo. E Gramsci si domanda se la scoperta del principio logico formale della legge di tendenza che porta a definire scientificamente i concetti di « homo oeconomicm » e di « mercato determinato » non abbia valore anche gnoseologico, se non implichi appunto una nuova « immanenza », una nuova concezione della « necessità » e della libertà. E afferma : « Questa traduzione mi pare appunto abbia fatto la filosofia della prassi, che ha universalizzato le scoperte di Ricardo estendendole adeguatamente a tutta la storia, quindi ricavandone originalmente una nuova concezione del mondo » \ Che mi pare proprio il cammi[...]

[...]volta distinto, per usare dei termini tradizionali, il pensiero dall’essere, si tende ad assegnare soltanto all’essere unaMario Tronti

311

consistenza oggettiva, mentre il pensiero rimane un puro riflesso, uno specchio della realtà che non è realtà esso stesso. La distinzione ontologica impedisce qui una reale unità logica.

Sono due soluzioni estreme, all’interno del marxismo, che presuppongono una diversa interpretazione del marxismo. Gramsci credo avesse profonda consapevolezza di questo problema; e il tentativo di soluzione che egli abbozza è certamente coerente con l’impostazione del suo pensiero filosofico. Ciò non toglie che egli finisca per cadere nella prima di queste due soluzioni. Può considerarsi questo come la « conseguenza » di un determinato orizzonte teorico in cui egli ha calato il pensiero di Marx? Per rispondere, dobbiamo accostarci di nuovo, per un momento, alla considerazione del pensiero hegeliano. Qui troviamo subito, in campo marxista, un tradizionale filone d’interpretazione.

Lukàcs, in quel saggio del ’1[...]

[...]todo dialettico di Marx come prosecuzione conseguente di ciò cui Hegel aveva aspirato, ma che (Hegel) non aveva concretamente raggiunto... ». C’è qui, in sintesi, la base ultima del pensiero teorico di Lukàcs, che credo rimarrà coerente in tutto il corso della sua opera. Marx è la prosecuzione conseguente di Hegel; il marxismo è la conclusione dello hegelismo, l’inveramento di esso, è il vero hegelismo.

Quasi negli stessi termini si esprimerà Gramsci : « Hegel rappresenta, nella storia del pensiero filosofico, una parte a sé, poiché, nel suo sistema, in un modo o nell’altro, pur nella forma di romanzo filosofico, si riesce a comprendere cos’è la realtà, cioè si ha, in un solo sistema e in un solo filosofo, quella coscienza delle contraddizioni che prima risultava dall’insieme dei sistemi, dall’insieme dei filosofi, in polemica tra loro, in contraddizione tra loro. In un certo senso, pertanto, la filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dell’hegelismo... » \ Qui lo stesso pensiero di Lukàcs è espresso in un linguaggio che tiene [...]

[...]rispetto a Hegel1; in ciò sono stati aiutati da quell’anello intermedio VicoSpaventa(Gioberti). Ecco il difetto dunque di una certa tradizione culturale italiana: essa è troppo poco hegeliana; non è stata capace di tirare le somme da tutto di travaglio della filosofia classica tedesca, non è riuscita a concludere, a completare Hegel; a questa conclusione è arrivato o deve arrivare il marxismo.

Non credo di avere con ciò forzato il pensiero di Gramsci. Gran parte di queste, sono sue esplicite affermazioni. Si tratta di vedere fino a che punto esse siano determinanti per l’indirizzo del suo pensiero; certo è che affermazioni analoghe sono state decisive per l’indirizzo del pensiero marxista in generale.

£ difficile accettare questa che è, del resto, l’interpretazione tradizionale dei rapporti tra Marx e Hegel, per chi, come noi, ha preso coscienza di questi rapporti sulla base di quella giovanile « resa dei conti » che Marx intraprende con la filosofia hegeliana; per chi proprio in questa resa dei conti ha colto per la prima volta « il s[...]

[...] dello stesso metodo speculativo (ad es. la dialettica) \ Perché la dialettica hegeliana è già tutto il metodo speculativo; e proprio questo metodo, in Hegel, giustifica, rende possibile, anzi rende « necessario », il sistema della filosofia speculativa.

Questi concetti ci serviranno in seguito. Affrontiamo invece un problema preciso; uno di quei problemi che sotto una veste apparentemente filologica nascondono un serio contenuto di pensiero. Gramsci dice, per lo più, « filosofia della prassi », quando deve dire marxismo. E credo che siamo d’accordo nel ritenere non casuale la scelta di questa espressione. Certo che oggi chi dice « filosofia della prassi » o non intende precisamente il marxismo, oppure propone una certa interpretazione del marxismo. O è la crociana Filosofia della pratica, oppure quei non meglio precisato « realismo storicocritico » che fa capo a Rodolfo Mondolfo. Ambedue i concetti, credo, di origine gentiliana, del Gentile dei saggi sul marxismo.

Nella letteratura marxista il concetto di praxis assume una strana orig[...]

[...]e attività oggettiva ». Cioè qui tanto poco assistiamo ad una sparizione della materialità o corporeità dell’oggetto che perfino il soggetto tradizionale viene coinvolto in una oggettività, unitaria e distinta nel medesimo tempo.

Ma è problema questo di cosi grande importanza e di cosi profonda difficoltà, da richiedere un ben diverso approfondimento, che non siano queste facili frasi1.

Nell’ambito di questo problema dobbiamo riconoscere a Gramsci un grande merito: quello di aver afferrato un punto fondamentale che non è facile oggi ritrovare nella produzione dei pensatori marxisti : quel concetto di una socialità del sapere, di un carattere storicosociale implicito nella conoscenza umana, che è a sua volta implicito in tutto il pensiero di Marx. « La storia stessa è una parte reale della storia naturale, della umanizzazione della natura. La scienza naturale comprenderà un giorno la scienza dell’uomo, come la scienza dell’uomo comprenderà la scienza naturale: non ci sarà che una scienza... Realtà sociale della natura e scienza naturale[...]

[...]o nella conoscenza umana, che è a sua volta implicito in tutto il pensiero di Marx. « La storia stessa è una parte reale della storia naturale, della umanizzazione della natura. La scienza naturale comprenderà un giorno la scienza dell’uomo, come la scienza dell’uomo comprenderà la scienza naturale: non ci sarà che una scienza... Realtà sociale della natura e scienza naturale umana, o scienza naturale dell’uomo, sono espressioni identiche» 2.

Gramsci parte dal presupposto che gli uomini prendono coscienza dei conflitti oggettivi sul terreno delle ideologie; e assegna a questa affermazione un valore gnoseologico, prima ancora che psicologico e mo
1 Per l’approfondimento di questo e di altri problemi, c’è da vedere ora l’Introduzione di Lucio COLLETTI alla traduzione italiana dei Quaderni filosofici di Lenin.

2 Marx, Manoscritti del ’44, in: Opere filosofiche giovanili, Roma, 1950,

p. 266.Mario Tronti

315

rale1. Se questo vale per ogni conoscenza consapevole, occorre elaborare un nuovo concetto di « monismo » che significhi « [...]

[...]ifichi « identità dei contrari nell’atto storico concreto, cioè attività umana (storiaspirito) in concreto, connessa indissolubilmente ad una certa materia organizzata (storicizzata), alla natura trasformata dall uomo » 2. E l’uomo diventa cosi « un blocco storico di elementi puramente'individuali e soggettivi e di elementi di massa e oggettivi o materiali coi quali l’individuo è in rapporto attivo » 3. Di qui tutta la fecondità di quel concetto gramsciano di « blocco storico », inteso come un’unità organica in cui « le forze materiali sono il contenuto e le ideologie la forma », cosicché le forze materiali non sono concepibili senza le ideologie, cosi come le ideologie non sono concepibili senza le forze materiali4.

Socialità del sapere dunque, nel pensiero di Gramsci; con un limite che dobbiamo rilevare. Il sapere per eccellenza è ancora la « filosofia ». Permane un distaccato sospetto nei confronti della « scienza ». Conclusione : Gramsci arriva, seguendo l’indicazione di Croce, alla identificazione di filosofia e storia, mentre dovrebbe arrivare, seguendo l’indicazione di Marx, alla identificazione di scienza e storia.

Per vedere la ragione e le conseguenze di questa impostazione dobbiamo riprendere il discorso sulla « filosofia della prassi ».

Il Mondolfo, tra il 1909 e il 1912, pubblicava i suoi saggi su questi argomenti. « La coscienza e la volontà — egli dice — appaiono un momento essenziale della storia, in quanto condizionano l’azione e, pertanto, lo stesso processo storico. Il materialismo metafisico non può dunq[...]

[...]processo storico. Il materialismo metafisico non può dunque racchiudere nei suoi quadri il realismo storico e il principio della lotta di classe, ma ne risulta superato: un’altra concezione filosofica si rende necessaria. E certamente la concezione filosofica più consentanea appare quella dell’idealismo volontaristico. Non per nulla Marx ed Engels movevano dal volontarismo feuerbachiano e dalla filosofia della prassi » 5.

Occorre vedere se in Gramsci non sia passata almeno una parte di questa concezione6.

1 M. Sp. 39.

2 M. S., p. 44.

3 M. S., p. 35.

4 M. S., p. 49.

5 Rodolfo Mondolfo, op. cit., II ed., p. 24.

6 « La coincidenza (con Gramsci) in questo caso consiste appunto in un eie316

I documenti del convegno

Molto note sono le formulazioni gramsciane riguardo al problema di un oggettività materiale, intorno alla « cosi detta realtà del mondo esterno ». Quasi ogni volta che usa il termine « materialismo », sente il bisogno di metterci dietro l’aggettivo « metafisico ». Accetta cosi la definizione tutta idealistica della metafisica, assegnata ad ogni presunta realtà che vada al di là della realtà della coscieìiza. In quell’espressione molto comune di « materialismo storico », egli dice che occorre posare « l’accento sul secondo termine 66 storico ” e non sul primo di origine metafisica » \ « 64Oggettivo” significa proprio e solo questo: [...]

[...] tende a sfumare in una intersoggettività, coesa appunto internamente dall’elemento della praxis sociale: e la prassi tende a diventare la realtà primaria, assolvendo a quella funzione a cui assolve l’elemento della sensazione neirempiriocriticismo di Mach e Avenarius.

Ebbene questa imprecisione nella problematica schiettamente materialistica del marxismo, dobbiamo vederla come una diretta conseguenza della sopravvalutazione che nell’opera di Gramsci troviamo dell’origine

mento fondamentale: l’affermazione della filosofia della prassi, di cui, da oltre quarantanni fa, ho sostenuto la necessità per il socialismo... » : R. MONDOLFO, Intorno a Gramsci e alla filosofia della prassi, in Critica sociale, 1955, nn. 678.

1 M. S., p. 159.

2 Ai. S., p. 54.

3 Ai. S., p. 142.

4 Ai. S., p. 143.

5 M: S.t p. 92.Mario Tronti

317

idealistica, immanentistica, storicistica del pensiero di Marx. Conseguenza inevitabile se non si è passati attraverso quella distruttiva critica marxiana al procedimento mistificato della dialettica hegeliana, e quindi al metodo del pensiero hegeliano che fa tutt’uno per Marx con il sistema definitivo della filosofia hegeliana; se non si è analizzata e smontata dall’interno l’unica metafisica che Marx tem[...]

[...] critica marxiana al procedimento mistificato della dialettica hegeliana, e quindi al metodo del pensiero hegeliano che fa tutt’uno per Marx con il sistema definitivo della filosofia hegeliana; se non si è analizzata e smontata dall’interno l’unica metafisica che Marx temeva, e che era la metafisica dell’idealismo, culminata, coronata e conclusa nel pensiero di Hegel.

Grossi equivoci possono sorgere intorno a questo aspetto della problematica gramsciana. Prendiamo la teoria delle sovrastrutture. « Il materialismo sporico... — dice Gramsci — nella teoria delle superstrutture pone in linguaggio realistico e storicistico ciò che la filosofia tradizionale esprimeva in forma speculativa » 1; « la concezione 66 soggettivistica ”... può trovare il suo inveramento e la sua interpretazione storicistica solo nella concezione delle superstrutture » 2. Che mi pare si possa capire in questo modo : per salvare la concezione soggettivistica occorre darle un’interpretazione storicistica; e questa si ha con la teoria delle sovrastrutture. In questo senso Videa hegeliana diventa l'ideologia; cioè l’idea hegeliana cambia di posto, viene trasferi[...]

[...]; o meglio viene risolta sia nelle strutture sia nelle sovrastrutture, in quanto entrambe si presentano come parvenze di un concreto divenire storico. Dunque Videa, nella sua natura, nella struttura del suo movimento, rimane identica: è l’idea hegeliana, che, solamente, viene storicizzata. Il marxismo risulta cosi come la interpretazione storicistica della concezione soggettivistica; come lo storicizzarsi dell’idealismo.

Non possiamo dire che Gramsci arrivi a questa conclusione esplicita. C’è in lui la consapevolezza di altri problemi, c’è in lui una ben determinata gerarchia di problemi, in cui il primo posto spetta sempre al concreto, al particolare, allo « storicamente determinato », che giustamente gli impedisce di giungere ad una simile conclusione. C’è in lui soprattutto una giusta soluzione al problema del rapporto di « teoria e pratica ».

« Se il problema di identificare teoria e pratica si pone, si pone in

1 M. S., p. 139.

2 M. S., p. 141,318

I documenti del convegno

questo senso : di costruire su una determinata [...]

