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Il segmento testuale stalinismo è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 736Entità Multimediali , di cui in selezione 68 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Entità Multimediali)


da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 662

Brano: Stalinismo, Interpretazioni dello

mine “marxismo”. Sono così sorte numerose scuole che hanno caricato il termine “stalinismo” di riferimenti e di significati anche distanti fra loro. Queste tendenze si possono riassumere sostanzialmente o in una disputa fra “continuità” e “rottura” nell’interpretazione del corso della storia, o nello sforzo di individuare l'aspetto principale e caratterizzante del fenomeno. II culto della personalità, il concetto e il ruolo dello stato, la struttura del potere e i problemi connessi allo sviluppo economico hanno così costituito i perni principali di una ricerca interpretativa che peraltro non si è ancora conclusa.

"Continuità* e “rottura"

Nell'ambito delle interpretazioni del [...]

[...]a” nell’interpretazione del corso della storia, o nello sforzo di individuare l'aspetto principale e caratterizzante del fenomeno. II culto della personalità, il concetto e il ruolo dello stato, la struttura del potere e i problemi connessi allo sviluppo economico hanno così costituito i perni principali di una ricerca interpretativa che peraltro non si è ancora conclusa.

"Continuità* e “rottura"

Nell'ambito delle interpretazioni del

lo stalinismo, il problema della continuità e della rottura si presenta connesso soprattutto a due grandi temi: il primo affronta in particolare il nodo dei rapporti fra Lenin e Stalin e, dunque, fra i caratteri “originari” della rivoluzione d’Ottobre e l’edificazione di una società nuova, seguita alla fine della guerra civile e alla pacificazione del paese; il secondo pone invece l'accento sui tempi di più lunga durata che vedono la storia sovietica inevitabilmente inserirsi e confrontarsi con la storia russa e le eredità dell'impero zarista, sia sul piano politico che su quello economico e sociale, il ra[...]

[...]dunque, fra i caratteri “originari” della rivoluzione d’Ottobre e l’edificazione di una società nuova, seguita alla fine della guerra civile e alla pacificazione del paese; il secondo pone invece l'accento sui tempi di più lunga durata che vedono la storia sovietica inevitabilmente inserirsi e confrontarsi con la storia russa e le eredità dell'impero zarista, sia sul piano politico che su quello economico e sociale, il rapporto fra rivoluzione e stalinismo ha acceso numerose discussioni, in cui il momento stesso di ricostruzione storica e quello più squisitamente politico si sono assai spesso confusi. La tesi della continuità, che individuava in Lenin « lo scatenatore dello stalinismo » venne a lungo fatta propria dalla storiografia angloamericana a partire dalla fine degli anni Quaranta. Evidentemente, il clima del maccartismo e gli anni della “guerra fredda” avevano esercitato una loro influenza, ancor più incoraggiata dalle idee sostenute presso gli ambienti intellettuali degli emigrati russi e dalla scarsità di documenti a disposizione. Paradossalmente, anzi, i giudizi presenti nella storiografia staliniana (che, nell'ambito di un atteggiamento sostanzialmente agiografico, esaltava la linearità di uno sviluppo, la coerente realizzazione di un progetto che non conosce r[...]

[...]i caratteri totalitari della società sovietica non trovavano tanto la loro origine nella politica perseguita da Stalin, quanto nelle posizioni sostenute da Lenin già a partire dalla fine del XIX secolo: l’« oligarchia monopartitica », la concezione leniniana del partito e dei suoi rapporti interni, il ruolo attribuito allo stato nelle impostazioni teoriche del fondatore dell’U.R.S.S. contenevano già tutti gli elementi che dimostrerebbero come lo stalinismo non avesse fatto altro che attuare un’impostazione viziata in partenza come totalitaria.

Robert V. Daniels, ad esempio, ha sostenuto che il trionfo di Stalin fu sostanzialmente quello di un individuo che « incarnava tanto i precetti del leninismo quanto la tenacia della loro applicazione ». E lo stesso Zbigniew Brzezinski, divenuto noto come consigliere del presidente degli U.S.A. Carter, ritenne Stalin l’uomo cui spettò di fatto realizzare una dinamica totalitaria del sistema politico che, tuttavìa, esso già esprimeva. Analoga tesi venne sostenuta, nell'emigrazione russa, da Alexander Sol[...]

[...]tenne Stalin l’uomo cui spettò di fatto realizzare una dinamica totalitaria del sistema politico che, tuttavìa, esso già esprimeva. Analoga tesi venne sostenuta, nell'emigrazione russa, da Alexander Solzenìcyn, secondo cui « Stalin fu un continuatore, magari inetto, ma coerente e fedele, dello spirito della dottrina leninista ». Sotto questo profilo, Solzenicyn polemizzò con lo storico sovietico Roy Medvedev che, in un ampio studio dedicato allo stalinismo, sosteneva la tesi di una “rottura”, di una nonconseguenzialità diretta tra i due dirigenti comunisti. Medvedev ricordava anzi gli ultimi giudizi negativi dì Lenin su Stalin e sul suo modo di agire nella direzione del partito, e insisteva piuttosto sulla necessità di rintracciare nelle vicende comprese fra il 1928 e il 1933 « il momento della netta negazione del leninismo e della transizione allo stalinismo ».

Gli anni dal 1928 al 1933 sono considerati da molti studiosi come determinanti per la formazione dello stalinismo: la collettivizzazione forzata, i piani quinquennali e l'assassinio di Kirov (v.) costituirono tutti momenti specifici che caratterizzarono una “rivoluzione dall'alto” imposta in prima persona da Stalin per attuare la modernizzazione del paese e che contennero (secondo tali orientamenti) i germi della violenza e delTautoritarismo esplosi nel corso degli anni Trenta. Molti studiosi angloamericani (fra i quali si possono qui ricordare Robert C. Tucker, Stephen Cohen, Moshe Lewin, Alexander Erlich) hanno dunque contestato le tesi “continuiste”, non solo spostando dal punto di vista cronologico l[...]

