Brano: [...]rfosi, che sono anch'esse, a ben vedere, una prova estrema di raffigurazione, e pensiamo al felicissimo incipit di Maria, la « servente au grand coeur »: esordi e chiuse sono sempre, nella Romano, vere e proprie chiavi della volta:
Quando entrammo nella nostra casa, c'era già Maria. Eravamo di ritorno dal
viaggio, e camminammo in punta di piedi, perché era mezzanotte.
Io non conoscevo Maria, se non per averla vista, quando era venuta a pre
' Citiamo dalla ristampa einaudiana dei « Nuovi Coralli » (1974), p. 66.
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sentarsi. Affrontare la conoscenza delle persone mi metteva in grande imbarazzo; cosí, da una stanza vicina, avevo spiato, attraverso l'uscio socchiuso.
Stava seduta sull'orlo della sedia, con i piedi incrociati e le mani raccolte nel grembo; era magra e minuta, vestita di nero: con un colletto, rotondo, di pizzo. Teneva la testa reclinata su una spalla; i suoi occhi azzurri e fermi, dalle palpebre piegate all'ingiú, avevano un'aria rassegnata e un po' triste. Non ne avevo concluso niente: piú che altro avevo p[...]
[...]lò il suo dissenso nella formula gravemente limitativa della « letteratura in calzoncini corti ». Non cosi Giansiro Ferrata su « Rinascita » (22 agosto 1964), che richiama si il clima « poeticomemorialistico » tra le due guerre, ma per affermare: « Questo romanzo della Romano va proprio a colpire certi nodi caratteristici dell'antica questione, con una forza che le dà un interesse ben nostro e attuale », o per osservare, molto persuasivamente, e citiamo in questo caso dall'Introduzione alla ristampa negli « Oscar » di Mondadori (Milano 1972): « Otto anni dopo la prima pubblicazione ci si ritrova sollecitati da ogni vivo elemento critico a leggere questa narrazione con l'interesse che merita, senza farle pagare le spese d'un ipotetico proselitismo cui nulla — in nessun caso — la portava per naturale riflesso dei suoi caratteri particolari: lontanissimi, in verità, dal suggerire formule a impiego corrente » (p. 6). Era un esplicito invito ad uscire dalle formule di comodo e a individuare nella Romano i tratti di una poetica e di un linguaggio [...]
[...]i vivo elemento critico a leggere questa narrazione con l'interesse che merita, senza farle pagare le spese d'un ipotetico proselitismo cui nulla — in nessun caso — la portava per naturale riflesso dei suoi caratteri particolari: lontanissimi, in verità, dal suggerire formule a impiego corrente » (p. 6). Era un esplicito invito ad uscire dalle formule di comodo e a individuare nella Romano i tratti di una poetica e di un linguaggio peculiari.
2 Citiamo dal romanzo L'archiamore (Milano, Guanda, 1980) dell'esordiente OSVALDO GUERRIERI.
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Prima della Penombra erano stati pubblicati Tetto murato (1957), L'uomo che parlava solo (1961) e, a parte, il Diario di Grecia (da Rebellato, nel '59). Dopo la Penombra sono poi venuti, trascurando le ristampe, che pure non sono mai senza revisioni, Le parole tra noi leggère (1969), L'ospite (1973), Una giovinezza inventata (1979) e tra L'ospite e Una giovinezza inventata due libri coevi, uno di racconti, La villeggiante, e l'altro di fotografie commentate, Lettura di un'immagine (1975). Sen[...]
[...]i del passato, le luci, i volti » (Prefazione a Jean Daniel, Memoria al presente, Milano, Spirali, p. 9) 5.
Ebbene, c'è curiosamente un letto anche nell'esordio della Penombra, un letto però che fa pensare a una voglia pigra, indolente, quasi riluttante (« Mi ero distesa sul letto e cercavo di pensare a cose innocue », p. 9). Anche se poi l'impasse fa presto a sciogliersi in crescendo, liberando (nell'aria aperta) una memoria piena di puntigli. Citiamo dall'esordio del secondo capitolo della prima parte:
Sono uscita nella strada davanti all'albergo, e ho sentito l'aria. L'aria mi può bastare. È la mia aria.
In nessun'altra valle vicina o lontana c'è quell'aria. Io la riconosco all'odore leggero che sa di latte, di strame, di erbe amare. Ma non è un odore, se non dopo.
Non è mai esaurito il mio bisogno di quell'aria. Io la penso di lontano, e mi nutre. Mi tormenta, anche: per qualcosa di irraggiungibile, ma anche di
5 Il libro del Daniel è stato recensito da Lalla Romano in « Tuttolibri », vi, n. 24, 28 giugno 1980, p. 15.
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