[...]à come scienza attiva., e l’azione si presenta già come azione scientifica. La teoria si presenta come una teoria pratica perché la pratica viene scoperta come una pratica teorica. Ma questo non vuol dire che ci sia una identità immediata di scienzaazione, di teoriapratica. Permangono le due fasi, nella prima delle quali la pratica viene vista in funzione teorica, mentre nella seconda la teoria viene usata in funzione pratica. Ecco perché — dice Gramsci in una nota che credo ci interessi da vicino — « Ecco perché il problema dell’identità di teoria e pratica si pone specialmente in certi momenti storici cosi detti di transizione, cioè di più rapido movimento trasformativo, quando realmente le forze pratiche scatenate domandano di essere giustificate per essere più efficienti ed espansive, o si moltiplicano i programmi teorici che domandano anehessi di essere giustificati realisticamente in quanto dimostrano di essere assimilabili dai movimenti pratici che solo cosi diventano più pratici e più reali » 3.

È nota la battaglia che Gramsci con[...]

[...]omenti storici cosi detti di transizione, cioè di più rapido movimento trasformativo, quando realmente le forze pratiche scatenate domandano di essere giustificate per essere più efficienti ed espansive, o si moltiplicano i programmi teorici che domandano anehessi di essere giustificati realisticamente in quanto dimostrano di essere assimilabili dai movimenti pratici che solo cosi diventano più pratici e più reali » 3.

È nota la battaglia che Gramsci conduce per rivendicare al marxismo roriginalità, l’autonomia, l'autosufficienza di cuna vera e propria Weltund

1 M. Sp. 38.

2 M. S., p. 76.

3 M. S., p. 39.Mario Tronti

319

Lebenschauung, di una concezione generale del mondo e della vita. «La filosofia della prassi — egli dice — è nata sotto forma di aforismi e di criteri pratici per un puro caso, perché il suo fondatore ha dedicato le sue forze intellettuali ad altri problemi, specialmente economici... » \ Una trattazione sistematica della filosofia della prassi « deve trattare tutta la parte generale filosofica, deve svolger[...]

[...]sofia, una concezione del mondo, di cui è un frammento subordinato » 3. La stessa dialettica, cioè il metodo, può essere esattamente concepito, solo se la filosofia della prassi è concepita come una filosofia integrale e originale che supera idealismo e materialismo tradizionali, esprimendo questo superamento proprio attraverso la nuova dialettica 4.

Vuol dire questo che dobbiamo accingerci ad una esposizione sistematica del marxismo? No: per Gramsci questo è possibile soltanto quando una determinata dottrina ha raggiunto la fase « classica » del suo sviluppo. Fino ad allora ogni tentativo di « manualizzarla » deve necessariamente fallire e la sua sistemazione logica risulta apparente e illusoria. Fino ad allora non è possibile una esposizione formalmente dogmatica, stilisticamente posata, scientificamente serena 5. Ecco il motivo profondo che riesce a spiegarci la « forma » specifica che assume la ricerca gramsciana. Egli concepisce il marxismo come una teoria che è « ancora allo stadio della discussione, della polemica, dell’elaborarazi[...]

[...]ile soltanto quando una determinata dottrina ha raggiunto la fase « classica » del suo sviluppo. Fino ad allora ogni tentativo di « manualizzarla » deve necessariamente fallire e la sua sistemazione logica risulta apparente e illusoria. Fino ad allora non è possibile una esposizione formalmente dogmatica, stilisticamente posata, scientificamente serena 5. Ecco il motivo profondo che riesce a spiegarci la « forma » specifica che assume la ricerca gramsciana. Egli concepisce il marxismo come una teoria che è « ancora allo stadio della discussione, della polemica, dell’elaborarazione » 6 : ecco perché egli non si accinge a sistemare, a manualizzare questa teoria, ma si accinge soltanto a discutere, a polemizzare e quindi ad elaborare. Il marxismo può diventare una concezione generale del mondo, ma non lo è ancora diventata; può produrre una cultura di massa che abbia quei noti caratteri, ma non l’ha ancora prodotta; può rivendi
1 M. 5., p. 125. Il corsivo è mio.

2 M. S., p. 128.

3 M. S., p. 125.

4 M. S., p. 132.

s M. Sp. 131.

6 [...]

[...]o.

2 M. S., p. 128.

3 M. S., p. 125.

4 M. S., p. 132.

s M. Sp. 131.

6 M. S., p. 131.320

I documenti del convegno

care una direzione egemonica nell’ambito dell’alta cultura, ma non l’ha ancora conquistata.

Il pensiero marxista ha amaramente pagato, con l’atrofia di tutto il suo sviluppo teorico, la cattiva idea di fare del marxismo stesso la nuova Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. Dobbiamo riconoscere a Gramsci il grande merito di avere negato, in concreto, questa concezione. E per cogliere i risultati più fecondi che scaturiscono dalia ricerca gramsciana, dobbiamo, su questo punto, andare oltre il pensiero di Gramsci. Occorre sostenere oggi che non esiste una « dottrina » marxista. Occorre provare che lo spirito di sistema è per principio estraneo al pensiero di Marx; che non « per puro caso il marxismo è nato sotto forma di aforismo e di criteri pratici », ma per una intrinseca, immanente, logica necessità, intimamente legata alla sua interna natura; che una considerazione sistematica della dottrina non può che produrre un sistema dottrinario di formule fisse e di proporzioni definitive.

Per Gramsci ogni filosofia è una concezione del mondo, che si pone come critica e superamento della religione, che [...]

[...] una « dottrina » marxista. Occorre provare che lo spirito di sistema è per principio estraneo al pensiero di Marx; che non « per puro caso il marxismo è nato sotto forma di aforismo e di criteri pratici », ma per una intrinseca, immanente, logica necessità, intimamente legata alla sua interna natura; che una considerazione sistematica della dottrina non può che produrre un sistema dottrinario di formule fisse e di proporzioni definitive.

Per Gramsci ogni filosofia è una concezione del mondo, che si pone come critica e superamento della religione, che è a sua volta una concezione del mondo diventata norma di vita, entrata cioè nel senso comune, accettata come fede. La filosofia dunque coincide con il « buon senso » che si contrappone al « senso comune ». E la filosofia della prassi è allora la assoluta sistemazione storicistica del buon senso, che in quanto tale si emancipa dal senso comune di tutte le filosofie passate, e si pone quindi nei loro confronti come nuova filosofia che tende a identificarsi con la storia, che si identifica a s[...]

[...]ca del buon senso, che in quanto tale si emancipa dal senso comune di tutte le filosofie passate, e si pone quindi nei loro confronti come nuova filosofia che tende a identificarsi con la storia, che si identifica a sua volta con la politica. Una filosofia integrale della storia, intesa come politica, che possa porsi finalmente come il « buon senso » della storia: ecco, in fondo, lo storicismo assoluto.

Ed ecco anche il limite del pensiero di Gramsci, di cui abbiamo visto sopra le origini speculative. Per noi il buon senso della filosofia di una data epoca, non è il senso comune di quest’epoca, stravolto e mistificato. Occorre riscoprire la verità di quest’ultimo, anche attraverso l’espressione, storicamente determinata, che esso assume. Se la filosofia coincide con il buon senso, dobbiamo diffidare della filosofia. Se con la scienza riusciamo ad esprimere il senso comune delle cose, è sufficiente confidare nella scienza.

Certo che noi dobbiamo rivendicare la novità, l’originalità, l’autonomia del marxismo. Ma la novità del marxismo ne[...]

[...]vo » procedimento, cioè il concreto metodo storico, economico, politico, giuridico della formazione economicosociale capitalistica, della società borghese moderna.

Queste sono soltanto alcune delle questioni che mi sembrava importante di trattare, e che occorreva trattare, mi rendo conto, con ben più serio approfondimento. Comunque è bene presentare tutte le considerazioni qui fatte, come un’interpretazione tendenziosa del pensiero teorico di Gramsci. Un’interpretazione che non vuole essere un’esercitazione accademica sul corpo morto di una dottrina già consegnata al mondo chiuso dei « classici » ; che vuole tenere presente il momento attuale del dibattito teorico, intorno al marxismo, la sua problematica odierna, le sue odierne esigenze di sviluppo; che tende, di proposito, a sottolineare nell’opera di Gramsci alcuni aspetti tipici di tutto il marxismo contemporaneo che occorre correggere, se si vuole imprimere un più rapido sviluppo a tutta la ricerca teorica.



da Enrica Lauzi, Studi gramsciani in KBD-Periodici: Calendario del Popolo 1969 - numero 302 - dicembre

Brano: Studi gramsciani
di Enrica Lauzi
Gli atti del Convegno internazionale di studi gramsciani, tenutosi a Cagliari dal 23 al 27 aprile del. 1967 in occasione del trentesimo anniversario della morte di Gramsci, e che sono stati ora raccolti nel volume Gramsci e la cultura contemporanea, (Roma, Editori Riuniti Istituto Gramsci 1969, pagg. 558, L. 3.800), rappresentano un utile tentativo di dare un quadro della persona e dell'opera di Gramsci non più limitato alla sola cultura italiana contemporanea ma esteso a quella internazionale; inoltre cercano di impostare i nuovi problemi derivanti dalla messa a fuoco di alcuni temi rimasti tutt'ora poco conosciuti, e che quindi richiedono un ulteriore approfondimento e sviluppo.
Questo Convegno rappresenta senz'altro un salto qualitativo nell'impostazione degli studi su Gramsci, soprattutto se paragonato al I Convegno del 1958 che, limitandosi ad una analisi all'interno di un contesto storico culturale quasi esclusivamente nazionale, cadde in un limite di provincialismo assai simile a quello di cui era stato accusato Gramsci quando si iniziò il processo di approfondimento critico della sua opera.
C'è, comunque, un punto di partenza comune, unitario, che fa da solido fondamento ai due momenti di ricerca e col quale ogni studio serio su Gramsci deve fare i conti, cioè la fondamentale relazione tenuta da Palmiro Togliatti al Convegno del 1958: « Il leninismo nel pensiero e nell'azione di Antonio Gramsci ».
Togliatti, partendo dalla ricostruzio ne delle fonti leniniane che maggior peso avevano avuto nella formazione del pensiero di Gramsci e analizzandole alla luce dei concetti di « rivoluzione », « partito », e « funzione degli intellettuali » dimostrò come l'apparizione e lo sviluppo del leninismo sulla scena mondiale costituì il fattore decisivo di tutta l'evoluzione di Gramsci come pensatore e come uomo politico di azione. Secondo Togliatti è soprattutto nella politica che bisogna ricercare l'unità della vita e dell'opera di Gramsci, il suo punto di partenza e il suo punto di arrivo. E' quindi in una concezione del mondo non idealista e astratta, ma marxista, che si verifica nella pratica e da cui la pratica è costantemente illuminata che è da ricer
carsi il filo conduttore unitario dell'opera di Gramsci, cosa che per altro Gramsci stesso aveva indicato — come ha messo in luce il Garin nella sua relazione del 1958 —, in alcune sue note metodologiche del 1933, quando aveva trattato il problema dello studio di « una concezione del mondo che dal suo fondatore non è mai stata esposta sistematicamente (e la cui coerenza essenziale è da ricercarsi non in un singolo scritto, o serie di scritti, ma nell'intero sviluppo del lavoro intellettuale vario, in cui gli elementi della concezione sono impliciti) ».
La relazione presentata al Convegno di Cagliari dal Garin (« Politica e cultura in Gramsci (il problema degli intellettuali[...]

[...]odologiche del 1933, quando aveva trattato il problema dello studio di « una concezione del mondo che dal suo fondatore non è mai stata esposta sistematicamente (e la cui coerenza essenziale è da ricercarsi non in un singolo scritto, o serie di scritti, ma nell'intero sviluppo del lavoro intellettuale vario, in cui gli elementi della concezione sono impliciti) ».
La relazione presentata al Convegno di Cagliari dal Garin (« Politica e cultura in Gramsci (il problema degli intellettuali) »), tendo ben presenti i temi centrali indicati da Togliatti sviluppa e approfondisce principalmente tre questioni: il problema della storicizzazione del pensiero di Gramsci nel contesto sia italiano che internazionale; lo storicismo; e le condizioni per cui lo storicismo di Gramsci si pone ancor oggi come vivo ed operante. La relazione del Garin, insieme a quella del Bobbio (« Gramsci e la concezione della società civile ») è la più ricca di problemi e implicazioni e offre vivaci spunti per nuove discussioni e ricerche.
L'analisi del Bobbio verte principalmente sui concetti di struttura e di sovrastruttura e quindi dei rapporti tra essi intercorrenti, della relazione tra società civile e Stato. Ma il pericolo insito nell'analisi del Bobbio, secondo il quale Gramsci privilegerebbe la sovrastruttura rispetto alla struttura e che porta a vedere in Gramsci il punto di inversione e di rottura rispetto al marxismo, piuttosto che di continuità creativa, è messo in luce e criticato da un intervento del francese Texier sulla relazione del Bobbio. Non si può, infatti, porre l'originalità filosofica di Gramsci nella rottura e nell'abbandono di quelle che sono le tesi fondamentali del materialismo storico, ma piuttosto nello sviluppo creativo dello stesso e in particolare nello sviluppo della teoria delle sovrastrutture, senza che ciò comporti nessuna rinuncia alla fondamentale priorità della struttura.
Texier, il cui disaccordo col Bobbio è totale, sia dal punto di vista filosofico che filologico, gli rimprovera di non esser partito nella sua analisi del
2486
la società civile dal concetto di « blocco storico » che è il solo che permette di cogliere l'unità della struttura con la sovrastruttura.[...]