[...]li anni Venti all’interno del Partito bolscevico: le possibili “alternative” a Stalin, in particolare quella rappresentata dalle tesi di Bucharin (v.), sono state così va

gliate alla luce delle particolari condizioni in cui versavano la Russia e il Partito bolscevico in quell’arco di tempo.

Muovendo da tale contesto, Stephen Cohen ha avvertito, nei suoi numerosi studi dedicati alla figura di Bucharin, come il problema dell'alternativa allo stalinismo andasse in quel l'epoca ristretto al problema non della via democratica al socialismo, bensì di una via bolscevica « meno onerosa, dispotica e sanguinaria per la costruzione del socialismo » rispetto a quella scelta da Stalin a partire dal 1929. Lo sforzo perseguito da Bucharin per individuare un modello di sviluppo fondato sul l'equilibrio della crescita agricola e industriale, tramite una razionale combinazione di mercato e pianificazione, doveva tuttavia fare i conti con le conseguenze di una guerra civile che, avendo apportato il caos nel l'economia, spopolato le città, annientato la borg[...]

[...]lusione, il nodo della modernizzazione e dell'arretratezza rispetto alla situazione del 1917. Per queste stesse ragioni, secondo Moshe Lewin, la costruzione del socialismo veniva avviata su un terreno davvero accidentato e inevitabilmente le ideologie (di tipo “religioso” o “nazionale”).così come i richiami all’ìrrazionale delle psicologie individuali e sociali, trovavano un terreno fertile di coltura, certo quello più adatto allo sviluppo dello stalinismo.

Analoghe considerazioni hanno spinto un altro studioso inglese, Alee Nove, a domandarsi se lo stalinismo andasse di conseguenza considerato come fenomeno “necessario” per un paese come l'U.R.S.S.: la risposta positiva a cui egli pervenne trovò proprio nella decisione di procedere rapidamente, a “passi forzati” verso l'industrializzazione, l'elemento determinante che confermava la sua ipotesi iniziale.

Ciò che la nuova storiografia angloamericana (ma per certi versi anche le conclusioni cui è pervenuto Medvedev) rimprovera ai sostenitori del permanere di una prevalente continuità nella storia russa e nel marxismo russo postrivoluzionari, è di finire con 11 considerare uniforme lo sviluppo del [...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 666

Brano: Stalinismo, Interpretazioni dello

ritenuto Krusciov un « grande innovatore », l'uomo che espresse una spinta evolutiva tale da condurre a sbocchi imprevedibili, altri (come Cohen) hanno guardato alla storia dell’U.R.S.S. dopo Stalin come segnata dal conflitto fra un polo rappresentato dallo stalinismo e uno dal riformismo sovietico, riformismo che affonda le sue origini nella N.E.P., ma che si collega anche all’opera di Krusciov. Il periodo brezneviano viene così generalmente interpretato come « reazione conservatrice » alle innovazioni di Krusciov, anche se (per Nove) sia Breznev sia Krusciov andrebbero considerati come « necessari prodotti » della loro epoca.

Opinioni del tutto differenti provengono invece dagli studiosi più strettamente legati a una visione “continuista” della storia: né Brzezinski né Conquest riscontrano profondi cambiamenti nell’U.R.S.S. del dopoStalin, mentre l’au[...]

[...].R.S.S. del dopoStalin, mentre l’australiano T.H. Rigby ritiene che la « società monorganizzata »> sovietica si sia mantenuta inalterata, pur avendo perso una tirannia personale divenuta superflua e sostituita dall'oligarchia. Gli jugoslavi permangono, da parte loro, dell’opinione che il sistema dell'autogestione da essi perseguito, pur essendo oggi in crisi e, comunque, da considerarsi non “esportabile”, costituisca una valida alternativa a uno stalinismo che ai loro occhi pare ancora troppo profondamente radicato nella realtà sovietica, tanto da spiegare ampiamente la sconfitta kruscioviana. Naturalmente è quasi impossibile riportare qui tutte le voci e le opinioni di un dibattito ancora largamente aperto. Basti solo pensare a Medvedev il quale, pur sottolineando il perdurare dello stalinismo nel suo paese, ammonisce gli occidentali a non sottovalutare mutamenti quali la concessione dei passaporti interni come misura di profonda riforma sociale, per l’impatto che essa avrebbe registrato nella società sovietica. In Italia, infine, un esperto di storia dell’U.R.S.S. come Giuseppe Boffa ha descritto lo stalinismo come un fenomeno non solo russo, ma certo carico di nazionalismo, autoritarismo e saldamente legato ai problemi dello sviluppo, e sul quale ha inciso, forse in modo decisivo per la sua formazione, la guerra civile.

Resta comunque ancora scarsamente affrontato lo studio della base sociale dello stalinismo, del grande consenso di massa che, al di là e nonostante le coercizioni e le re

pressioni attuate, esso ha riscosso. Proprio per questa sua ancora aperta problematicità lo stalinismo si presenta, agli occhi degli studiosi, come uno di quei grandi fenomeni storici che hanno segnato, nel bene e nel male, la storia dell'umanità. Un fenomeno intorno al quale polemiche e indagini non si esauriranno presto.

Bibliografia: Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Milano, 1967; Rudolf Bahro, Per un comuniSmo democratico. L’alternativa, Milano, 1978; Nicola Berdjaev, Le fonti e lo spirito del comuniSmo russo, Milano, 1949; Cyril Black, The Modernization of Russi an Society, in The Transformation of Russian Society. Aspects of Social Change since 1861 (Eds. C. Black), Cambrid[...]

