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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 859

Brano: [...]logi quali Fausto Torrefranca, tesi a sprovincializzare la musica italiana inserendola in una dimensione europea, saranno destinati in parte a fallire proprio a causa di un miope e malinteso nazionalismo.

Il culto del superuomo di derivazione nietzschiana e dannunziana, del genio, dell’eroe che forgia la propria vita come un’opera d’arte elevandosi al di sopra delle mediocrità dei suoi simili, trovava riscontro, nella concezione dei critici e musicisti citati, in quello della « supernazione » destinata ad adempiere ai suoi « luminosi destini ». Pertanto anche la polemica condotta dal Torrefranca contro la opera verista (in Puccini e l’opera internazionale), nonostante certi suoi meriti era inficiata dal superomismo spiritualistico del musicologo che proiettava, contro l’opera di Giacomo Puccini, il proprio disprezzo per i banali sentimenti piccoloborghesi.

L’avversione nei confronti della meschinità di una vita comune e l’odio contro il « plebeo » nell’arte e nella vita, che risentivano inevitabilmente dei contemporanei proclami irredent[...]

[...]nostante certi suoi meriti era inficiata dal superomismo spiritualistico del musicologo che proiettava, contro l’opera di Giacomo Puccini, il proprio disprezzo per i banali sentimenti piccoloborghesi.

L’avversione nei confronti della meschinità di una vita comune e l’odio contro il « plebeo » nell’arte e nella vita, che risentivano inevitabilmente dei contemporanei proclami irredentistici destinati a sfociare nell’impresa libica, accomunavano musicisti e musicologi fino a colorarsi di un esplicito antisocialismo.

Era inevitabile che questa ideologia nazionalistica (si pensi al Torrefranca che non esitava a proclamare l’Italia culla del sinfonismo sonatistico e a vedere in Piatti un precursore di Beethoven) si traducesse in chiusura e incomprensione verso le diverse esperienze musicali europee, daH’impressionismo francese alle prime ricerche atonali della scuola viennese: l’Italia non doveva essere culturalmente asservita agli stranieri, ma costituirsi un linguaggio peculiare e inconfondibile. Questa idea, comune a musicisti e a critici d[...]

[...] al Torrefranca che non esitava a proclamare l’Italia culla del sinfonismo sonatistico e a vedere in Piatti un precursore di Beethoven) si traducesse in chiusura e incomprensione verso le diverse esperienze musicali europee, daH’impressionismo francese alle prime ricerche atonali della scuola viennese: l’Italia non doveva essere culturalmente asservita agli stranieri, ma costituirsi un linguaggio peculiare e inconfondibile. Questa idea, comune a musicisti e a critici dopo il 1910, unita alla retorica nazionalistica della « italica virtù » e degli « eterni valori della stirpe », doveva indurre gli artisti a volgersi al passato strumentale italiano preottocentesco se non addirittura, come nel caso di Ildebrando Pizzetti, al recupero del gregoriano e delle antiche modalità grecolatine.

La difesa della tonalità contro il dissolvimento tonale debussyano di Schoenberg acquistava così un preciso significato ideologico e contenutistico, tanto che nel 1914 Pizzetti, in un suo saggio su Schoenberg, rimproverava a quest’ultimo « una troppo ristretta [...]

[...]ro del gregoriano e delle antiche modalità grecolatine.

La difesa della tonalità contro il dissolvimento tonale debussyano di Schoenberg acquistava così un preciso significato ideologico e contenutistico, tanto che nel 1914 Pizzetti, in un suo saggio su Schoenberg, rimproverava a quest’ultimo « una troppo ristretta e piccola intuizione della vita » che non gli per

metteva di essere « né uomo felice né eroe ».

In quegli stessi anni anche musicisti futuristi quali Luigi Russoio e Balilla Pratella, apparentemente lontani dalla ricerca spiritualistica ed estetizzante di Pizzetti e del suo gruppo, finivano a questi apparentati dalla comune smania nazionalistica. Mentre nel 1913 il « Manifesto futurista » di Russoio invitava i musicisti a uscire dal regno dei suoni puri per accogliere nelle loro opere i suonirumori, preludendo a una tematica che sarà ripresa solo molto più tardi dai musicisti elettronici, le intuizioni altrettanto geniali di Pratella venivano distorte da un esasperato nazionalismo che affidava alla « razza » italiana una missione imperialistica. L’elemento nuovo in Pratella era l’invito all’uso del canto popolare e del folklore nazionale.