[...]e nello sviluppo della teoria delle sovrastrutture, senza che ciò comporti nessuna rinuncia alla fondamentale priorità della struttura.
Texier, il cui disaccordo col Bobbio è totale, sia dal punto di vista filosofico che filologico, gli rimprovera di non esser partito nella sua analisi del
2486
la società civile dal concetto di « blocco storico » che è il solo che permette di cogliere l'unità della struttura con la sovrastruttura. Infatti per Gramsci il blocco storico è formato dalle strutture e dalle sovrastrutture, cioè dall'insieme dei rapporti sociali di produzione che riflette un insieme discorde e contraddittorio di sovrastrutture. Il blocco storico è insieme il fatto sociale, politico, culturale e ideologico: non è solo un insieme di classi sociali ma di forze politiche.
Ponendosi anche come esigenza fondamentale quella dell'analisi dei rapporti tra i diversi livelli all'interno delle sovrastrutture, tra la forza e il consenso, tra l'egemonia e la dittatura, tra la società civile e lo Stato, acquista immediato rilievo il concetto [...]

[...]rio di sovrastrutture. Il blocco storico è insieme il fatto sociale, politico, culturale e ideologico: non è solo un insieme di classi sociali ma di forze politiche.
Ponendosi anche come esigenza fondamentale quella dell'analisi dei rapporti tra i diversi livelli all'interno delle sovrastrutture, tra la forza e il consenso, tra l'egemonia e la dittatura, tra la società civile e lo Stato, acquista immediato rilievo il concetto di egemonia che in Gramsci si pone in un rapporto di piena eguaglianza con ,quello di direzione, impedendo così ogni semplificazione ed impoverimento della stessa nozione della ditta
tura del proletariato. '
Tutta l'analisi di Gramsci sul rapporto tra le classi subalterne e quelle dominanti, la funzione assunta dal momento delle idee nel costruire un blocco storico, il fatto che la costruzione di una nuova concezione del mondo è momento essenziale dell'ascesa di una classe da subalterna a dirigente, e poi ad egemone, tutto ciò dà largo spazio all'iniziativa politica e il partito politico rivoluzionario diventa decisivo nella determinazione dei processi storici.
Inoltre non potendosi assolutamente staccare lo studio su Gramsci dall'analisi dei rapporti col leninismo e dalla sua storicizzazione, oltre che dal suo inquadrame[...]

[...]le dominanti, la funzione assunta dal momento delle idee nel costruire un blocco storico, il fatto che la costruzione di una nuova concezione del mondo è momento essenziale dell'ascesa di una classe da subalterna a dirigente, e poi ad egemone, tutto ciò dà largo spazio all'iniziativa politica e il partito politico rivoluzionario diventa decisivo nella determinazione dei processi storici.
Inoltre non potendosi assolutamente staccare lo studio su Gramsci dall'analisi dei rapporti col leninismo e dalla sua storicizzazione, oltre che dal suo inquadramento nella situazione politica dell'epoca, diventa particolarmente importante porre Gramsci in una giusta collocazione nella storia del socialismo e del movimento operaio internazionale. E' questo quello che cerca di fare Ernesto Ragionieri nella sua relazione che ha come argomento « Gramsci e il dibattito teorico nel movimento operaio 'internazionale ». Due fattori principalmente caratterizzano il discorso di Ragionieri, uno positivo, e cioé il non staccare in Gramsci, strada peraltro che era stata già indicata da Togliatti, l'uomo politico dal filosofo, il pensiero dall'azione; l'altro negativo, e cioè l'estrema ambiguità del discorso politico dell'autore.
Per dare una giusta balutazione delle altre relazioni tenutesi nel Convegno, e che sono tutte di grande interesse, e che toccano i temi più svariati quali « Educazione e scuola in Gramsci » di Lamberto Borghi, « Gramsci e i problemi della letteratura italiana » di Natalino Sapegno, la questione meridionale, i problemi della storia italiana, la cultura sarda, non bisogna dimenticare che, se in una personalità
così ricca e aperta come quella di Gramsci, non è difficile ritrovare delle riflessioni su quasi ogni argomento, è tuttavia chiaro che tali riflessioni non possono essere staccate dai loro contesti e non possono essere considerate come contributi organici in campi specifici di ricerca. Le osservazioni sui problemi di critica letteraria, di este tica, di pedagogia, rilevanti se connesse alla discussione politica sulla situazione storica dell'epoca, diventano estremamente vulnerabili, perdendo qualsiasi incisività, qualora vengano presentate come indagini autonome, e isolate da una concezione del mondo estremamente ricca e coerente.
E[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] E. Garin, Antonio Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: Eugenio Garin
ANTONIO GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA
(Appunti)
1. Premesse metodologiche e questioni formali. Unità e frammentarietà: unità come coerenza.
Chi voglia affrontare, sotto un qualunque punto di vista, l'opera di Gramsci e il suo significato, non potrà non proporsi, preliminarmente, una serie di questioni la cui risoluzione in un senso piuttosto che in un altro peserà poi sulla valutazione e sull'interpretazione delle pagine gramsciane. Il carattere « frammentario» dei Quaderni, il valore delle Lettere, il loro rapporto con la produzione « giornalistica » precedente, il loro stesso « linguaggio » : ecco tutta una serie di problemi che chiedono una soluzione precisa. Quando il Croce nel '48 rifiutò la discussione del volume forse piú organico di Gramsci, addusse come motivo primario che si trattava di appunti, di osservazioni, di dubbi nati da letture occasionali, « di pensieri abbozzati o tentati, di interrogazioni a se stesso, di congetture e sospetti spesso infondati », comunque privi di «quel pensiero sintetico che scevera, fonde, integra in un tutto ». V'era, naturalmente, anche un altro motivo di quel rifiuto — e il Croce stesso, del resto, lo dichiarò — e cioè proprio la « filosofia della prassi » a cui il Croce ridava il « nome vulgato » di « materialismo storico », con ciò negando ogni originalità alla elaborazione di Gramsci 1. Ma [...]

[...]i o tentati, di interrogazioni a se stesso, di congetture e sospetti spesso infondati », comunque privi di «quel pensiero sintetico che scevera, fonde, integra in un tutto ». V'era, naturalmente, anche un altro motivo di quel rifiuto — e il Croce stesso, del resto, lo dichiarò — e cioè proprio la « filosofia della prassi » a cui il Croce ridava il « nome vulgato » di « materialismo storico », con ciò negando ogni originalità alla elaborazione di Gramsci 1. Ma è certo che anche quella prima e fondamentale « ragione » crociana non può non
1 Quaderni della Critica, 10, 1948, pp. 789.
4 1 documenti del convegno
essere discussa; tanto piú che, innegabilmente, se da un lato ci troviamo innanzi a frammenti, dall'altro non abbiamo che Lettere, e, prima ancora, solo articoli di giornale e scritture occasionali su cui sembra pesare perfino la condanna dell'autore 1. Per non dire della questione del « linguaggio », che Gramsci affrontò di proposito, e con tanto acume da sottolineare l'importanza che, almeno come tentativi, avevano a parer suo anche [...]

[...] anche quella prima e fondamentale « ragione » crociana non può non
1 Quaderni della Critica, 10, 1948, pp. 789.
4 1 documenti del convegno
essere discussa; tanto piú che, innegabilmente, se da un lato ci troviamo innanzi a frammenti, dall'altro non abbiamo che Lettere, e, prima ancora, solo articoli di giornale e scritture occasionali su cui sembra pesare perfino la condanna dell'autore 1. Per non dire della questione del « linguaggio », che Gramsci affrontò di proposito, e con tanto acume da sottolineare l'importanza che, almeno come tentativi, avevano a parer suo anche ricerche come quelle del Vailati. Ora, è giusto estendere la ragione contingente di ovvi travestimenti di nomi propri a tutta la terminologia filosofica gramsciana? e, quindi, a tutta una impostazione dottrinale?
A dir vero Gramsci stesso sembrò proporsi il problema, non solo quando ritornò su alcuni testi dei suoi Quaderni rielaborandoli, ma in alcune note metodologiche del 1933. Stese, è vero, per chi intendesse studiare Marx, esse tuttavia non riescono a nascondere un chiaro accento autobiografico. E, comunque, nella loro precisazione e validità debbono pur essere tenute presenti da chiunque affronti lo studio dei volumi gramsciani.
Non a caso Gramsci si proponeva proprio il problema di chi voglia ricostruire la genesi e la struttura di una « concezione del mondo», che l'autore non abbia mai « esposto sistematicamente », e quindi non sia rintracciabile « in ogni singolo scritto o serie di scritti, ma nell'intiero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli elementi della concezione sono impliciti » . In un lavoro del genere « occorre... preliminarmente un lavoro filologico minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito pre[...]

[...] scritto o serie di scritti, ma nell'intiero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli elementi della concezione sono impliciti » . In un lavoro del genere « occorre... preliminarmente un lavoro filologico minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso ». (Lo studioso non dovrebbe mai dimenticare lo sdegno morale con cui Gramsci colpisce l'abitudine di « sollecitare i testi ».)
Questa analisi preliminare tende a « identificare gli elementi divenuti stabili e "permanenti ",... assunti [cioè) come pensiero proprio », distinguendoli dal materiale servito di stimolo, e fissando per dati interni — « dall'intrinseco » — i periodi e gli « scarti ». « È osservazione comune di ogni studioso — prosegue — come esperienza personale, che ogni nuova teoria studiata con " eroico furore" (cioè quando non si studia per mera curiosità esteriore ma per un profondo interesse) per
1
LC., p. 137.
Eugenio Garin 5
un certo tempo, speci[...]

[...]ni indagine del genere; se si terranno presenti le non dimenticabili osservazioni sugli effetti dell'isolamento nel carcere, come determinanti di un lavorio esasperato intorno a un tema 2, — l'indagine si orienterà subito, attraverso l'analisi dei testi, verso la « ricerca del leitmotiv, del ritmo del pensiero in isviluppo... piú importante delle singole affermazioni casuali e degli aforismi staccati ».
Ora ciò che colpisce subito nei testi del Gramsci è proprio la costanza. evidente di temi. Quest'opera cosí « frammentaria » nella forma espressiva. (articoli, lettere, appunti) è in realtà singolarmente « unitaria », non solo nell'ispirazione e nell'impegno, ma nella costanza delle precise « do
1 M. S., pp. 767.
2 P., p. 130; L. C., p. 39.
6 1 documenti del convegno
mande » e nel progressivo approfondimento delle risposte. Nei Quaderni ritornano con insistenza gli stessi « appunti », o appunti analoghi; e l'eco se ne ritrova nelle lettere; e non è difficile rintracciarne motivi già negli articoli. D'altra parte, ire un certo senso, il «[...]

[...] 130; L. C., p. 39.
6 1 documenti del convegno
mande » e nel progressivo approfondimento delle risposte. Nei Quaderni ritornano con insistenza gli stessi « appunti », o appunti analoghi; e l'eco se ne ritrova nelle lettere; e non è difficile rintracciarne motivi già negli articoli. D'altra parte, ire un certo senso, il « frammento » corrisponde non di rado come modo espressivo esatto a quella puntualizzazione delle « piccole cose » opposta dal Gramsci alla considerazione « oleografica » della storia per momenti « culminanti » epici o eroici: « Nella realtà, da dovunque si cominci a operare, le difficoltà appaiono subito gravi perché non si era mai pensato concretamente a esse; e siccome occorre sempre cominciare da piccole cose (per lo piú le grandi cose sono un insieme di piccole cose) la " piccola cosa " viene a sdegno; è meglio continuare a sognare e rimandare l'azione al momento della " grande cosa " »'. La polemica contro la genialità in name del « metodo delle esperienze piú minuziose » 2 trova del resto un riscontro importante anche[...]

[...]i, delle note', della polemica contro il « sistema » 4 in name dell'aderenza alla concreta realtà storica: « si crede volgarmente che scienza voglia assolutamente dire " sistema " e perciò si costruiscono sistemi purchessia, che del sistema non hanno la coerenza intima e necessaria ma solo la meccanica esteriorità » 5. In realtà unità e sistematicità consistono « nell'intima coerenza e feconda comprensività di ogni soluzione particolare » 6.
2. Gramsci e Croce.
L'elaborazione continua a cui Gramsci sottopone concetti e metodi si precisa dunque lungo linee di sviluppo ben definite. Se in un articolo dell'Avanti! del 21 agosto 1916 troviamo l'uso aperto — sul terreno della critica teatrale — delle « categorie » crociane (e un tendenziale
1 P., p. 7
2 L. C., p. 41.
3 M. S., pp. 1712.
4 M. S., pp. 17980.
5 M. S., p. 131.
s M. S., p. 180.
7 L. V., p. 247.
Eugenio Garin 7
orientamente crociano degli anni di preparazione riconoscerà egli stesso piú tardi, esplicitamente 1), assistiamo poi a un progressivo costante lavoro di determinazione della portata « speculativa » del « revisionis[...]