[...]7; Rudolf Bahro, Per un comuniSmo democratico. L’alternativa, Milano, 1978; Nicola Berdjaev, Le fonti e lo spirito del comuniSmo russo, Milano, 1949; Cyril Black, The Modernization of Russi an Society, in The Transformation of Russian Society. Aspects of Social Change since 1861 (Eds. C. Black), Cambridge (Massachusetts), 1960; Giuseppe Boffa, Il fenomeno Stalin nella storia del XX secolo, Bari, 1982; Giuseppe BoffaGilles Martinet, Dialogo sullo stalinismo, RomaBari, 1976; Amadeo Bordiga, Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, Milano, 1966 (specie il II voi.); Zbigniew Brzezinski, Disfunctional Total itari ani sm, in Theory and Poiitics. Festschrift zum 70. Geburtstag tur Cari Joachim Friedrich, Haag, 1971; Edward H. Carr, La rivoluzione russa. Da Lenin a Stalin, 19171929, (in diversi voli.), Torino, 1980; Stephen Cohen, Bucharin e la rivoluzione bolscevica. Biografia politica 18881939, Milano, 1975; Stephen Cohen, Bolshevism and Stalinism, in Staiini sm. Essays in Historical Interpretation (Eds. R. Tucker), New York, 1977; Robert C[...]

[...]Moshe Lewin, Economia e politica nella società sovietica. Il dibattito economico da Bucharin alle riforme degli anni Sessanta, Roma, 1977; Mihailo Markovic, Stalinism and Marxism, in Stalinism. Essays ..., cit.; Roy A. Medvedev,

Gli ultimi anni di Bucharin 19301938, Roma, 1979; Alfred G. Meyer, The Soviet Politicai System. An Interpretation, New York, 1965; P.N. Miljukov, Ocerki po istorii russkoj kul'tury, St. Petresburg 18961901; Alee Nove, Stalinismo e antistalinismo nell’economia soviètica, Torino, 1968; Giuliano Procacci, Il partito nell’Unione Sovietica 19171945, RomaBari, 1974; T.H. Rigby, Stalinism and thè MonoOrganizational Society, in Stalinism... cit.; Léonard Shapiro, Storia del Partito comunista sovietico, Milano, 1962; Léonard Shapiro, L’opposizione nello stato sovietico. Le origini dell’autocrazia comunista 19171922, Firenze, 1962; Gianni Sofri, Il modo di produzione asiatico. Storia di una controversia marxista, Torino, 1974; Alexander Solzen icyn, A/a vozvrate dychanija i soznanija, in Iz pod glyb. Sbornik stratej, Paris, 1974; Svetozar Stoj[...]

[...]62; Léonard Shapiro, L’opposizione nello stato sovietico. Le origini dell’autocrazia comunista 19171922, Firenze, 1962; Gianni Sofri, Il modo di produzione asiatico. Storia di una controversia marxista, Torino, 1974; Alexander Solzen icyn, A/a vozvrate dychanija i soznanija, in Iz pod glyb. Sbornik stratej, Paris, 1974; Svetozar Stojanovic, GII ideali e la realtà. Critica e futuro del socialismo, Milano, 1970; Pai miro Togliatti, 9 domande sullo stalinismo, in “Nuovi Argomenti”, n. 20, 1956; Lev Trockij, La rivoluzione tradita, Milano, 1956; Robert C. Tucker, The Soviet Politicai Mind. Studies in Stalinism and PostStalin Change, New York, 1963; Robert C. Tucker, Stalin il rivoluzionario 18791929, Milano, 1977; Adam

B. Ulam, Lenin e il suo tempo, Firenze, 1967; Adam B. Ulam, Stalin. L’uomo e la sua epoca, Milano, 1973; Theodore H. von Laue, The State and thè Economy, in The Transformation of Russian Society ..., cit.; Predrag Vranicki, Storia del marxismo, (2 voli.), Roma, 1972; Pedrag Vranicki, Marksizam i socijalizam, Zagreb, 1979; Karl A. [...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 665

Brano: Stalinismo, Interpretazioni dello

profondito, spostando il campo di ricerca da quello politicosociale a quello più eminentemente economico. Certo, nonostante le aperture dell'epoca kruscioviana, la storiografia sovietica non riusciva a staccarsi da una visione “personalistica” delle responsabilità di Stalin durante il suo dominio, al punto che il “culto della personalità” diventava l'elemento principale cui attribuire crimini e distorsioni del socialismo sovietico, senza però andare alle radici di quei fenomeni e senza individuare fino in fondo anche i punti di forza di cui potè giovarsi lo stalinism[...]

[...]onostante le aperture dell'epoca kruscioviana, la storiografia sovietica non riusciva a staccarsi da una visione “personalistica” delle responsabilità di Stalin durante il suo dominio, al punto che il “culto della personalità” diventava l'elemento principale cui attribuire crimini e distorsioni del socialismo sovietico, senza però andare alle radici di quei fenomeni e senza individuare fino in fondo anche i punti di forza di cui potè giovarsi lo stalinismo. In Occidente, invece, grazie alla riscossa anticoloniale e alla progressiva caduta degli imperi anglofrancesi in Asia e in Africa, maturò un ampio dibattito sui problemi dell'arretratezza e della modernizzazione, che influenzò in larga misura anche gli studi sull'Unione Sovietica.

Il noto storico dell'economia Alexander Geschenkron, affrontando i temi deirindustrializzazione sotto Stalin, scorse numerose analogie tra il modello di stato che si venne allora formando e quello dispotico di Pietro il Grande. La stessa politica di industrializzazione gli parve, anzi, continuare quella già avvi[...]

[...] già altre volte in passato era fallita (con Vitte e Stolypin) e che imponeva mutamenti radicali nei modi di vita e nella stratificazione sociale. L'opinione di Gerschenkron e i modelli da lui elaborati, in particolare quello sui prerequisiti e le caratteristiche del big spurt (grande balzo) di un paese allorché questi abbandona l'arretratezza, hanno riscosso ampio consenso, spingendo, altri studiosi, come Theodore H. von Laue, a ritenere che lo stalinismo avesse di fatto applicato in economia la logica di Vitte. Altri ancora, come Cyril Black, hanno insistito sulla “continuità” della politica industriale prima e dopo la rivoluzione; mentre Nove ha ritenuto che lo stalinismo fosse la conseguenza necessaria dell'industrializzazione.