Ciò che importa qui sottolineare è il fatto che in ogni caso, al di là delle pur grandi differenze, l’identica matrice nazionalistica di questi musicisti operanti prima della Grande guerra ne favorì un perfetto inserimento nel regime fascista: Pizzetti sarà infatti uno dei compositori favoriti dal regime, fino a ricevere nel 1932 il « Premio Mussolini ».

Anche i musicisti futuristi, ben presto esaurita la carica innovatrice, non faranno fatica ad adeguarsi al clima politico e culturale del governo mussoliniano: Luigi Russoio nel 1932 abbandonerà le ricerche che l’avevano portato a ideare diversi strumenti produttori di rumori e si dedicherà definitivamente alla pittura; Balilla Pratella, direttore con D’Annunzio, Pizzetti e Gian Francesco Malipiero della Biblioteca musicale nazionale italiana, si dedicherà soprattutto allo studio del folclore romagnolo.

Non a caso, del resto, anche in campo politico molti tra i più importanti personaggi fascisti, quali il C[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 860

Brano: [...]liore realizzazione nella « Donna serpente» (192831), opera tratta dalla fiaba di Gozzi.

La musica del regime

Se con la sua opera di musicista e di organizzatore Casella rappresentava uno degli aspetti meno arretrati della ottusa cultura del ventennio, nella quale si deve comprendere anche Mascagni (v.), è chiaro che dal canto suo il regime appoggiava ufficialmente le ali più conservatrici e reazionarie.

Nel 1927, ricevendo un gruppo di musicisti italiani, il « duce » volle mostrarsi sostenitore della composizione e dell’esecuzione di nuove opere e garantire il suo appoggio personale alla « musica moderna ». Tra i musicisti del gruppo ammesso a Palazzo Venezia figuravano, oltre a un Pizzetti sempre più reazionario (tra l’altro, nel 1925 era stato firmatario del « Manifesto della cultura fascista »; v. Cultura e fascismo), Adriano Lualdi, Franco Alfano e Alceo Toni che metteranno la loro mediocre personalità al servizio del regime, sposandone le scelte in campo musicale. Non a caso mancava in quella delegazione Casella: il compositore torinese faceva pur sempre parte di un'« intellighenzia » che ben Io distanziava dall'ottusità di un Toni. Sarà ancora una volta Pizzetti a farsi portavoce delle istanze più conserv[...]

[...]e torinese faceva pur sempre parte di un'« intellighenzia » che ben Io distanziava dall'ottusità di un Toni. Sarà ancora una volta Pizzetti a farsi portavoce delle istanze più conservatrici, firmando appunto con Toni (critico musicale del « Popolo d’Italia» dal 1920 al 1943) un Manifesto antimodernista poi apparso sulle pagine del « Corriere della sera ».

Ma per avere un’idea delle posizioni bassamente nazionalistiche e razziste del gruppo di musicisti di cui si è detto, saranno sufficienti alcuni brani tratti dal libro L’arte di dirigere l’orchestra di Adriano Lualdi, compositore, direttore d’orchestra, critico musicale e infine deputato fascista.

In questa sua opera (Milano 1940) Lualdi lamenta « il dilagare in Italia (e il vano tentativo di imporli al gusto italiano) di nomi e di musiche i più ostrogoti e barbarici — mai barbaro ebbe per noi, come in questo caso, più assoluto classico significato di straniero, intollerabilmente straniero — e delle loro imitazioni nostrane ». Egli esaltava nel contempo « quei musicisti italiani, quegli[...]

[...]ositore, direttore d’orchestra, critico musicale e infine deputato fascista.

In questa sua opera (Milano 1940) Lualdi lamenta « il dilagare in Italia (e il vano tentativo di imporli al gusto italiano) di nomi e di musiche i più ostrogoti e barbarici — mai barbaro ebbe per noi, come in questo caso, più assoluto classico significato di straniero, intollerabilmente straniero — e delle loro imitazioni nostrane ». Egli esaltava nel contempo « quei musicisti italiani, quegli aftisti militanti che, in mezzo al caos, si mantennero fedeli per istinto, per naturale impulso dell’animo all’antico ideale nazionale e latino dell’arte nostra: indifferenti alle lusinghe, agli stupefacenti di questa o quella Circe parigina o americana o austriaca o aleman

Da sinistra: i musicisti Lorenzo Perosi, Pietro Mascagni e Umberto Giordano, membri deH’Accademia d’Italia (1932)

na [...] quegli artisti italiani che per trent’anni, in mezzo al dilagare internazionale ateo e nichilista nel campo dell’arte, furono come le ignorate e talvolta derise vestali del sacro nostro ideale nazionale ». Non meno significativi improperi il Lualdi dedicò alla rivista II Pianoforte, fondata nel 1920 da Guido Maria Gatti, definendola: « La compiacente rivista intorno alla quale si raggruppano tutti i tifosi delle brutte musiche, e i soci e i simpatizzanti nostrani dell’Internazionale atea e bol[...]