[...]se della sua debolezza per fargli fare « cerimonie » che gli « ripugnavano », nel « delirio » parlò per un'intera notte « dell'immortalità dell'anima in un senso realistico e storicistico, cioè come... sopravvivenza delle nostre azioni utili e necessarie e come un .incorporarsi di esse nel mondo di fuori »
Il serrato dialogo con Croce (e con tutto il mondo intellettuale italiano legato alla influenza crociana) percorre cosí l'attività culturale gramsciana, e ne caratterizza bene l'inserzione nella vita nazionale. In Croce Gramsci vede, non solo il grande intellettuale di tipo erasmiano, ma anche l'espressione piú avanzata della cultura italiana contemporanea, quella che ha più presa e maggior efficacia « conformatrice » . Il fatto che Gramsci combatta su quella linea, e a volte si ha l'impressione di una sua volontà di opporsi a Croce punto per punto, giudizio contro giudizio, in tutta la valutazione della storia italiana, in una correzione costante delle posizioni discusse, per uno spostamento sistematico del punto di vista; il fatto che tale impostazione sembri spesso lasciare in ombra, magari fino all'ingiustizia, altri temi ed aspetti pur validi di posizioni culturali diverse: tutto questo indica in realtà, non un limite, ma l'attualità di una discussione, la sua storicità concreta, una analisi che, appunto perché non « specul[...]

[...]interesse sia la ricerca della verità e il progresso della scienza, si dimostra .piú " avanzato " chi si pone dal punto di vista che l'avversario può esprimere un'esigenza che deve essere incorporata, sia pure come un momento subordinato, nella propria costruzione. Comprendere e valutare realisticamente la posizione e le ragioni dell'avversario... significa... porsi da un punto di vista " critico ", l'unico fecondo nella ricerca scientifica » 1. Gramsci, in proposito, ha insistito con pari energia sulla necessità di non diminuire mai l'avversario se non si vuol vincerlo « in sogno » 2, e sulla fecondità di una discussione « reale », cioè condotta sul piano di un dibattito attuale.
Se « dobbiamo essere piú aderenti al presente... avendo coscienza del passato e del suo continuarsi (e rivivere) » 3 ; se condizione per « l'attività attuale di creazione di una nuova storia » è « lo studio concreto della storia passata »; se si sarà tanto più forti « quanto piú elevato sarà il livello culturale e sviluppato lo spirito critico », se « condanna in [...]

[...] 1, quelle che hanno presa, che pesano nella vita di un paese (« una teoria è appunto " rivoluzionaria " nella misura in cui è elemento di separazione e distinzione consapevole in due campi » 2; « si può dire che una gran parte dell'opera filosofica di B. Croce rappresenta f ill tentativo di riassorbire la filosofia della prassi e incorporarla come ancella alla cultura tradizionale»). È sotto questo profilo che va inteso, non solo il rapporto di Gramsci con Croce, ma tutto il modo della discussione gramsciana, e il suo inserimento nella vita culturale del paese. « Come uomo di pensiero fu dei nostri » — scriveva Croce nel '47 3 — « di quelli che nei primi decenni del secolo in Italia attesero a formarsi una mente filosofica e storica adeguate ai problemi del presente... E rivedo qui i frutti di quegli anni: il rinnovato concetto della filosofia nella sua tradizione speculativa e dialettica, non già positivistica e classificatoria, l'ampia visione della storia, l'unione dell'erudizione col filosofare, il senso vivissimo della poesia e dell'arte nel loro carattere originale ». Croce avrebbe potu[...]

[...]va e dialettica, non già positivistica e classificatoria, l'ampia visione della storia, l'unione dell'erudizione col filosofare, il senso vivissimo della poesia e dell'arte nel loro carattere originale ». Croce avrebbe potuto continuare, toccando del punto fondamentale di contatto: una cultura sdegnosa di « anime belle » e di « mani pure », ma militante, politicamente combattente, e poco importa, qui, se in campi opposti.
I1 « crocianesimo » di Gramsci — a parte una prima simpatia iniziale — consiste nell'avere « combattuto » sistematicamente Croce, considerandolo la voce piú importante (e piú « pericolosa ») della vita italiana (il sostenitore, diceva Gobetti, di un « conservatorismo illuminato e trepido, onesto, moderatamente liberale, capace di salvare le forme e la pace »). In tal senso soltanto, Gramsci è costantemente « condizionato » da Croce — e dalla situazione determinatasi intorno a Croce — pro e contro. E questo significa unicamente che la forma della discussione, proprio per essere non velleitaria, ma calata nella realtà nazionale, si definisce in certi termini storici. Machiavelli di contro a Guicciardini; De Sanctis, Spaventa, Labriola, invece di Cattaneo, e cosí via. Ed era davvero piú importante mostrare le possibilità e fecondità di De Sanctis oltre, o su un piano diverso da quello
Mach., p. 39.
2 M.S., p. 157.
3 Quaderni della Critica, 8, p. 86.
I documenti del convegno
d[...]

[...]lla Critica, 8, p. 86.
I documenti del convegno
degli « avversari » che si rifacevano a De Sanctis. Per una loro intima forza, e per l'opera della cultura piú « avanzata», erano quelli i temi operanti; 11 bisognava dar battaglia, non spostar l'attenzione altrove, su linee magari importanti, ma non altrettanto « attuali » (quanto piú « astratto » e « dottrinario » l'amore di Salvemini e Gobetti per la « concretezza » di Cattaneo!). Valgono per Gramsci le parole che Gramsci scriveva su Machiavelli: « il Machiavelli non è un mero scienziato; egli è un uomo di parte, ... un politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze... » 1. E come Croce, costantemente, aveva legato la sua visione storica della vita culturale italiana a unimpegno eticopolitico, cosí, di contro, Gramsci, da un lato tende a svelare i limiti — e la validità — di una tradizione culturale italiana (di quella tradizione culturale italiana), ma dall'altro indica accanto ad essa i fremiti e le possibilità di un'altra cultura: giacobina, popolarenazionale, non aulica, non distaccata. E la distanza CroceGramsci, pur in tanta vicinanza, non si misura forse mai cosí bene come quando si rifletta sull'osservazione gramsciana 2 a proposito delle due grandi opere storiche crociane, la Storia d'Italia e la Storia d'Europa: in entrambe lo storico presuppone il momento della latta, « del ferro e del fuoco », del rinnovamento, della
rivoluzione » ; studia il momento dell'equilibrio, della riunificazione (Gramsci, è noto, ammette la possibilità di una storia eticopolitica come storia del momento « egemonico », ma per domandarsi subito se quella di Croce sia veramente storia eticopolitica, o non, piuttosto, solo « speculativa » 3).
Impegnarsi puntualmente sul suo medesimo terreno a discutere quella che era la piú chiara e diffusa posizione culturale, esaminando in ogni sfumatura la visione storica che essa offriva della vita italiana, significava veramente combattere per l'affermazione di un'altra posizione, non astrattamente e in modo velleitario, ma operando sul piano culturale e sul terreno politic[...]

[...]sizione, non astrattamente e in modo velleitario, ma operando sul piano culturale e sul terreno politico nel loro indissolubile nesso. « Se scrivere storia significa fare storia del presente, è grande libro di storia quello che nel presente aiuta le forze in sviluppo a divenire piú consapevoli di se
1 Mach., p. 39.
2 M. S., p. 192.
3 L. C., pp. 1867.
Eugenio Garin 11
stesse e quindi piú concretamente attive e fattive » Nella suggestiva tesi gramsciana si coglie tutta la vicinanza e la lontananza da Croce: si coglie ormai consapevolmente dichiarato il senso di quello che gli accadde di scrivere nel '19, a proposito dei rivoluzionari russi: hanno rotto col passato, ma hanno continuato il passato; hanno spezzato una tradizione, ma hanno sviluppato e arricchito una tradizione » 2. Quello che con efficacia fu detto di Gobetti con un'espressione gobettiana, può dirsi, con piú forza, di Gramsci: « ha letto il Marx di Lenin, non il Marx di Croce: cioè non lo ha messo in soffitta ». Ma converrà dire di piú: Gramsci non ha messo Marx né in soffitta né sugli altari: lo ha « tradotto » nel « linguaggio » italiano attuale — si ricordino le sue considerazioni sulla « traduzione » della Rivoluzione francese 3 — ossia ha alimentato i problemi del presente con la riflessione del passato, e la storia del passato ha illuminato e vivificato con le richieste del presente.
3. La storia della « tradizione culturale » italiana.
È cosí possibile ripercorrere con Gramsci tutta la storia della cultura italiana, in una prospettiva originale, saldata al presente, ossia legata a discussioni vitali, e a reali richieste. Ed è una storia in cui si possono cogliere puntualmente visioni e costruzioni di singolare fecondità, anche se talora non scevre di insufficienze e limiti interpretativi, in cui si fanno sentire le conseguenze, non solo della situazione tragica in cui Gramsci lavorava, ma anche delle impostazioni da cui partiva e con cui si trovava a combattere. Cosí è in tanti aspetti tutta desanctisiana la condanna « moralistica » di buona parte dell'età umanisticorinascimentale (di un De Sanctis che si va a volte a incontrare stranamente con Walser o Toffanin); ed è di origine desanctisiana il rapporto MachiavelliGuicciardini. Ma è gramsciana, non solo la maniera di parre il problema dell'ambiguità, ossia della pluralità di temi del Rinascimento, ma, soprattutto, la robusta interpretazione di Machiavelli, e
R., p. 63.
2 0.N., p. 7.
3 M. S., pp. 199200.
12 I documenti del convegno
il nesso MachiavelliSavonarola, e, in Machiavelli, il rapporto PrincipeDiscorsi, e tutta la polemica con Croce e con le varie visioni della posizione di Machiavelli. Qui Gramsci ha certo risentito — oltre De Sanctis e Croce — della lettura del libro di Russo; ma ha anche proposto una serie di temi, fondamentali certo per intendere la sua concezione del Moderno Principe, ma non dimenticabili per chiunque intenda ripensare seriamente il significato di Machiavelli e del Rinascimento. Per questo la discussione dell'opera gramsciana andrà condotta su questo argomento col massimo rigore, tanto piú che è molto importante mettere a fuoco, proprio nella valutazione dell'età del Rinascimento e della Riforma, la presentazione del distacco della cultura —e degli « intellettuali » — dalla realtà nazionale, dal popolo, e la prospettiva delle loro vicende e della loro funzione oltre i confini italiani. Ove finalmente la storia della cultura italiana si definisce e prende corpo nell'indagine circa la formazione e le vicende, gli interessi e l'opera precisa, di gruppi definiti di uomini (gl'« intellettuali ») che tendono a costit[...]

[...]la prospettiva delle loro vicende e della loro funzione oltre i confini italiani. Ove finalmente la storia della cultura italiana si definisce e prende corpo nell'indagine circa la formazione e le vicende, gli interessi e l'opera precisa, di gruppi definiti di uomini (gl'« intellettuali ») che tendono a costituirsi con fisionomia e aspirazioni determinate (storia di cose e individui concreti al posto di nozioni vaghe e nebulose).
D'altronde, se Gramsci risente di tutto un clima culturale nella valutazione dei secoli XVII e XVIiIiI, e nella limitata attenzione rivolta, per esempio, all'opera degli scienziati, di nuovo l'analisi dei suoi giudizi dovrà farsi molto attenta per quel che riguarda 1'800. Dalle considerazioni su Manzoni (Manzoni di fronte a Tolstoi nel rapporto col popolo) e su Gioberti, al peso attribuito a De Sanctis e alla sua opera, è tutta una serie di nette prese di posizione su argomenti centrali della cultura italiana. Finché ritroviamo il punto nodale costituito da Hegel in Italia, ossia delle posizioni di Spaventa e Labri[...]

[...] per quel che riguarda 1'800. Dalle considerazioni su Manzoni (Manzoni di fronte a Tolstoi nel rapporto col popolo) e su Gioberti, al peso attribuito a De Sanctis e alla sua opera, è tutta una serie di nette prese di posizione su argomenti centrali della cultura italiana. Finché ritroviamo il punto nodale costituito da Hegel in Italia, ossia delle posizioni di Spaventa e Labriola, di Croce e Gentile.
E proprio qui si colloca l'originalità della gramsciana filosofia della prassi, col suo giudizio rapido, ma chiaro e indicativo, sul valore di Labriola: («,i1 Labriola, affermando che la filosofia della prassi è indipendente da ogni altra corrente filosofica, è autosufficiente, è il solo che abbia cercato di costruire scientificamente la filosofia della prassi » 1), e la sua polemica condotta su due fronti: da un lato contro la « rinascita » idealistica, e dall'altro contro il positivismo del primo Novecento. E
1 M. S., p. 79.
Eugenio Garin 13
se contro quest'ultimo, contro il suo modo di fraintendere Marx e contro tutti gli atteggiamenti di[...]