Un altro contributo di grande rilie

vo è poi giunto da Alexander Erlich il quale, concentrando la sua attenzione sul dibattito insorto alla fine degli anni Venti a proposito dell’accumulazione e dell'industrializzazione, ha gettato nuovi lumi sui conflitti interni del partito, sulle ipotesi alternative che si confrontavano, sulle aspirazioni a sottrarsi al sottosviluppo che vennero poi travolte

0 accantonate dalla politica industriale tenacemente perseguita da Stalin a partire dal 1929.

Stalinismo e "modo di produzione asia[...]

[...]nto da Alexander Erlich il quale, concentrando la sua attenzione sul dibattito insorto alla fine degli anni Venti a proposito dell’accumulazione e dell'industrializzazione, ha gettato nuovi lumi sui conflitti interni del partito, sulle ipotesi alternative che si confrontavano, sulle aspirazioni a sottrarsi al sottosviluppo che vennero poi travolte

0 accantonate dalla politica industriale tenacemente perseguita da Stalin a partire dal 1929.

Stalinismo e "modo di produzione asiatico"

1 limiti di tale impostazione vennero più ampiamente trattati da altri studiosi ricorrendo al concetto di « modo di produzione asiatico ». Karl A. Wittfogel, in particolare, sviluppò un'analisi sulle « società idrauliche », in cui lo stato imprenditore assicurava, tramite un solido apparato organizzativo, le infrastrutture indispensabili alla crescita della società. Le classi finivano con il trovare la loro legittimità non più nella proprietà privata, ma nel loro rapporto con lo stato che, per governare, aveva bisogno di ricorrere al terrore e alla sottomiss[...]

[...]ido apparato organizzativo, le infrastrutture indispensabili alla crescita della società. Le classi finivano con il trovare la loro legittimità non più nella proprietà privata, ma nel loro rapporto con lo stato che, per governare, aveva bisogno di ricorrere al terrore e alla sottomissione totale dei sudditi. Naturalmente tali ricerche, che avevano come oggetto di studio le società orientali (in Asia), riaprivano mai sopite polemiche, allorché lo stalinismo veniva identificato con il « dispotismo orientale »: perfino dissidenti del campo socialista (come Rudolf Bahro) rifiutavano tali interpretazioni, tornando non solo a insistere sulla non continuità fra Lenin e Stalin, ma anche a sottolineare il mutamento intervenuto nel partito che, se mantenne con il primo l’idea del socialismo come obiettivo finale, con il secondo la perse totalmente. L’immagine di Stalin come despota, più volte affiancata a quella di “occidentalizzatore” (richiamando la figura di Pietro il Grande), è spesso ricorsa nella storiografia sull'U.R.

S.S. ed è stata fatta prop[...]

[...]nazionale.

Questo “modello”, certo grazie ai partiti comunisti, ha potuto diffondersi anche come fattore culturale: eppure, laddove esso non è stato imposto (come in alcuni paesi dell’Europa orientale) si è modificato fino ad assumere caratteri originali e a dar vita a fenomeni assai diversi, come nel caso della Cina maoista. È questa l’opinione di Robert C. Tucker; altri, come gli jugoslavi, hanno preferito insistere più su una visione dello stalinismo come prodotto del predominio sovietico nel movimento comunista, dunque come una forma che, sul piano delle relazioni fra stati e fra partiti, assai poco o nulla concede all’autonomia e all’esaltazione dei valori peculiari di ogni singola nazione.

"Modello di sviluppo*

Se poi si volesse allargare l’attenzione al Terzo Mondo, non si può negare che il “modello” sovietico abbia riscosso, anche al di là della morte di Stalin, ammirazione e consenso in numerosi paesi: a questo proposito, il francese Gilles Martinet ha osservato come l’U.R.S.S., di fronte al mondo sottosviluppato, si sia prese[...]

[...] Gilles Martinet ha osservato come l’U.R.S.S., di fronte al mondo sottosviluppato, si sia presentata come un « esperimento riuscito », attraverso il quale ha potuto assicurare celermente la formazione di un’economia moderna e avanzata. Dunque un “esempio” da seguire, che ha comportato costi altissimi, ma anche risultati straordinari: è probabile che proprio questo aspetto abbia costituito una delle maggiori ragioni non solo dell’espansione dello stalinismo al di fuori dell’U.R.S.S., ma anche del suo radicamento interno, del suo sopravvivere alla scomparsa di Stalin.

Molti degli storici che hanno valutato lo stalinismo in relazione alla modernizzazione della Russia, considerando ormai esaurita tale funzione per l’assurgere dell’U.R.S.S. a seconda potenza mondiale, ritengono che tale fenomeno permanga ora come una sovrastruttura in conflitto con le forze produttive da esso stesso create. E non c’è dubbio che numerose considerazioni, più o meno analoghe, siano riscontrabili fra gli studiosi di storia sovietica, in rapporto allo « stalinismo senza Stalin ». Così, se Léonard Shapìro ha

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 661

Brano: Stalinismo, Interpretazioni dello

Operai di una grande fabbrica milanese inneggianti a Stalin durante una manifestazione contrastata dalla polizia (7 novembre 1948)

ecc.) in tutti i paesi controllati dall’U.R.S.S., contro tutti quei dirigenti comunisti che, a torto o a ragione, venivano sospettati di indipendentismo. Tra questi furono Gomulka in Polonia, Raik in Ungheria e Slanski in Cecoslovacchia (si vedano le rispettive voci).

Negli anni dal 1945 al 1953, fino alla morte di Stalin, l’autoglorificazione del potere sovietico portò a forme addirittura esasperate di nazionalismo, fino all’esalta[...]

[...]nburg (v.), in quello stesso periodo « si era trasformato in una divinità potente e misteriosa » (Memorie, voi. III).

Naturalmente tutto ciò non sarebbe potuto avvenire senza il supporto di un enorme apparato di funzionari che assicurava la stabilità di un'organizzazione presente e attiva in tutti i settori della vita sovietica. Grazie a tale organizzazione la morte di Stalin, avvenuta dopo rapida malattia il 5.3.1953, non segnò la fine dello stalinismo che, per le sue stesse caratteristiche, era in grado di autoriprodursi. La scomparsa del dittatore pose però agli eredi il problema di come gestire un’eredità che, pur costituita da evidenti successi economici e militari, era gravata da milioni di vittime scomparse nel nulla o ancora chiuse nei campi di lavoro, condizionata da un apparato poliziesco tendente ad agire anche in modo autonomo, compromessa da un bassissimo tenore di vita della popolazione, oltre che da limitazioni di libertà ritenute ormai incomprensibili. D’altra parte la “guerra fredda” e l’inasprimento di tutti i rapporti inte[...]