[...]sulla « Rassegna Musicale », lasciando ai Ronga, ai Parente e ai Pannain, poi ai Massimo Mila (v.), ai Mantelli e ai Bal

lo il compito di diffondere il loro messaggio di libertà spirituale, anche se di una libertà intesa solo come non ingerenza del regime nella sfera dell'arte e della cultura, idealisticamente considerate separate dalla vita.

Va tuttavia aggiunto che, più o meno vilipese e stroncate dalla critica ufficiale, alcune opere di musicisti stranieri contemporanei (Stravi nsky, Hindemith, Bartók, Milhaud, Honegger, Prokofiev) trovarono sporadica collocazione nei programmi concertistici almeno fino al 1935, anno in cui i freni divennero più stretti per la proibizione, tipicamente fascista, di eseguire musiche di autori appartenenti alle nazioni che avevano proclamato le sanzioni contro l’Italia.

Alla crescente brutalità del governo fascista cominciarono a contrapporsi apertamente i più consapevoli: nel 1935 il critico musicale Massimo Mila che aveva già conosciuto il carcere nel 1929, fu nuovamente arrestato e condannato. Quat[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 862

Brano: Musica e fascismo

e cominciò a prendere coscienza dei problemi storici, civili, sociali. Soprattutto al Rognoni si dovette la precoce intuizione dell’importanza della scuola espressionistica (subito dopo la Seconda guerra mondiale), la diffusione delle opere di Schoenberg, Berg e Webern attraverso la radio (di cui curava le trasmissioni per il Terzo programma) e in teatro.

Quanto ai musicisti, saranno soprattutto Luigi Dallapiccola (n. 1904) e Goffredo Petrassi (n. 1904) a proporre un linguaggio alternativo di fronte a quello restaurativo di Casella, e a far partecipe la propria musica di un nuovo impegno umano drammaticamente sofferto, con al centro la liberazione dell’uomo.

Dallapiccola e Petrassi

Partito da posizioni ancora vicine al neoclassicismo, Luigi Daliapiccola le abbandonò presto per abbracciare il sistema dodecafonico, più consono al suo pessimismo come espressione di caos e di lacerazione esistenziale, restandovi fedele fino alle ultime composizioni. Tale sistem[...]

[...]931; Antologia della Rassegna musicale, a cura di Luigi Pestalozza, Milano 1966.

R.F.T.

Musica e Resistenza

Gli anni della Seconda guerra mondiale e delia resistenza armata al fascismo, se conobbero una certa fioritura di musica popolare e di canti ispirati alle speranze e agli ideali della lotta di liberazione (v. Inni e canti della Resistenza), non videro altrettanto per ciò che concerne la musica cosiddetta colta. In questo periodo i musicisti integrati nei regimi politici dell’Italia e della Germania, o comunque non sensibili ai gravi problemi del momento, continuavano a scrivere musica secondo gli schemi più o meno aulici del neoclassicismo, mentre gli artisti più consapevoli dei tragici eventi in corso, quindi più inclini a riflettere nelle loro opere l’angoscia e le atrocità della guerra, delle persecuzioni e della dittatura, vennero costretti all’esilio o messi a tacere.

Non si può quindi a stretto rigore parlare di « musica della Resistenza » in quanto, salvo rarissimi casi, non risulta composta in quegli anni nessuna oper[...]

[...]peranza nel trionfo della ragione e della pace sulle forze distruttrici. Soprattutto nel primo tempo l'orchestra, attraverso contrasti violenti e aspre sonorità, allude alla brutalità dei bombardamenti sulla città assediata; nel finale, l'atmosfera si distende e le tensioni si allentano, con l’inserzione di modi popolari che illustrano la speranza della ricostruzione pacifica dopo la vittoria sull'invasore.

Negli anni del dopoguerra non pochi musicisti di varie scuole e tendenze si sono ispirati a episodi della Resistenza europea. La pausa di riflessione e anche il diffondersi della conoscenza più precisa dei fatti, insieme alla meditazione sui valori che avevano ispirato la

lotta popolare liberatrice favorirono indubbiamente la fioritura di composizioni in vario modo ispirate alla Resistenza e alla guerra. In ordine di tempo e forse anche di importanza va ricordato anzitutto A survivor from Warsaw (Un sopravvissuto di Varsavia) di Arnold Schoenberg, per voce recitante, coro maschile e orchestra, composto nel 1947 con testo inglese.