[...], è autosufficiente, è il solo che abbia cercato di costruire scientificamente la filosofia della prassi » 1), e la sua polemica condotta su due fronti: da un lato contro la « rinascita » idealistica, e dall'altro contro il positivismo del primo Novecento. E
1 M. S., p. 79.
Eugenio Garin 13
se contro quest'ultimo, contro il suo modo di fraintendere Marx e contro tutti gli atteggiamenti di deteriore « economismo » e « meccanicismo fatalista », Gramsci si vale spesso delle armi dei neohegeliani, contro il loro « revisionismo » e le loro nostalgie teologiche e speculative (« Lo storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologicospeculativa » 1) riprende le armi di Hegel (di un Hegel non « teologo » o non solo « teologo » — « la filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo ») e di Marx, e in questo senso elabora il suo umanismo integrale (« il comunismo è umanismo integrale: studia, nella storia, tanto le forze economiche che le forze spirituali ecc. » 2), il suo integrale storicismo r(« la storia riguard[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Caracciolo, A proposito di Gramsci, la Russia e il movimento bolscevico in Studi gramsciani

Brano: Alberto Caracciolo
A PROPOSITO DI GRAMSCI,
LA RUSSIA, E IL MOVIMENTO BOLSCEVICO
1. Uno studio della posizione e del pensiero di Gramsci in rapporto alla Rivoluzione russa, al partito bolscevico, all'Internazionale comunista, ci fa pensare a quello, piú volte intrapreso ed oggi rinnovato da valenti studiosi, sulle relazioni tra giacobinismo italiano e Francia repubblicana. Anche qui, mutati tanti altri elementi, si tratta infatti di individuare quanto vi sia nel pensiero e nel movimento politico di autoctono, antecedente all'importazione di idee da un grande paese rivoluzionario, e quanto vi sia di acquisito ex post. Nel nostro caso naturalmente ben diversa è la forza dell'elemento originario italiano, per la personalità di Gr[...]

[...]vato da valenti studiosi, sulle relazioni tra giacobinismo italiano e Francia repubblicana. Anche qui, mutati tanti altri elementi, si tratta infatti di individuare quanto vi sia nel pensiero e nel movimento politico di autoctono, antecedente all'importazione di idee da un grande paese rivoluzionario, e quanto vi sia di acquisito ex post. Nel nostro caso naturalmente ben diversa è la forza dell'elemento originario italiano, per la personalità di Gramsci e per la maturità stessa del movimento socialista: ma l'ordine di problemi appare non privo di analogie.
La ricerca che ci interessa è complicata dal significato vivamente « attuale » di ogni suo risultato. Di fronte alla facilità con la quale Gramsci dopo la Liberazione è diventato oggetto di commemorazione « ufficiale », di oleografia, di forzato inserimento in schemi politicodottrinari in atto, o per converso è stato preso a campione di tutti i « ritorni alle origini », una valutazione storica piú consapevole abbisogna di cautele, riflessioni, apporti critici molteplici. Non avendo dietro di noi un lavoro abbastanza completo, ci limiteremo dunque ad esporre nella presente comunicazione alcune avvertenze metodologiche o tecniche, e a suggerire una prima posizione di problemi, rimandando ad altra occasione un'analisi piú diffusa. E limite[...]

[...]astanza completo, ci limiteremo dunque ad esporre nella presente comunicazione alcune avvertenze metodologiche o tecniche, e a suggerire una prima posizione di problemi, rimandando ad altra occasione un'analisi piú diffusa. E limiteremo il discorso strettamente agli anni della rivoluzione e della direzione leniniana in Russia.
96 1 documenti del convegno
2. La ricerca è resa difficile anzitutto da alcune circostanze che valgono per ogni studio gramsciano, ma che pensiamo doveroso segnalare nuovamente in questa sede. In primo luogo sta quella di possedere ancora una edizione assai parziale degli scritti anteriori al carcere. Gli scritti del 191718, ripubblicati su Rinascita quest'anno, lasciano ancora desiderare altri articoli dello stesso periodo che solo adesso, a dodici anni dalla Liberazione, sono in corso di ristampa. Quelli dell'Ordine Nuovo, benché raccolti in volume, contengono omissioni che ognuno di noi ha potuto rilevare. Un vuoto completo vi è poi per la parte che inizia col 1921, benché naturalmente sia sempre possibile supplir[...]

[...]dalla Liberazione, sono in corso di ristampa. Quelli dell'Ordine Nuovo, benché raccolti in volume, contengono omissioni che ognuno di noi ha potuto rilevare. Un vuoto completo vi è poi per la parte che inizia col 1921, benché naturalmente sia sempre possibile supplirvi con una minuta ricerca sui giornali del tempo. Tutte deficienze, queste, che ci inducono ad unirci alla diffusa richiesta di una edizione completa e criticamente valida dell'opera gramsciana, e a sollecitare anzi la facoltà ai singoli studiosi di accedere alla consultazione dei « quaderni » manoscritti che l'Istituto Gramsci ha in consegna e che devono considerarsi patrimonio di nessun altro che dell'intera cultura moderna italiana.
A parte questo discorso di carattere redazionale, nell'esaminare le condizioni di una ricerca come la nostra dobbiamo menzionare alcune difficoltà di ordine piú generale per gli studi gramsciani. Accade qui in fondo la stessa cosa che per tutti i personaggi molto vicini a noi, personaggi che conservino una specie di « paternità spirituale » su movimenti politici in atto. Esiste cioè un giudizio ufficiale che circola, che diventa senso comune, e che rischia di indurre lo studioso non pienamente smaliziato a partire, piuttosto che dai testi originali, già subito dalla « interpretazione autentica » che ne dànno i contemporanei. Nel nostro caso specifico questo senso comune fa pensare a prima vista a un Gramsci semplicemente «leninista », che riporta in termini italiani l'esperienza d[...]

[...]olto vicini a noi, personaggi che conservino una specie di « paternità spirituale » su movimenti politici in atto. Esiste cioè un giudizio ufficiale che circola, che diventa senso comune, e che rischia di indurre lo studioso non pienamente smaliziato a partire, piuttosto che dai testi originali, già subito dalla « interpretazione autentica » che ne dànno i contemporanei. Nel nostro caso specifico questo senso comune fa pensare a prima vista a un Gramsci semplicemente «leninista », che riporta in termini italiani l'esperienza dei bolscevichi. Molte questioni vengono perciò ridotte a una differenza di linguaggio, quando invece significano differenze reali. Molti svolgimenti del pensiero gramsciano attraverso il tempo vengono trascurati, dandosi l'immagine di un unico personaggio che è sempre se stesso 0 almeno che, superate le giovanili incertezze, è subito padrone di un monolitico corpo di concezioni. Sono un po' questi gli errori in cui sembra essere caduta la oleografia gramsciana di questi tempi, e in cui incorre in piú punti lo stesso libro recente di Ottino, per tanti versi peraltro notevole e spregiudicato. È insomma una situazione nella quale occorre molta vigilanza critica per non cadere in un appiattimento dei
Alberto Caracciolo 97
problemi, specie a proposito di questioni delicate come quella dei rapporti Gramscileninismo, Gramsciesperienza russa.
Ancora come avvertenza per la ricerca, occorre aver presente che malgrado la ferrea disciplina d'azione invocata dal Comintern, malgrado la stretta dipendenza da un'unica centrale mondiale, il movimento comunista alle sue origini si presentava ben altrimenti articolato da quello di oggi, che pur si è tentati di prendere come punto di riferimento. V.s trovavano posto gruppi, frazioni, personalità assai autonome, e si aveva di conseguenza — almeno finché visse Lenin — un dibattito di idee estremamente vario ed aperto. Anche nella sua volontaria e affermata disciplina, Gramsci [...]

[...]ern, malgrado la stretta dipendenza da un'unica centrale mondiale, il movimento comunista alle sue origini si presentava ben altrimenti articolato da quello di oggi, che pur si è tentati di prendere come punto di riferimento. V.s trovavano posto gruppi, frazioni, personalità assai autonome, e si aveva di conseguenza — almeno finché visse Lenin — un dibattito di idee estremamente vario ed aperto. Anche nella sua volontaria e affermata disciplina, Gramsci con gli altri comunisti italiani portò cosí un contributo originale, derivato da situazioni ed esperienze diversissime da quella russa. Lo portò anzi in forme molto aperte, ciò che consente allo studioso di avere davanti agli occhi per quel periodo una documentazione abbastanza ricca sulle posizioni sostenute da singoli settori e personalità del comunismo mondiale, senza ricorrere alle complicate «letture fra le righe » che si rendono necessarie per cogliere le divergenze nei successivi periodi del Comintern o del Cominform. Basti pensare alle grandi discussioni del 19211923 fra i vari gruppi[...]

[...]iere le divergenze nei successivi periodi del Comintern o del Cominform. Basti pensare alle grandi discussioni del 19211923 fra i vari gruppi italiani (ordinovisti, bordighiani, socialisti di Serrati) e la centrale esecutiva, per le quali disponiamo ancora di vasto materiale.
Non mancano naturalmente serie lacune nelle fonti. Riguardo al problema dei rapporti con la Russia sovietica, alle lacune dovute al carattere semiclandestino dell'opera di Gramsci e alle distruzioni fasciste, se ne aggiungono altre. Vi è intanto una povertà di documentazione da parte di testimoni oculari. I protagonisti della Internazionale comunista, che potevano recare importanti testimonianze da vari angoli visuali, sono in gran parte scomparsi, o nelle rare pubblicazioni memorialistiche hanno mostrato di restare strettamente legati, nella protesta o nella disciplina, agli strascichi attuali di antiche polemiche. Questo non ci fa disperare, perché è nel mestiere dello storico muoversi fra testimonianze nelle quali la verità è offuscata da mille circostanze soggettiv[...]

[...]congresso internazionale di scienze storiche dei 1955, per quanto riguarda gli archivi diplomatici. Lo scorso anno sembrò che si andasse verso la riapertura in Russia di tutti gli archivi. Di fatto però non si vede niente di nuovo, o si osservano utilizzazioni di documenti cosí evidentemente lacunose che inducono a chiedersi se non valga meglio il silenzio 1. Certo è che molto ameremmo sapere, attraverso fonti russe, del periodo di permanenza di Gramsci nell'Unione sovietica, dei suoi studi, delle sue conoscenze malgrado la scarsa simpatia che ha circondato fin qui in URSS la storia della Internazionale e la figura stessa di Gramsci. È da augurarsi che una piú distesa temperie politica e autonomia scientifica possa migliorare in avvenire la disponibilità di questo genere di fonti.
3. Chi rilegga gli scritti di Gramsci fra il '17 e il '19 sulla Rivoluzione russa è colpito non solo dal consenso entusiastico, ma anche dall'idealizzazione, dalla trasposizione in una propria diversa inquadratura politica del grande rivolgimento in atto. Sono gli anni dell'entusiasmo essenzialmente libertario per questo nuovo edificio che sarà « una organizzazione della libertà di tutti e per tutti, che non avrà nessun carattere stabile e definito, ma sarà una ricerca continua di forme nuove, di rapporti nuovi, che sempre si adeguino ai bisogni degli uomini e dei gruppi, perché tutte le iniziative siano rispettate purché utili, [...]

[...] di forme nuove, di rapporti nuovi, che sempre si adeguino ai bisogni degli uomini e dei gruppi, perché tutte le iniziative siano rispettate purché utili, tutte le libertà siano tutelate purché non di privilegio » 2.
Qualche cosa di questa volontà di interpretare la esperienza russa in un modo piú prossimo alla propria esperienza nazionale che allo svolgimento obiettivo dei fatti, seguita anche nel periodo di maggiore responsabilità politica di Gramsci. Non vi è in questo né una incapacità di osservazione né in alcun modo una mistificazione. Vi è piuttosto, da un lato il risultato di quel lungo isòlamento dei socialisti italiani dalla vicenda russa, che Gramsci stesso aveva deplorato 3, e dall'altro
1 Un tipico esempio di ciò abbiamo già rilevato in un articolo su Passato e presente, n. 1, p. 41.
2 Articolo « L'organizzazione economica ed il socialismo », Il Grido del popolo, 9 febbraio 1918, non firmato.
3 Oltre i passi già ripubblicati nel volume L'Ordine nuovo, e che riguardano il 19191920 (vedi specialmente p. 406 e p. 414), si ritrova questo concetto nella Relazione al Comitato centrale del 3 luglio 1925: « Le esperienze dell'I. C., cioè
Alberto Caracciolo 99
— a noi sembra — la tensione di una mente che vorrebbe piegare a sé le realtà piú[...]

[...]25: « Le esperienze dell'I. C., cioè
Alberto Caracciolo 99
— a noi sembra — la tensione di una mente che vorrebbe piegare a sé le realtà piú distanti e ricondurle tutte intere alla misura della propria passione.
Un importante esempio di questo modo di vedere si trova nella questione del rapporto tra Soviet russi e Consigli di fabbrica italiani. E si può cominciare da qualche rilievo sulla precisione stessa dei dati d'informazione adoperati da Gramsci nel suo tentativo di istituire un parallelismo fra le due esperienze. Prendiamo il caso dell'apporto fisico di operai alla direzione delle fabbriche in Russia, nel 1921. Pur avvertendo i pericoli di burocratizzazione che si stanno manifestando in quel periodo 1, Gramsci manifesta fiducia nelle capacità di autogoverno operaio in Russia, e la conferma con cifre ottimistiche sulla presenza di operai alla direzione industriale: « In regime comunista... l'industria sarà amministrata dagli operai stessi... In Russia le competenze industriali sono uscite dai Consigli di fabbrica, non dalla burocrazia sindacale: in Russia il 60 % [corsivo nostro} delle officine sono dirette oggi da operai che si sono formati nei Consigli di fabbrica, vivendo la vita rude del lavoro industriale » 2. Ora, non sappiamo da. quali fonti Gramsci traesse queste cifre, ma è da osservare che[...]