[...]chiuse nei campi di lavoro, condizionata da un apparato poliziesco tendente ad agire anche in modo autonomo, compromessa da un bassissimo tenore di vita della popolazione, oltre che da limitazioni di libertà ritenute ormai incomprensibili. D’altra parte la “guerra fredda” e l’inasprimento di tutti i rapporti internazionali rendevano non meno necessaria di prima la compattezza monolitica del regime. (Si veda la voce Unione Sovietica).

E.Ni.

Stalinismo, Interpretazioni storiografiche dello

La distanza storica che ci separa dalle vicende con cui ha preso corpo ed è maturato il fenomeno dello stalinismo è davvero assai breve: per molti versi, i suoi effetti si sentono ancora e, forse, si percepiranno a lungo. Inevitabilmente, dunque, il giudizio storico si fa complesso

e, se si vuole, anche parziale: parziale, nel senso che subisce in forme più o meno esplicite numerosi condizionamenti legati alla visuale (geografica, culturale, ideologica) con cui si guarda al fenomeno; ma parziale anche perché non è ancora in grado di valutare tutti i documenti e le fonti originali, finché gli archivi (soprattutto quelli sovietici) rimarranno chiusi all’indagine storica. Un limite, quest’ultimo, che pes[...]

[...]ionamenti legati alla visuale (geografica, culturale, ideologica) con cui si guarda al fenomeno; ma parziale anche perché non è ancora in grado di valutare tutti i documenti e le fonti originali, finché gli archivi (soprattutto quelli sovietici) rimarranno chiusi all’indagine storica. Un limite, quest’ultimo, che pesa grandemente e non aiuta affatto a rimuovere quei condizionamenti che ancor oggi contribuiscono a ostacolare la comprensione dello stalinismo.

Il problema terminologico

L’intreccio fra interpretazione storica e interpretazione politica delle vicende, la loro distinzione non sempre netta ed evidente, hanno indubbiamente creato un problema di legittimità per il termine “stalinismo”. A lungo esso è suonato polemico, carico di una connotazione negativa non sempre chiaramente definita: il richiamo ad abusi e misfatti, più che alla complessità di un fenomeno politicosociale, ne ha alla lunga accentuato un uso generico.

Nel movimento operaio internazionale esso è stato a lungo rifiutato, come testimonia anche la famosa intervista rilasciata da Paimiro Togliatti nel 1956 alla rivista “Nuovi argomenti”, allorché egli sosteneva come il termine in sé implicasse un giudizio negativo su un sistema sociale senza per questo aiutare a comprendere i « mali inseritisi, per

cause[...]

[...] testimonia anche la famosa intervista rilasciata da Paimiro Togliatti nel 1956 alla rivista “Nuovi argomenti”, allorché egli sosteneva come il termine in sé implicasse un giudizio negativo su un sistema sociale senza per questo aiutare a comprendere i « mali inseritisi, per

cause determinate, in un quadro di positiva costruzione economica e politica ». Analogamente gli jugoslavi, che fra i comunisti furono tra i primi a ricorrere al termine “stalinismo”, lo accolsero solo in seguito alla rottura con il Cominform del 1948, collegandolo all'esigenza di una revisione delle relazioni fra l’Urss e le democrazie popolari.

Nella Unione Sovietica, finché fu vivo Stalin (v.), il termine non venne utilizzato. In questo caso però la ragione fu diversa: dai discorsi e dagli scritti che allora si pubblicavano emerge l'intento di Stalin di presentarsi come il « degno allievo di Lenin », il diretto continuatore della sua opera, il difensore del « leninismo » (di cui promosse con tenacia il culto, fino a trasformarlo in un corpo organico di idee, riduce[...]

[...] che offrire un’immagine di sé come “maestro”. Soltanto dopo aver consolidato il proprio potere, Stalin venne affermandosi come « il Lenin di oggi » costringendo sempre più ai margini la figura del fondatore dell'U.R.S.S.. Restava pur tuttavia il senso della continuità, si consolidava la legittimità ideologica di Stalin come continuatore dell'opera avviata nel 1917, rendendo di fatto inutile, se non controproducente, l'introduzione del concetto “stalinismo”.

Fra gli storici occidentali, l’uso “politico” del termine induceva alla cautela, tanto più che con esso non si trattava solo di mettere in evidenza le caratteristiche principali del fenomeno, ma anche di affrontare il problema dell’interpretazione dell’esperienza sovietica, ricostruendola negli eventi, nelle cronologie e nei suoi inscindibili legami con il passato della Russia, con il quadro internazionale e con l’insieme di idee che si raccoglie sotto il ter

661



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 663

Brano: Stalinismo, Interpretazioni dello

non poteva comunque prescindere dalla storia della Russia, dalle tradizioni culturali, politiche ed economiche di questo paese che ha così a lungo rappresentato un centro di attrazione etnica e religiosa, proiettando un’immagine di sé assai differenziata, stabilendo rapporti contraddittori e contrastanti con l’Occidente europeo.

Già Robert Tucker nell'analisi della collettivizzazione agraria staliniana aveva intravisto « una ripetizione accelerata del servaggio », un ritorno a metodi invalsi per certi aspetti nel secolo XIX, soprattutto per quanto riguardava gli o[...]

[...]durre i cambiamenti importanti solo attraverso decisioni prese dall’alto), paradossalmente consentì a molti aderenti al partito conservatore dei cadetti di aderire al regime sovietico, allorché (vinta la guerra civile) esso apparve come uno strumento capace di por fine all’anarchia e di farsi interprete di una nuova statalità russa.