I[...]

[...]del ghetto di Varsavia, Schoenberg affida alla voce recitante la rievocazione dei momenti tragici del risveglio degli ebrei nel ghetto, gli squilli di tromba dei soldati nazisti, l'avvio verso la camera a gas, il canto dei condannati che intonano all'unisono l'antica preghiera Scemà Israel, inno di fede che il crudo frantumarsi del tessuto strumentale sempre sul punto di sommergerlo trasforma in un canto di morte senza speranza.

Tra i giovani musicisti va ricordato

il compositore polacco Penderecki, autore di Threni alle vittime di Hiroshima (1961), per 52 archi, e di Dies irae (1967), oratorio per soli, coro e orchestra composto in memoria delle vittime di Auschwitz: in queste opere i temi della guerra sono ricordati con un linguaggio di avanguardia, ma denso di ricordi e di allusioni alla liturgia e al rituale religioso cattolico.

In Italia

Tra i musicisti italiani delle nuove generazioni del dopoguerra, Luigi Nono è forse quello che si è mostrato più sensibile ai valori della Resistenza europea, pur senza rinunciare dal punto di vista musicale ai più aggiornati procedimenti dell’avanguardia postweberniana.

Il suo Canto sospeso per soli, coro e orchestra, composto nel 1956, rappresenta ancor oggi una delle opere più riuscite in questo campo.

Scritta su lettere di condannati a morte della Resistenza europea, la vasta composizione si articola in nove sezioni. Dopo un'introduzione orchestrale lontana da ogni retorica, i testi vengono cantati[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 861

Brano: Musica e fascismo

di dirigere in Italia ed estenderà la sua opposizione al nazismo, nonostante l’invito personale di Hitler a tornare a Bayreuth. In quel clima, non era poco merito per la « Rassegna » ignorare le disposizioni del 1935 discriminanti i musicisti delle nazioni che avevano votato le sanzioni contro l’Italia fascista, e le ignobili leggi razziali che colpivano i musicisti ebrei, continuando a fornire critiche, recensioni, notizie sia degli uni che degli altri.

Quanto più soffocante e oppressivo si faceva il clima interno, tanto più

il regime si sforzava di estendere in campo internazionale l’immagine di un’Italia felice, forte ed efficiente: aH’attivissimo Casella si dovette così, nel 1930, l’istituzione del Festival internazionale di musica contemporanea di Venezia, che egli stesso diresse fino al 1936 insieme a Lualdi, per poi subentrare a quest'ultimo nel 1937. Nel 1938, l’inclusione della Suite op. 29 di Schoenberg nei programmi della quinta manifest[...]

[...]glie ebrea del musicista torinese, giunse a rinfacciargli il suo « giudaismo ».

Secondo il Santoliquido, giornalista del « Tevere », « l'arte moderna era un’invenzione giudaica », e « quest'arte era stata introdotta in Italia da Casella naturalmente corrotto dai sentimenti ».

Gian Francesco Malipiero

Nonostante che l’attività creativa di Gian Francesco Malipiero si svolgesse in Italia contemporaneamente a quella di Casella e degli altri musicisti nominati, l’esperienza specifica farà acquisire a questo artista un posto a parte nella cultura musicale di quegli anni.

Figura solitaria e appartata, il veneziano Malipiero (n. nel 1882) fu l’unico compositore della sua generazione a sottrarsi all’ideologia nazionalistica imperante negli ambienti musicali italiani tra le due guerre. Il suo isolamento nella casa di Asolo non rappresentava so

lo il rifugio di una natura schiva, ma un reale atteggiamento polemico nei confronti di tanti artisti datisi, per arrivismo o per ottusità politica, alla diffusione degli « ideali » fascisti. Tutte [...]

[...]a tradurla in deliberato intervento politico, Malipiero seppe contrapporre alla sottocultura del regime la superiorità di uno spirito libero, indipendente e deciso a non farsi strumentalizzare. Tra i pochi critici disposti a comprenderlo, vi furono il Gatti e più tardi Luigi Rognoni.

La sua fu un'esperienza isolata, anche se il suo atteggiamento antiretorico nei riguardi dell'arte e della vita influenzò in qualche modo le nuove generazioni di musicisti che si affermarono dal 1935 in poi.

Nuovi orizzonti

La revisione dell’estetica idealistica compiuta dopo il 1935 da parte di critici e musicologi come il Mila che pure avevano fatto del crocianesimo il loro punto di partenza, nonché lo stimolo esercitato da Rognoni, un critico di diversa provenienza ideologica che iniziò a collaborare alla « Rivista Musicale Italiana » a partire dal 1936, ebbero l’effetto di risvegliare la vita musicale italiana cristallizzata nel neoclassicismo accademico e di aprirle nuovi orizzonti.