[...]tiche sulla presenza di operai alla direzione industriale: « In regime comunista... l'industria sarà amministrata dagli operai stessi... In Russia le competenze industriali sono uscite dai Consigli di fabbrica, non dalla burocrazia sindacale: in Russia il 60 % [corsivo nostro} delle officine sono dirette oggi da operai che si sono formati nei Consigli di fabbrica, vivendo la vita rude del lavoro industriale » 2. Ora, non sappiamo da. quali fonti Gramsci traesse queste cifre, ma è da osservare che proprio in quel torno di tempo un'inchiesta ufficiale aveva rilevato, come riporta il Dobb, che nelle aziende censite l'apporto operaio non avrebbe invece superato il 36 %, di fronte a una maggioranza di eximpiegati, exproprietari, exdirettori, ecc.3. Le stesse preoccupazioni su sviluppi burocratici in nuce, benché presenti, passavano dunque per Gramsci in secondo piano di fronte alla enorme importanza globale dell'esperienza sovietica.
Quando si parla della gestione e dell'iniziativa operaia, si entra del resto in uno dei punti di piú netta differenza fra la concezione ordinovista e gramsciana e quella sovietica. Quando è stata osservata, tale differenza
non solo del partito russo ma anche degli altri partiti fratelli, non giunsero fino a noi e non furono assimilate dalla massa del partito altro che saltuariamente ed episodicamente. In realtà il nostro partito si trovò ad essere staccato dal complesso internazionale», ecc.
1 Vedi soprattutto le preoccupazioni per « nuove forme di sindacalismo » e « nuove situazioni burocratiche che in tre anni sono venute costituendosi », nell'art. « Sindacati e consigli », L'Ordine Nuovo, 5 marzo 1921, non firmato.
2 Articolo « Il partito co[...]

[...]atuazione o all'influenza di teorie sindacaliste e volontaristiche non marxiste. Altri potrà esaminare se non vi sia invece qui precisamente una sensibilità verso la piú genuina concezione marxiana dello Stato comunista come Stato dei produttori, come palestra di autogoverno, come luogo che rivaluta e torna a far emergere progressivamente dalla società politica la società civile. Si tratta comunque di una inclinazione inconfondibile del pensiero gramsciano, che lo distingue dal pensiero di Lenin e che a sua volta distingue il movimento dell'« Ordine Nuovo » — tutto generato dal basso, articolato, autogovernato — dal movimento dei Soviet russi tendente alla centralizzazione.
Non si può confondere il ruolo dei Soviet nella rivoluzione e dopo, col ruolo dei Consigli di fabbrica torinesi. Innanzitutto i Soviet, come organi di potere, erano diversi dai veri e propri Consigli di azienda che in Russia (seppure con compiti modesti, per la povertà dell'iniziativa proletaria in molti luoghi e anche per l'accentramento in atto, fin dalla primavera 191[...]

[...]i potere, erano diversi dai veri e propri Consigli di azienda che in Russia (seppure con compiti modesti, per la povertà dell'iniziativa proletaria in molti luoghi e anche per l'accentramento in atto, fin dalla primavera 1918, nella direzione economica dello Stato) erano stati creati. E cosí non si può parlare in Russia di gestione operaia nel senso proprio di questa parola, neppure dopo il « decreto sul controllo » del 14 novem bre 1917, benché Gramsci scriva piú volte che « l'esistenza del Consiglio dà agli operai la diretta responsabilità della produzione », e che « nell'organizzazione per fabbrica si incarna dunque la dittatura proletaria » 1_ Il paragone gramsciano cosí consueto, fra i Soviet ed i Consigli torinesi, imperniati appunto sull'idea del « controllo operaio », della autonomia dei produttori, di un potere statale nascente dalla fabbrica, appare pertanto arbitrario nei fatti. Esso vale piuttosto, agli occhi di una nostra critica, come indicazione di una tendenza di cui Gramsci riconosce in Russia alcuni elementi, e che si sforza di immaginare vittoriosa e di portare nel proprio paese fino alle estreme conseguenze. Per questo, laddove egli piú liberamente prefigura il significato di un movimento consiliare che giunga al potere dello Stato, abbiamo davanti agli occhi un quadro già molto diverso da ciò che era in atto in Russia. Attraverso l'esperienza e la propaganda, egli dice, le istituzioni consiliari « si svilup
1 « Sindacati e consigli », dell'ottobre 1919, giá ripubblicato nel volume L'Ordine Nuovo, pp. 3839.
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parono, si incorporarono n[...]

[...]39.
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parono, si incorporarono nuove e piú importanti funzioni amministrative, e finalmente, diventati organi costituzionali dello Stato proletario, realizzarono l'autonomia sovrana del lavoro nella produzione », ecc.', e quindi la Rivoluzione russa confermerebbe che « la costruzione dei Soviet politici comunisti non può che succedere storicamente a una fioritura e a una prima sistemazione dei Consigli di fabbrica » 2. Per Gramsci il Consiglio di fabbrica è autentico ed essenziale organo di potere, e questo non viene delegato al partito politico, né tanto meno al suo apparato, che è puro strumento. « La soluzione effettiva — scrive Gramsci nella primavera del 1920 — può essere attuata solo dalla massa stessa e solo attraverso i Consigli di fabbrica. La massa non si lascerà piú lusingare dalle promesse mirabolanti dei capi sindacalisti quando si abituerà, nella pratica dei Consigli, a pensare che non esistono diversi metodi nella lotta di classe„ ma uno solo: il metodo che la massa stessa è capace di attuare, con suoi uomini di fiducia, revocabili ad ogni istante; quando si convincerà che i tecnici dell'organizzazione, appunto perché tecnici, perché specialisti, non possono essere revocabili e sostituibili, ma se non possono ess[...]

[...]lla massa stessa, del Consiglio e del sistema dei Consigli, responsabile dinanzi alla massa, costituito di delegati che, se appartengono al Partito socialista oltre che alle organizzazioni sindacali, sono controllati anche dal partito, che segue una disciplina stabilita dai congressi ai quali ha partecipato l'avanguardia rivoluzionaria di tutta. la nazione » 3.
4. Da questo nodo di problemi emergono altri due aspetti caratteristici del pensiero gramsciano. L'uno, sul quale non possiamo qui soffermarci, riguarda la funzione del partito operaio rispetto alla classe, fun
1 «Per l'Internazionale comunista », del 26 luglio 1919, 0. N., pp. 1920.
2 « Lo strumento di lavoro», del 14 feb. 1920, 0. N., p. 79.
3 « L'unità proletaria », del 28 feb. 1920, 0. N., pp. 1001.
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zione chte indubbiamente, come è già stato rilevato 1, è assunta da Gramsci sí come avanguardia, ma in un senso assai piú educativostimolatore che non direttivorappresentativo. L'altro riguarda la concezione di egemonia e di consenso nella rivoluzione. Il potere diffuso dei Soviet, dalla fabbrica alla regione e al centro, è quello che per Gramsci garantisce che vi sia pienezza di egemonia proletaria, e organica partecipazione alla direzione statale. Attraverso il controllo esercitato dai Consigli, « la classe operaia, essendosi conquistata la fiducia e il consenso delle grandi masse popolari, costruisce i1 suo Stato » 2. Il momento dell'egemonia, del consenso è essenziale alla rivoluzione.
Ora per Gramsci l'esempio russo soddisfa compiutamente a questa esigenza. Perché « in Russia tende a realizzarsi cosí il governo col consenso dei governati, con l'autodecisione di fatto dei governati, perché non vincoli di sudditanza legano i cittadini ai poteri, ma si avvera una compartecipazione dei governati ai poteri. I poteri esplicano una immensa opera educatrice, lavorano a rendere colti i cittadini, lavorano alla realizzazione di quella Repubblica di saggi e di corresponsabili che è il fine necessario della rivoluzione socialista... » 3.
Emerge l'idea di una egemonia che deve essere in atto già prim[...]

[...]missione rivoluzionaria che l'istituzione deve assolvere » 4. Mentre è vivissima la polemica contro ogni possibilità di giacobinismo dei bolscevichi, per la quale un pugno dii uomini si sostituirebbe alla « libera voce della coscienza universale », e verrebbe instaurata una illimitata dittatura.
1 Vedi tra gli altri gli scritti pubblicati nello scorso anno da R. Guiducci, G. Scalia, M. Spinella. Deformate dalla volontà di ricondurre il pensiero gramsciano alla prassi attuale, invece, le conclusioni che trae F. Ferri su Rinascita, settembre 1957.
2 « Controllo operaio», L'Ordine Nuovo, 10 feb. 1921.
3 « Per conoscere la rivoluzione russa », Il Grido del popolo, 22 giugno 1918, non firmato.
4 « La conquista dello Stato », L'Ordine Nuovo, 12 luglio 1919, O. N., p. 18.
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Tutto il pensiero gramsciano era teso, come si può vedere anche nelle analisi sulla situazione italiana, verso questa concezione dell'egemania e del consenso diffuso come necessità anteriori alla rivoluzione. Per questo egli, vedendo la Rivoluzione russa di lontano, non poteva immaginarla che come un blocco di consapevolezza e di egemonia bene acquisita. Egli riteneva che tanto il proletariato industriale quanto quello agricolo fossero preparati, anche culturalmente, alla direzione della nuova società 1. Insisteva sul « carattere essenzialmente democratica dell'azione bolscevica, rivolta a dare capacità e coscienza po[...]

[...]poi, avevano a proposito della immaturità della classe operaia, della ristrettezza del ceto politico dirigente, e della pericolante egemonia sui contadini, respingeva ogni possibilità di soluzione che significasse in qualche modo paternalismo o repressione in luogo di allargamento del consenso.
Non possiamo qui altro che proporre sommariamente questo argomento di grande rilievo teorico. E vero comunque che nelle speranze e nei giudizi del primo Gramsci è viva l'idea dell'egemonia come condizione per il potere. Essa è abbastanza vicina a quella di Lenin, ma non ha nulla a che fare con la prassi staliniana di una attribuzione al gruppo dirigente di partito, per un periodo di tempo indefinito, dei poteri essenziali della società e dello Stato. E sarà poi da vedere se ed in quale misura, dopo la sua andata in Russia nel 192223, Gramsci non sarà indotto a temperare il suo ragionamento, almeno per quanto riguarda l'esperienza sovietica. Un articolo del 1926, se scritto dalla sua penna, farebbe pensare ad una accettazione dell'idea di una egemonia che si compia dopo la presa del potere, dove si dice che « il gradualismo socialista diventa possibile solo quando il potere è passato nelle mani della classe operaia e quella ha creato un nuovo Stato al posto dello Stato capitalistico » 3. Comunque vari passi dei Quaderni e gli stessi sviluppi
« Note sulla rivoluzione russa », Il Grido del popolo, 29 aprile 1917, non firmato.
2 « [...]

[...] passato nelle mani della classe operaia e quella ha creato un nuovo Stato al posto dello Stato capitalistico » 3. Comunque vari passi dei Quaderni e gli stessi sviluppi
« Note sulla rivoluzione russa », Il Grido del popolo, 29 aprile 1917, non firmato.
2 « L'opera di Lenin », Il Grido del popolo, 14 sett. 1918, non firmato.
3 « Riformismo e lotta di classe », L'Unità, 16 marzo 1926, non firmato.
8.
104 1 documenti del convegno
impressi da Gramsci alla azione del partito comunista dalla crisi Matteotti in poi fanno ritenere che il pensiero di Gramsci sulla questione del consenso rimanga sostanzialmente fermo. La stessa lettera dell'ottobre 1926 al Comitato centrale sovietico, purtroppo esclusa fino a ieri alla conoscenza dello studioso', dimostra un uso specifico e molto interessante del termine egemonia, laddove questo nella terminologia russa e internazionale era interamente assorbito dal termine dittatura del proletariato. Dando la sensazione di una persistente originalità del pensiero gramsciano rispetto agli sviluppi che dopo Lenin i dirigenti bolscevichi diedero alla questione.
1 Pubblicata nel 1938 in Francia dalla rivista Problemi della rivoluzione italiana, ed ora, in copia fotografica, da Corrispondenza socialista, dicembre 1957.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] R. Zangheri, La mancata rivoluzione agraria nel Risorgimento e i problemi economici dell'unità in Studi gramsciani

Brano: Renato Zangheri

LA MANCATA RIVOLUZIONE AGRARIA NEL RISORGIMENTO E I PROBLEMI ECONOMICI DELL’UNITA

È opinione diffusa, e Mia ribadita di recente Rosario Romeo1, che Il pensiero storiografico di Gramsci sia incentrato sulla tesi del Risorgimento « come rivoluzione agraria mancata ». In Gramsci non è veramente proposta nessuna interpretazione semplicemente negativa del movimento unitario nazionale; ed è, mi sembra, solo un idolo polemico questo di una visione gramsciana del Risorgimento come tradimento o fallimento: anche se era legittimo che Gramsci cercasse di definire, rispetto alle società borghesi moderne, le particolarità della formazione storica costituitasi nel corso del moto nazionale.

Si è scritto che l’interesse politico pratico portò Gramsci a cercare nel Risorgimento le origini e il significato della presenza di un potenziale rivoluzionario nelle campagne italiane 2. Non sottovaluto i motivi che dànno vita alla ricerca gramsciana; ma nella parte centrale, almeno, dei suoi appunti quel che Gramsci si pone non è, essenzialmente, il problema dei rapporti sociali nelle campagne e della loro mancata trasformazione. Questo è, in certo senso, presupposto alla sua indagine, che si svolge da un diverso angolo visuale. Poiché le masse contadine non appoggiarono il movimento unitario (e non soltanto per l’assenza di una rivoluzione

1 R. ROMEO, « La storiografia politica marxista », in Nord e Sud, a. Ili, n. 21 (ag. 1956), p. 11 sgg.

2 L. Cafagna, « Intorno al “ revisionismo risorgimentale ”», in Società, a. XII, n. 6 (die. 1956), p. 1021.370

1 documenti del convegno

agraria: anche p[...]