Altri filoni interpretativi

Un aspetto che è costantemente ricorso nelle analisi di studiosi e critici dello stalinismo ha riguardato la funzione attribuita allo stato. Sul piano politico, poi su quello filosofico e di indagine storica, ha acquisito particolare rilievo l’interpretazione jugoslava del sistema di potere sovietico. All’inizio, nella fase di maggior acutezza dello scontro fra Mosca e Belgrado (anni 19481953), tale sistema venne bollato con il termine di “capitalismo di stato”. Successivamente, una volta ricondotte alla normalità le relazioni bilaterali (in un quadro pur sempre rimasto instabile), in Jugoslavia non è mai prevalso un atteggiamento univoco, non solo perché lo stalinismo venne da alcu[...]

[...]sito particolare rilievo l’interpretazione jugoslava del sistema di potere sovietico. All’inizio, nella fase di maggior acutezza dello scontro fra Mosca e Belgrado (anni 19481953), tale sistema venne bollato con il termine di “capitalismo di stato”. Successivamente, una volta ricondotte alla normalità le relazioni bilaterali (in un quadro pur sempre rimasto instabile), in Jugoslavia non è mai prevalso un atteggiamento univoco, non solo perché lo stalinismo venne da alcuni autori considerato una delle tante possibili “varianti” del socialismo, mentre in altri prevalse l’opinione che si trattasse di “un enorme errore storico” al punto di negarne l’appartenenza al movimento comunista, ma anche perché gli approcci stessi al problema dello stalinismo si rivelarono assai differenziati.

Se Predrag Vranicki, infatti, muoveva da considerazioni prevalentemente storiche, le quali mettevano in luce come lo sviluppo sovietico non avesse potuto prescindere da traumatiche lacerazioni (si pensi alle svolte degli anni 192930 e 193638) « deviando in modo imprevisto il corso rivoluzionario », così Mihailo Markovic si è sforzato di chiarire le caratteristiche “stataliste” dello stalinismo, richiamando l’attenzione sul ruolo della burocrazia politica come forza dominante che “succede” alla borghesia, sul conseguente prolungamento dell'esistenza dello stato, sulla funzione del partito come detentore del monopolio politico ed economico, sul ruolo egemone svolto dal gruppo etnico maggioritario, sul predominio politico nei confronti della cultura.

Certo, l'elemento che con maggior costanza ricorre nelle analisi jugoslave è quello della burocrazia: a Stalin gli jugoslavi hanno in un certo senso riconosciuto di aver apportato una “revisione” al pensiero di Marx e di Lenin, allarga[...]

[...]ismo in senso statalista.

Di ben diversa opinione fu, come è noto, Miiovan Djilas che, nel suo saggio « La nuova classe », sostenne la tesi secondo cui la burocrazia di partito e di stato costituiva ormai una vera e propria classe in grado di dominare sugli operai, controllare i mezzi di produzione e instaurare un proprio sistema di potere.

Naturalmente, non furono solo gli jugoslavi a porre l'accento sulle caratteristiche stataliste dello stalinismo: già negli anni Venti Bucharin, Amadeo Bordiga (v.) e Nicolai Berdjaev, pur muovendo da punti di vista assai differenti fra loro, avevano avvertito i rischi di un eccessivo ruolo degli apparati amministrativi: la formulazione buchariniana del « capitalismo di stato », che pur guardava ai mutamenti intervenuti nel corso della Prima guerra mondiale, venne poi dagli altri utilizzata per descrivere il sistema politicoeconomico dell’U.R.S.S.. Molto più tardi, uno studioso francese come Henri Lefebvre preferì ricorrere al concetto di « modo di produzione statale » come forma valida e applicabile a [...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 664

Brano: Stalinismo, Interpretazioni dello

"Monolitismo" e "totalitarismo"

In realtà, dietro al problema dello stato si veniva configurando un nodo complesso in cùi si ritrovavano non solo le questioni relative alla struttura amministrativa del potere, ma anche i suoi rapporti di identificazione con il partito, la presenza di un sindacato trasformato in « cinghia di trasmissione », di un partito divenuto organizzazione militare e ideologica, di un’economia totalmente priva di una propria sfera autonoma. Tutti questi aspetti, che si ritrovavano nella concezione del « monolitismo » (termine che Stalin stesso[...]

[...]tuato in molti studiosi la tendenza ad adottare il termine, del resto sottoposto a critica anche dalla storiografia angloamericana e da autori quali Frederic Fleron e Alfred Meyer.

Insomma, la genericità del concetto (che quanto più si espandeva tanto più diventava una convenzione utilizzabile per punti di vista fra loro opposti) lo rendeva inutile, né facilitava la comprensione delle complesse relazioni sorte fra il nuovo stato sovietico, lo stalinismo e la rivoluzione.

Altre ipotesi interpretative si sono affacciate, tornando a rileggere le vicende dell’U.R.S.S. fra il 1917 e gli anni Trenta e gettando un occhio comparativo all'altra grande ri

voluzione, quella francese del 1789. In Italia, lo storico Giuliano Procacci, nei suoi studi dedicati alla storia del Partito comunista sovietico, si è soffermato su quelle forme di « democrazia militare » insorte con la guerra civile e l’intervento di potenze estere, e che presentavano un modello di organizzazione politica di tipo giacobino. Su tale model

lo, a giudizio di Procacci, si eran[...]

[...]o un processo di modificazione nella proprietà dei mezzi di produzione; questa novità incontrava tuttavia un rilevante limite nell’oppressione che la classe operaia stessa subiva sul piano politico. Secondo Trotzkij tale contraddizione costituiva la peculiarità dell’U.R.S.S. ed era il prodotto dell’interruzione provocata, nella continuità dell'opera leniniana, dall'avvento di Stalin.

Al di là delle feroci polemiche che

lo coinvolgevano, lo stalinismo appariva agli occhi di Trotzkij come il prodotto dei conflitti specifici insorti nella realtà sovietica e in quella

russa. Il potenziamento dello stato era avvenuto in quel contesto e il rafforzamento della burocrazia come strato sociale al di sopra degli altri doveva passare attraverso scontri laceranti: gli anni del terrore costituivano, dunque, il momento in cui con più veemenza si era dispiegata una « reazione burocratica », di segno opposto a quello impersonato dalla rivoluzione ed espressione del conflitto fra “rivoluzione” e “termidoro” nella stessa burocrazia.