[...]lo visuale. Poiché le masse contadine non appoggiarono il movimento unitario (e non soltanto per l’assenza di una rivoluzione

1 R. ROMEO, « La storiografia politica marxista », in Nord e Sud, a. Ili, n. 21 (ag. 1956), p. 11 sgg.

2 L. Cafagna, « Intorno al “ revisionismo risorgimentale ”», in Società, a. XII, n. 6 (die. 1956), p. 1021.370

1 documenti del convegno

agraria: anche per complessi motivi d’ordine culturale e religioso, che Gramsci non trascura di indicare), e data la ristrettezza della base popolare e la debolezza delle forze attive del movimento nazionale, come è potuto avvenire che si sia formata una direzione politica capace, in sostanza, di portare questo movimento alla vittoria? Tale è, a ben leggere, l’interrogativo principale cui Gramsci cerca una risposta.

Per chiarire il problema, cito dai Quaderni, « bisognerebbe analizzare tutto il movimento storico partendo da diversi punti di vista, fino al momento in cui gli elementi essenziali dell’unità nazionale si unificano e diventano una forza sufficiente per raggiungere lo scopo, ciò che mi pare avvenga solo dopo il ’48 » \ Dove è evidente che l’indagine è orientata sugli aspetti non negativi, ma positivi e risolutivi del movimento nazionale. Nel quadro di una situazione internazionale favorevole, ed a partire dalla sconfitta della destra e del centro politico piemontese e da[...]

[...]Nel quadro di una situazione internazionale favorevole, ed a partire dalla sconfitta della destra e del centro politico piemontese e dall’avvento dei moderati, lo Stato piemontese e la dinastia dei Savoia furono le fondamentali forze motrici delFUnità. Al centro dell’analisi sono i moderati, il metodo e le forme della loro egemonia politica ed intellettuale, la rottura, da essi operata, dello schieramento antiunitario. Il Risorgimento, riconosce Gramsci, fu un « miracolo », non alla maniera retorica e mitica della agiografia patriottica, ma nel senso più concreto che un movimento di debole consistenza intima andò a segno per il concorso di circostanze esterne, sfruttate da uomini di eccezione.

Un quesito che può sorgere, oggi, è se le forze unitarie ebbero cosi debole consistenza oggettiva come Gramsci pensava. Egli partiva, come mi sembra palese, dall’idea di una radicale arretratezza dell’economia italiana: « il problema — di conseguenza — non era tanto di liberare le forze economiche già sviluppate dalle pastoie giuridiche e politiche antiquate, quanto di creare le condizioni generali perché queste forze economiche potessero nascere e svilupparsi sul modello degli altri paesi » 2. Il Demarco, raccogliendo nuove prove degli sviluppi economici preunitari, ha tratto diverse conclusioni: la « esigenza unitaria — sono sue parole — scaturiva dalle contraddizioni tra lo sviluppo della vita econ[...]

[...]eunitari, ha tratto diverse conclusioni: la « esigenza unitaria — sono sue parole — scaturiva dalle contraddizioni tra lo sviluppo della vita economica e sociale da un lato e gli ostacoli che ne trattenevano lo

1 R.} p. 44.

2 p. 46.

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òli

slancio e il respiro » \ Il problema è aperto; e non è problema secondario, perché proprio da una valutazione pessimistica, per così dire, dell’economia italiana fra il 700 e T800 Gramsci deduce la tesi del Risorgimento come fatto in cui gli elementi della direzione politica, di una direzione più « diplomatica » che creativa, prevalgono nell’assenza di una potenza espansiva ed unitaria delle società regionali.

Al centro dell’indagine gramsciana è appunto il momento della direzione politica, e pare strano che ciò sia sfuggito a storici eticopolitici : sono i moderati, la validità della loro azione, la dialettica della rivoluzione passiva. Il limite dei liberali cavourriani è che essi « non sono dei giacobini nazionali: essi in realtà superano la Destra del Solaro, ma non qualitativamente, perché concepiscono l’unità come allargamento dello Stato piemontese e del patrimonio della dinastia, non come movimento nazionale dal basso, ma come conquista regia » 2. A questo punto, e in termini di esame dei caratteri e dei limiti della forz[...]

[...]ento dello Stato piemontese e del patrimonio della dinastia, non come movimento nazionale dal basso, ma come conquista regia » 2. A questo punto, e in termini di esame dei caratteri e dei limiti della forza dirigente nazionale, si inserisce il problema dei rapporti fra città e campagna, del contenuto di classe della politica agraria dei moderati.

Esisteva nel corso del Risorgimento la reale possibilità di una riforma agraria? Tutta la tesi di Gramsci, a giudizio del Romeo, presuppone l’esistenza « di una “ oggettiva ” possibilità rivoluzionaria, che il partito d’azione, a differenza dei giacobini francesi, non seppe tradurre in atto » 3. Mi sembra che il pensiero di Gramsci sia in proposito meno semplicistico. L’unica possibilità che Gramsci ammette senza riserva è di una « azione sui contadini » da parte delle forze unitaria » 4; per il resto, è circospetto assai. « Nelle Noterelle di G. C. Abba — scrive — ci sono elementi per dimostrare che la quistione agraria era la molla per far entrare in moto le grandi masse » 5. L’accenno è sobrio. Studi posteriori hanno documentato, più che Gramsci forse non pensasse, la

1 D. DEMARCO, «L’economia degli Stati italiani prima deirUnità», in Rassegna storica del Risorgimento, a. XLIV, fase. IIIII (apr.sett. 1957), p. 258. Ma secondo il Luzzatto i progressi compiuti in alcune regioni fra il 1830 e i) 1847 « erano stati annullati dal rapidissimo balzo in avanti che gli Stati più progrediti avevano fatto dopo il 1850 »: G. LUZZATTO, «L’economia italiana nel primo decennio dell’Unità», ibid.9 pp. 2601.

2 R., p. 46.

3 Romeo, l. c., p. 13.

4 JR., p. 68.

5 R., p. 103.372

1 documenti del convegno

ricchezza dei motivi agrari e [...]

[...]
3 Romeo, l. c., p. 13.

4 JR., p. 68.

5 R., p. 103.372

1 documenti del convegno

ricchezza dei motivi agrari e contadini del 1860 in Sicilia. Ma proprio in relazione ad alcune manifestazioni del movimento insurrezionale dei contadini siciliani, si rende chiaro il ruolo dei rapporti internazionali nello svolgimento unitario, l’assenza di « autonomia internazionale » dell’Italia, che è fra i costanti punti di riferimento dell’indagine gramsciana.

Non c’era nei dirigenti il moto nazionale, rileva Gramsci, « la stoffa dei giacobini » ; ma subito aggiunge : « cerano in Italia alcune delle condizioni necessarie per un movimento come quello dei giacobini francesi? La Francia da molti secoli era una nazione egemonica: la sua autonomia internazionale era molto ampia. Per l’Italia niente di simile: essa non aveva nessuna autonomia internazionale... Questa assenza di “ autonomia internazionale ” è la ragione che spiega molta storia italiana e non solo delle classi borghesi » \

Altrove indica le ragioni della mancata formazione in Italia di un partito giacobino « nel campo economico, cioè nella rel[...]

[...] niente di simile: essa non aveva nessuna autonomia internazionale... Questa assenza di “ autonomia internazionale ” è la ragione che spiega molta storia italiana e non solo delle classi borghesi » \

Altrove indica le ragioni della mancata formazione in Italia di un partito giacobino « nel campo economico, cioè nella relativa debolezza della borghesia italiana e nel clima storico diverso dell’Europa dopo il 1815 » 2. Entro questa cornice, che Gramsci mantiene ben ferma, riesce meglio comprensibile l’idea dell’assenza di giacobinismo nel Risorgimento, di cui è già un accenno nel Labriola 3.

Il termine giacobinismo, di cui Gramsci sottolinea l’uso analogico e improprio, non contiene, di regola, una specifica e rigida caratterizzazione storica, ma esprime un concetto direttivo e quasi uno strumento della ricerca. Sono « giacobini » Robespierre e Cromwell, Gioberti e Machiavelli, Lenin, per tratti generalissimi del loro pensiero e della loro azione politica, consistenti, essenzialmente, nella volontà di collegare la forza dirigente nazionale, borghesia, proletariato, nei diversi momenti, alle masse popolari e, in ispecie, contadine. Gli elementi costitutivi di questa categoria del giacobinismo Gramsci li trae dalla stori[...]

[...]ime un concetto direttivo e quasi uno strumento della ricerca. Sono « giacobini » Robespierre e Cromwell, Gioberti e Machiavelli, Lenin, per tratti generalissimi del loro pensiero e della loro azione politica, consistenti, essenzialmente, nella volontà di collegare la forza dirigente nazionale, borghesia, proletariato, nei diversi momenti, alle masse popolari e, in ispecie, contadine. Gli elementi costitutivi di questa categoria del giacobinismo Gramsci li trae dalla storia della Francia rivoluzionaria 4, ma è cosi lontano dal sovrapporre un mo
1 R., p. 150.

2 £., p. 87.

3 A. Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia, Bari, 1944, p. 141.

4 Gramsci certamente conosceva l’interpretazione nuova che del giacobinismo veniva elaborata dalla storiografia francese (del Mathiez possedeva in carcere La Revolution frangaise nei tre volumi dell’edizione Colin : G. CARBONE, « I libri del carcere di Antonio Gramsci », in Movimento operaio, a. IV, n. 4, lug.ag. 1952,Renato Zangheri

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dello giacobinofrancese a1la realtà politica del Risorgimento, che scorge appunto nella astratta trasposizione di schemi francesi il limite di Giuseppe Ferrari e la causa della sua sostanziale estraneità al processo unitario.

È decisivo, se non erro, in proposito, il luogo in cui, dopo aver ricordato l’orientamento antifrancese del partito d’azione, e quindi la sua difficoltà ad assimilare la nozione giacobina dell’alleanza con i contadini, Gramsci nota acutamente che il partito d’azione aveva tuttavia « nella st[...]

[...]
dello giacobinofrancese a1la realtà politica del Risorgimento, che scorge appunto nella astratta trasposizione di schemi francesi il limite di Giuseppe Ferrari e la causa della sua sostanziale estraneità al processo unitario.

È decisivo, se non erro, in proposito, il luogo in cui, dopo aver ricordato l’orientamento antifrancese del partito d’azione, e quindi la sua difficoltà ad assimilare la nozione giacobina dell’alleanza con i contadini, Gramsci nota acutamente che il partito d’azione aveva tuttavia « nella storia della penisola la tradizione a cui risalire e collegarsi. La storia dei Comuni è ricca di esperienze in proposito: la borghesia nascente cerca alleati nei contadini contro l’Impero e contro il feudalismo locale... Ma il più classico maestro di arte politica per i gruppi dirigenti italiani, il Machiavelli, aveva anch’egli posto il problema, naturalmente nei termini e con le preoccupazioni del tempo suo » \ Dove è evidente che l’uso metodico del concetto di giacobinismo, nonché distrarre dalla considerazione concreta della st[...]

[...] anch’egli posto il problema, naturalmente nei termini e con le preoccupazioni del tempo suo » \ Dove è evidente che l’uso metodico del concetto di giacobinismo, nonché distrarre dalla considerazione concreta della storia nazionale, per contrapporvi paradigmi stranieri, giova a questa considerazione e le fornisce strumenti fecondi di ricerca e di giudizio.

A tale stregua, si rende palese l’errore del Romeo, laddove afferma, che il pensiero di Gramsci « si impernia sul raffronto con la politica, agraria dei giacobini francesi », se con ciò si intende, come sembra,, che il raffronto verta su particolari orientamenti e programmi definiti, mentre quel che Gramsci trae positivamente dell’esperienza francese è niente più, ripeto, che la direttiva generale dell’unione rivoluzionaria di Parigi con i contadini, attraverso l’accoglimento delle loro istanze democratiche. E l’errore appare tanto più nocivo, dal momento che il Romeo ne deriva l’idea stupefacente che per giudicare dello sviluppo del capitalismo italiano si debba assumere come termine di confronto, « secondo la logica di tutta la tesi del Gramsci », scrive, la « via francese » di sviluppo del capitalismo, piuttosto che la « via prussiana », o la « via americana ». Che è una contaminazione fra due concetti, quello

p. 670). Negli appunti del carcere sono difatti corretti precedenti giudizi dello spirito giacobino come astratto e antistorico, per i quali vedi, ad es., L'Ordine nuovo, 19191920, Torino, 1934, p. 15, e nella raccolta di scritti giovanili pubblicata da Rinascita, a. XVI, n. 4 (apr. 1957), le pp. 146151.

1 R., p. 74.374

I documenti del convegno

gramsciano del « giacobinismo » e quello leninista delle « vie di svi[...]

[...]ia prussiana », o la « via americana ». Che è una contaminazione fra due concetti, quello

p. 670). Negli appunti del carcere sono difatti corretti precedenti giudizi dello spirito giacobino come astratto e antistorico, per i quali vedi, ad es., L'Ordine nuovo, 19191920, Torino, 1934, p. 15, e nella raccolta di scritti giovanili pubblicata da Rinascita, a. XVI, n. 4 (apr. 1957), le pp. 146151.

1 R., p. 74.374

I documenti del convegno

gramsciano del « giacobinismo » e quello leninista delle « vie di sviluppo del capitalismo », che hanno diversa motivazione e si riferiscono a problemi diversi.

Il Romeo non limita la sua critica a questo punto : indipendentemente dalle reali possibilità di attuazione di una riforma agraria, egli si chiede quali effettive prospettive di progresso una simile alternativa avrebbe offerto all’economia italiana. Il Romeo ha il merito di impostare cosi la discussione nei termini giusti, avvertendo che la questione di una rivoluzione agraria, della abolizione cioè dei residui feudali nei rapporti di lavo[...]

[...]arte del paese; stazionari sono i rendimenti unitari delle culture principali. La conduzione capitalistica non ha soppiantato la mezzadria: e per tutto il Risorgimento la questione è appunto della mezzadria, della sua trasformazione in un rapporto capitalistico. Non sappiamo per quale via questa trasformazione si sarebbe attuata, nella eventualità di una riforma, se innalzando il mezzadro alla proprietà o abbassandolo a salariato; e non trovo in Gramsci nessuna previsione che il processo si sarebbe svolto nel senso della formazione di una democrazia rurale, come suggerisce Romeo, confondendo fra riforma agraria e formazione di una proprietà contadina, che ne è un caso particolare; mentre non è poi affatto certo che le leggi del capitalismo, rendendosi più ampiamente operanti nelle campagne, si sarebbero astenute dal sottoporre la nuova proprietà contadina al normale processo capitalistico di differenziazione e di « selezione ».

Certo, fra i molti casi possibili, il più improbabile è quello immaginato dal Romeo, che la trasformazione del r[...]

[...]condizioni storiche deH’agricoltura eranodeterminate, ormai da secoli, dal capitale. Nel Mezzogiorno, invece, i residui feudali nel regime della proprietà terriera influenzavano in modo decisivo la produzione agricola e il sistema agronomico, e la conservazione di questi residui, che improntavano di sé l’intera vita del sud, come causò le maggiori difficoltà nella formazione dei capitali e nelle « occasioni » di investimento, cosi costituì, come Gramsci ha indicato, la base principale della nascita e del progressivo aggravamento, nell’Italia unita, di una questione meridionale.

Ma per tornare alle fonti dell’accumulazione, non vi è dubbio che la « molla principale di tutto il processo » è, nei primi decenni dell’Unità*

1 Cfr. A. BERTOLINO, « I fondamenti delle idee economiche di Carlo Cattaneo», in Studi in onore di Armando Sapori, II, Milano, 1957, p. 1443. È interessante, ad esempio, per giudicare dell’orientamento del Cattaneo sui problemi del finanziamento dello sviluppo economico, la posizione assunta verso la costituzione di un i[...]

[...]a questione agraria al tempo della rivoluzione borghese, e giunge anzi a credere che a quella soluzione debbano ricondursi le più tarde difficoltà dell’agricoltura francese. La scelta dell’esempio francese deriva, come si comprende, dalla logica della posizione del Romeo, o, per dir meglio, dall’errore logico su cui la sua posizione critica è costruita, e che precedentemente abbiamo additato. « Giacobinismo », « modello francese », ecc. sono per Gramsci canoni di ricerca piuttosto che termini di confronto, ed è peraltro fortemente dubbio che paragoni sia in generale legittimo istituire fra processi nazionali diversi, se non con le più rigide cautele.

Intanto, un giudizio di qualche attendibilità dovrà fondarsi su un esame d’assieme e non su aspetti particolari, e dovrà trascurare sviluppi più recenti, che oltrepassano il quadro storico in esame. Assumere, ad esempio, come il Romeo assume, a prova del carattere scarsamente progressivo della politica agraria giacobina, il maltusianesimo economico a cui oggi è costretta la famiglia del picco[...]

[...]luppo interno dell’industrialismo settentrionale», si deve dire che ciò è vero solo nel senso che l’inferiorità meridionale nasce nel corso dello sviluppo della società capitalistica, che è una formazione storica, instabile, non permanente, e nel proprio seno alleva le forze non — come sembra credere il Romeo — della sua indefinita perfettibilità, ma del suo antagonistico superamento. In realtà, la lunga disamina che il Romeo ha fatto delle idee gramsciane sul Risorgimento ha una origine pratica. Quel che a lui preme, è dimostrare la razionalità dello svolgimento unitario e, per conseguenza, l’attuale validità dei suoi effetti. In questa confusione del presente col passato sta il limite generale delle sue critiche \

1 Bisogna tuttavia dire che il Romeo, quando abbandona il terreno infido della polemica pratica, non sa sottrarsi, nella sua probità di studioso, ai criteri di indagine che Gramsci ha fatto valere nella storiografia contemporanea. SÌ veda, ad esempio, il bel saggio su La signoria dell’abate di Sant’Ambrogio di Milano sul comune rurale di Origgio nel sec. XIII, che appare ora nella Rivista storica italiana, a. LXIX (1957), fase. IV, particolarmente alle pp. 5045, dove il Romeo osserva che la signoria milanese dei Della Torre non portò a fondo la lotta antifeudale nel contado, per concludere : « La mancanza di un concreto sostegno nel contado — che non si seppe o non si volle trovare nei rustici — rende assai più difficile alla pur potente città il controllo effettivo del[...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Gramsci, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Storia <---marxista <---italiana <---marxismo <---italiano <---Filosofia <---Pratica <---Dialettica <---siano <---materialismo <---gramsciana <---gramsciano <---ideologico <---socialista <---italiani <---storicismo <---comunista <---idealismo <---ideologia <---socialismo <---Logica <---ideologie <---Marx <---Ciò <---Scienze <---Lenin <---leninismo <---metodologia <---gramsciane <---ideologica <---leninista <---Stato <---Storiografia <---umanesimo <---Metafisica <---Ordine Nuovo <---Meccanica <--- <---capitalismo <---crociano <---gramsciani <---hegeliana <---ideologiche <---marxisti <---socialisti <---Engels <---abbiano <---fascismo <---italiane <---realismo <---Scienze naturali <---Sociologia <---crociana <---ideologici <---positivismo <---sociologia <---Ecco <---Retorica <---Russia <---Sistematica <---comunisti <---hegelismo <---metodologica <---riformismo <---Antonio Gramsci <---Del resto <---Hegel <---fascista <---gnoseologico <---Diritto <---Dogmatica <---Feuerbach <---Labriola <---Pensiero filosofico <---Perché <---crocianesimo <---d'Italia <---idealisti <---meccanicismo <---teologico <---Antonio Labriola <---Estetica <---Risorgimento <---Scienza politica <---Togliatti <---comunismo <---cristianesimo <---determinismo <---dogmatismo <---filologico <---metodologiche <---metodologici <---metodologico <---psicologico <---Bukharin <---De Sanctis <---Filologia <---Francia <---Teoretica <---filologia <---hegeliano <---liberalismo <---mitologica <---revisionismo <---riformista <---riformisti <---Agraria <---Dinamica <---Etica <---Logica formale <---Machiavelli <---Partito <---Poetica <---Trotzki <---dell'Ordine <---economismo <---fatalismo <---filologica <---idealista <---imperialismo <---materialista <---opportunismo <---Benedetto Croce <---Dei <---Dio <---Folklore <---Gli <---Gobetti <---Matematica <---Mi pare <---Psicologia <---Quale <---Statistica <---Sulla <---Tecnologia <---Teologia <---Torino <---artigiani <---capitalista <---d'Europa <---fanatismo <---gentiliano <---giacobinismo <---gnoseologica <---marxiana <---marxiste <---naturalismo <---positivisti <---psicologia <---spiritualismo <---tecnologia <---teologia <---umanismo <---Bernstein <---Carlo Marx <---Cattaneo <---Cosa <---Editori Riuniti <---Fisica <---Già <---Gnoseologia <---Inghilterra <---Lukàcs <---Più <---Salvemini <---Stalin <---Umberto Cosmo <---anarchismo <---apriorismo <---biologica <---biologico <---classista <---crociani <---dualismo <---empirismo <---engelsiana <---esistenzialismo <---gentiliana <---gnoseologia <---illuminismo <---immanentismo <---misticismo <---moralismo <---nell'Unione <---ottimismo <---progressista <---scetticismo <---sciana <---sindacalismo <---sindacalisti <---Basta <---Bologna <---Capitale <---Cosmo <---Così <---Filosofia della storia <---Francesco De Sanctis <---Ilici <---Kienthal <---La Critica <---Linguistica <---M.S. <---Note sul Machiavelli <---Ogni <---Ottobre <---Pedagogia <---Però <---Presso <---Rinascimento <---Scienze sociali <---Statica <---Stilistica <---Weltanschauung <---Zimmerwald <---antagonista <---bolscevismo <---calvinismo <---cristiano <---crociane <---dell'Avanti <---dell'Istituto <---dell'Italia <---dell'Ottocento <---desanctisiana <---dilaniano <---dilettantismo <---dinamismo <---economista <---empiriocriticismo <---esperantismo <---feticismo <---individualismo <---internazionalismo <---leniniana <---leniniste <---leninisti <---machiavellismo <---manzoniano <---massimalisti <---mitologia <---moderatismo <---nell'Italia <---parallelismo <---positivista <---provincialismo <---psicologica <---scientismo <---sociologica <---sociologico <---soggettivismo <---storicista <---umanisti <---volontarismo <---zarista <---Appunti <---Bibliografia <---Che Gramsci <---Come <---Dico <---Discipline <---Divina Commedia <---Economia politica <---Energie Nuove <---Eugenio Garin <---Fenomenologia <---Filosofia della natura <---Husserl <---Il Capitale <---Il lavoro <---Kant <---La guerra <---Luporini <---Manzoni <---Natalino Sapegno <---Nei Quaderni <---Non voglio <---Nord e Sud <---Ordine nuovo <---Paimiro Togliatti <---Palmiro Togliatti <---Pirandello <---Plekhanov <---Principe-Discorsi <---Raccolta <---Rinascita <---Saggio <---Storia mondiale <---Teoria della conoscenza <---Viene <---accademismo <---antagonismo <---astrattismo <---astrattisti <---biologiche <---cattolicesimo <---cattolicismo <---comuniste <---conservatorismo <---cristiana <---deirimperialismo <---dell'Accademia <---dell'Internazionale <---dell'Umanesimo <---economisti <---einaudiano <---estremismo <---evoluzionismo <---federalismo <---fenomenologia <---gradualismo <---kantiano <---lasciano <---massimalismo <---monismo <---nismo <---nominalismo <---ordinovista <---parlamentarismo <---pessimismo <---pirandelliano <---razionalismo <---relativismo <---rispecchiano <---sciano <---settarismo <---siciliani <---sindacalista <---sindacaliste <---siste <---socialiste <---solidarismo <---sperimentalismo <---Accademia Pistoiese 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<---Classi <---Clinica <---Colloque <---Come Marx <---Come Sciascia <---Comitato Direttivo <---Commissione <---Communist Lenin <---Commémorer <---Compito <---Comunista in Italia <---Comunità <---Concetto Marchesi <---Congresso del Komintern <---Congresso del Komintern Bordiga <---Congresso del Partito <---Congresso di Bologna <---Congresso di Roma <---Congresso di Vienna <---Conobbi Gobetti <---Conselice <---Consorzio <---Contributo del Presidium del Komintern <---Contro <---Coppola <---Corpus Paravianum <---Correspondance <---Corriere della sera <---Cosl <---Costantin Nicuta <---Così Gramsci <---Creare <---Cresoini <---Cristu <---Critica marxista <---Cuciretta <---Cultura Popular <---Cunow <---Cuore <---Cvijetin Mijatovic <---Célui <---D'Alcide <---D'Amico <---D'Ancona <---D'Azeglio <---Da Adriano <---Da Gramsci <---Da Salvemini <---Dal <---Dal Pane <---Dans <---Dante Nardo <---Dante di Cosmo <---Dario Niccodemi <---Darvin <---Das Ubersetzen <---David Ricardo <---Davide Ricardo <---De Amicis <---De Clementi <---De Man <---Deborin <---Decapitaro Emmanuel Kant <---Del Boca <---Del Fibreno <---Del Lungo <---Dell'Arco <---Della Casa <---Della Magia <---Della Torre <---Demarco <---Demetrio Pasolini <---Denis Diderot <---Denkens <---Der Kampf <---Der Sowjetmar <---Der Sozialismus <---Dessirier <---Destra del Solaro <---Devant <---Dewey <---Di Cesare <---Di Gobetti <---Di Lenin <---Di Lorenzo <---Di Verga <---Di Vittorio <---Dialektik <---Dialettica dei Padri Liberatori <---Dialettica di Baldassarre Labanca <---Dichiarazione Programmatica <---Diciotto Brumaio <---Diderot <---Didimo Chierico <---Didot <---Die <---Die Gesellschaft <---Diego Rivera <---Diex <---Difficilissimi <---Difugere <---Dina Galli <---Dino Compagni <---Direttor Prefetto <---Diritto costituzionale <---Diritto pubblico <---Discipline umanistiche <---Dl SINISTRA <---Dobb <---Dogali <---Domenico Gismano <---Domenico Tiepolo <---Donna Livia <---Dousa <---Dove La Penna <---Dramma Italiano <---Due <---Dupont 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