La “nuova classe" [...]

[...] Nemmeno questa terminologia parve quindi adeguata (nonostante il successo da essa riscontrato su un piano di prevalente polemica politica) a cogliere i nessi fra partito, stato e società.

D'altra parte se più volte si sono accese discussioni sulla funzione o meno di “classe” della burocrazia, numerosi dubbi sono stati avanzati (specie tra studiosi angloamericani) sul fatto che la burocrazia da sola possa spiegare le maggiori nefandezze dello stalinismo. Cohen, che ha sempre preferito parlare della burocrazia come di un « gruppo privilegiato », ha negato (così come Alee Nove) che la burocrazia avesse costituito la forza in grado di determinare gli eventi nel corso degli anni Trenta. Tale tesi finiva infatti con il sottovalutare il ruolo personale di Stalin, riducendone la funzione a « grigio capoburocrate » e, tutto sommato, ridimensionandone le responsabilità storiche. Allo stesso tempo, essa però compiva uno sforzo rilevante nel cercare di cogliere gruppi, strutture e condizioni politiche e sociali attraverso le quali e grazie alle quali l[...]

[...]ostituito la forza in grado di determinare gli eventi nel corso degli anni Trenta. Tale tesi finiva infatti con il sottovalutare il ruolo personale di Stalin, riducendone la funzione a « grigio capoburocrate » e, tutto sommato, ridimensionandone le responsabilità storiche. Allo stesso tempo, essa però compiva uno sforzo rilevante nel cercare di cogliere gruppi, strutture e condizioni politiche e sociali attraverso le quali e grazie alle quali lo stalinismo si era affermato e consolidato.

Stalinismo e industrializzazione

Con gli anni Cinquanta, però, tale tentativo venne ulteriormente ap

664



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol VI (T-Z e appendice), p. 81

Brano: Togliatti, Paimiro

economicomilitare capeggiato dagli Stati Uniti.

In questa nuova situazione Togliatti operò (con la consueta abilità) per mantenere il partito alla testa del movimento popolare e se stesso alla testa del partito.

Nel 1949 il suo allineamento alle posizioni dello stalinismo in campo internazionale era peraltro immutato. Nella seconda quindicina di .novembre tenne al Cominform (v.) un rapporto sull' Unità della classe operaia e i compiti dei partiti comunisti e operai », nel quale attaccò violentemente la socialdemocrazia, bollò come pericolosi nemici della pace la cricca di Tito di spie e provocatori », elogiò il processo di Budapest conclusosi con l'impiccagione di Rajk (v.) e compagni, accusati di “titoismo”. Disse a quest'ultimo riguardo: « Le esperienze del processo Rajk hanno un valore di primo piano per tutti ii partiti comunisti e operai. Esse ci hanno d[...]

[...]ppure applicato. Dopo aver tanto operato per una politica unitaria e aver raggiunto una grande forza organizzativa ed elettorale, il P.C.I. si trovò quindi di fronte a un nuovo insidioso pericolo di isolamento, che Togliatti ebbe però la capacità di sventare lanciando una nuova ed efficace campagna ideologica.

La "via italiana al socialismo*

Nel giugno 1956 la clamorosa divulgazione del “rapporto segreto” di Krusciov (v.) sui crimini dello stalinismo (rapporto che peraltro Togliatti conosceva da 3 mesi, avendolo letto il giorno prima che venisse presentato ai delegati del XX Congresso del P.C.U.S.) colse completamente di sorpresa e sconvolse la base del P.C.I., ma non fece minimamente perdere la padronanza a Togliatti. Anzitutto, da quel momento egli cominciò a prendere le distanze dai dirigenti sovietici: criticò pubblicamente Krusciov per il « rozzo » metodo seguito nel rendere pubbliche notizie che danneggiavano l’immagine dell'U.R.S.S. e dei partiti comunisti; negò di aver mai saputo alcunché sui fatti criminosi accaduti sotto Stalin;[...]

[...]se qui si debba riconoscere che ci siamo guardati dal trasportare quel metodo all’interno del nostro partito. Il modo come ci siamo sforzati di organizzare il nostro partito, di orientarlo e dirigerlo nelle sue questioni e nella sua vita interna si può anche affermare che sia stato un tentativo per superare di fatto molti tra i difetti che le critiche a Stalin mettono in evidenza » [Ivi, pag. 750).

Dopo aver così minimizzato l’influenza dello stalinismo nel gruppo dirigente del P.C.I. (davanti a un Comitato centrale che, d’altra parte, nella sua maggioranza la pensava allo stesso modo), Togliatti propose quella che definì « via italiana al socialismo », adducendo il fatto che, nel quadro di un sistema « policentrico », quale aveva descritto in una sua precedente intervista a Nuovi argomenti, ferma restando la validità dell'Unione Sovietica come « primo grande modello storico di conquista del potere nel modo più energico e più effettivo », ma non più obbligatorio, « la soluzione che oggi, probabilmente, più corrisponde a questa situazione nuo[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 502

Brano: [...]1921, la risoluzione sulla inammissibilità di “gruppi frazionisti”. Queste misure impressero un carattere oggettivamente settario al partito, portarono alla formazione di un apparato burocratico praticamente inamovibile, quindi alla possibilità che gruppi ristretti e singoli individui dominassero ferreamente l’intera organizzazione.

Dopo la morte di Lenin (1924) queste caratteristiche del partito bolscevico portarono all’instaurarsi del

lo stalinismo (v.). Inoltre, attraverso la Terza Internazionale (v.), fin dal 1919 il modello organizzativo bolscevico venne adottato da tutti i partiti comunisti che andavano sorgendo negli altri paesi, sebbene la loro situazione fosse completamente diversa rispetto a quella del partito bolscevico. Per il Partito comunista italiano, la “bolscevizzazione” fu sancita nel 1926 (v. Lione, Congresso di).

Settarismo e stalinismo

A partire da quegli anni l’accusa di “settarismo” venne rovesciata paradossalmente dai dirigenti bolscevichi contro quei partiti, gruppi o singoli esponenti comunisti che non si fossero mostrati abbastanza pronti ad accettare le “svolte” e le decisioni della Terza Internazionale e che, in realtà, erano poi quelle del partito russo guidato da Stalin. Questo partito, per assicurare la « costruzione del socialismo nell’U.R.S. S. », faceva leva su una durissima repressione interna e si atteneva a un tatticismo pragmatico sia nei confronti dei governi capitalisti (e fascisti) sia nei confronti [...]

[...]da Stalin. Questo partito, per assicurare la « costruzione del socialismo nell’U.R.S. S. », faceva leva su una durissima repressione interna e si atteneva a un tatticismo pragmatico sia nei confronti dei governi capitalisti (e fascisti) sia nei confronti delle forze rivoluzionarie degli altri paesi, in cui primo compito diventava ormai quello di far da supporto all’U.R. S.S.. L’accusa di settarismo venne così a colpire chiunque dissentisse dallo stalinismo.

Secondo Stalin, le posizioni “di sinistra” altro non erano che posizioni opportuniste e reazionarie “di destra” goffamente mascherate, che andavano perciò aspramente combattute. A partire da Trotzky (v.), furono accusati di settarismo coloro che non erano d’accordo con la politica terzinternazionalista del fronte unico (v.), poi con quella del fronte popolare (v.), poi con quella se

guita durante la guerra di Spagna. Nel 1939 furono accusati di settarismo quanti manifestarono i loro dubbi di fronte al Patto di non aggressione russotedesco (v.). Nel corso della Seconda guerra mondiale, [...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 25

Brano: [...]potere. Le accuse miravano a colpire quanti, per il loro passato di ex combattenti in Spagna o di capi della Resistenza, o per le posizioni politiche assunte si rivelavano espliciti o potenziali avversari della costruzione di un “campo socialista” rigidamente subordinato all’Unione Sovietica nell’Europa divisa dalla guerra fredda. I processi, tutti conclusi con condanne a morte o a lunghi periodi di detenzione, furono un duro colpo inferto dallo stalinismo (v.) contro ogni tentativo di elaborazione di “vie nazionali” al socialismo.

Due anni dopo la morte di Stalin, in una riunione svoltasi il 78.6.1955, la Direzione del Partito comunista ungherese decise di riabilitare la memoria di Rajk, ma tale riabilitazione fu resa pubblica soltanto il 27.3.1956. La notizia venne data durante un discorso dallo stesso Rà

kosi che aveva avuto una parte di primo piano nel liquidare i suoi compagni di partito.

I funerali di stato di Rajk, imposti dalle forti pressioni popolari che esigevano la piena riabilitazione di tutti coloro che erano stati ingius[...]

[...]C.U.S.), di fronte alla crescente opposizione del paese, entrato ormai in rivolta, il Comitato centrale del Partito comunista ungherese decise di sollevare Ràkosi dalle cariche di primo segretario e di membro deH’Ufficio politico « per non essersi adeguato alle conclusioni del XX Congresso del Partito comunista dell’Unione sovietica ». Nel 1958 Nikita Krusciov accuserà pubblicamente Ràkosi di essere stato il maggior responsabile, a causa del suo stalinismo (v.), dell’insurrezione scoppiata due anni prima.

Odiato quanto pochi altri in patria per la crudeltà e l’arroganza, nel 1956 venne privato di ogni carica. Esule in U.R.S.S., vi trascorse oscuramente gli ultimi anni della sua esistenza.

Rakovsky, Kristian Georgievic

Rakó. N. a Gradec (Bulgaria) l’1

25



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol IV (N-Q), p. 361

Brano: [...]o critico (e autocritico) su quello che viene sommariamente definito « socialismo reale » e il libro si conclude con l'affermazione che occorre un « internazionalismo nuovo », fondato sempre sul reciproco sostegno tra paesi socialisti, ma al tempo stesso rispettoso della sovranità, dell'autonomia, della specificità storica e nazionale di ognuno, il che non è evidentemente accaduto in Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia e altrove. Il problema dello stalinismo appare a Gian Carlo Pajetta ancora « insolubile »: « Si poneva quindi il problema dei dispotismo in una società senza classi e nel partito stesso della classe operaia [...] Ma perché e come si era arrivati al dispotismo? Non riuscimmo né allora né poi ad affrontare il problema fino al fondo» (pag. 74). E ancora: « Di fronte ad alcuni dei problemi posti allora, io personalmente non potrei rispondere, in tutta onestà, se non che per l’immediato paiono insolubili [...] Ci troviamo di fronte a problemi che restano ancora da affrontare perfino nel giudizio storico. È ancora insoluto il problema di[...]

[...]iuscimmo né allora né poi ad affrontare il problema fino al fondo» (pag. 74). E ancora: « Di fronte ad alcuni dei problemi posti allora, io personalmente non potrei rispondere, in tutta onestà, se non che per l’immediato paiono insolubili [...] Ci troviamo di fronte a problemi che restano ancora da affrontare perfino nel giudizio storico. È ancora insoluto il problema di come la forza, la presenza, l'autorità di Stalin si siano trasformati nello stalinismo » (pag. 75).

E.Ni.

aveva già subito alcuni giorni di carcere per essersi schierato in una manifestazione con alcuni disoccupati.

Dopo un breve soggiorno in Francia, all’inizio del 1932 fu inviato alla Scuola leninista di Mosca che frequentò fino alla metà del 1933; lavorò quindi come attivista nel KomsomoI in Ucraina e in Crimea fino all’autunno del 1934, quando tornò in Francia. Qui venne incaricato della direzione dei gruppi giovanili comunisti italiani e, fino alla fine del 1936, fu membro della Segreteria dei gruppi di lingua italiana del P.C.F. accanto a Luigi Longo, Teresa Noce[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine stalinismo, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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