Il crocianesimo ortodosso aveva ormai dato fondo alle sue risorse[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 858

Brano: [...]smo nell'arte

La retorica esaltazione dell’impero romano ebbe formulazione dottrinaria negli scritti di Papini e Prezzolini, sul « Leonardo » e sulla « Voce », e in quelli di Enrico Corradini sul « Regno ». Se i letterati, da Gabriele D'Annunzio a Filippo Tommaso Marinetti, nelle loro opere si fecero interpreti di queste istanze della borghesia, gli ambienti musicali non furono da meno, partecipando ai fermenti nazionalistici nella persona di musicisti e critici che unirono le loro voci al dibattito artistico e letterario delle avanguardie.

All’inizio del secolo la situazione musicale italiana era caratterizzata dalla presenza di una élite di musicisti tesi a riscattare la musica dalle formule consunte del melodramma ottocentesco, e da una base molto più vasta che invece in quelle formule continuava a riconoscersi. Ma anche gli sforzi compiuti da musicisti quali Ildebrando Pizzetti, Ottorino Respighi, Giannotto Ba

858



da [La grande Pasqua russa Ouverture op 36 / Nicolai Rimsky-Korsakof . Una notte sul monte Calvo / Modesto Mussorgsky . Capriccio spagnolo op 34 / Nicolai Rimsky-Korsakof . Nelle steppe dell'Asia centrale / Alexander Borodin], p. 2Copertina (Disco vinile

Brano: [...]Opera di Lione e dì Parigi. Nel 1949 è stato nominato direttore dell'Orchestra della Società dei Concerti del Conservatorio di Parigi. Verso la metà del secolo XIX, a Pietroburgo, cinque compositori dilettanti si ritrovavano per discutere di questioni ertistiche, conoscere le reciproche opere e criticarle. Fu l’inizio della Scuola dei Cinque, della quale fecero parte, ol* tre ai promotori: Balakiref e Cesare Cui, tre interessanti temperamenti di musicisti : Mus* sorgsky, prima militare poi piccolo impiegato, spirito eccezionalmente musicale, intuitivo, sognatore, esuberante ; Borodin, « il miglior chimi* co tra i musicisti e il miglior musicista tra i chimici », pieno di sorridente bonomia; RimskyKorsakof, gran viaggiatore e insegnante, mente « larga e profonda ». Sarà quest’ultimo che, nel 1889, a Parigi, dirigerà due concerti della Scuola dei Cinque, sollevando entusiastiche ovazioni. La Grande Pasqua russa — L’ouverture « do* menicele » delle Sente Feste, fu il primo tìtolo che l'autore diede elle Grande Pesque russa, delle quele iniziò le composizione durante le vacanze del 1888, nelle sue proprietà di Luge. L’opera è dedicete alla memoria di Mussorgsky e di Borodin. I temi sono ispirsti alla musica delle l[...]



da [Quintetto della Trota in La maggiore opera 114 ; Tempo di quartetto in Do minore opera postuma / Franz Schubert], p. 2Copertina (Disco vinile

Brano: [...] anni dopo il « Quintetto della Trota ».

Schubert scrisse il quintetto durante un viaggio d’estate a Steyr nell'Australia superiore, viaggio che aveva intrapreso in compagnia di Johann Michael Vogl (17681840), il cdebre baritono dell’opera di corte di Vienna, ed interprete fedele di Schubert, era nativo di Steyr. L’amena cittadina era sede di una fiorente industria del ferro, die le assicurava una certa agiatezza. Steyr ha dato i natali a due musicisti di grande fama: Johann Michael Vogl e Franz Xaver Siissmayer (17661803) die portò a termine il Requiem di Mozart.

Steyr piacque molto a Schubert. Egli scrisse a suo fratello: «I dintorni di Steyr sono superiori ad ogni immaginazione. Nella casa dove alloggio vi sono 8 ragazze quasi tutte belle. Come vedi c'è molto da fare! ». Oltre alle passeggiate nei dintorni e la vita di sodetà, la musica non fu mai da lui trascurata. Il centro dell’attività artistica di Schubert era la casa di Sylvester Paumgartner (17631841), direttore delle acciaierie, presso cui si concentrava la vita musicale di St[...]

[...]loggio vi sono 8 ragazze quasi tutte belle. Come vedi c'è molto da fare! ». Oltre alle passeggiate nei dintorni e la vita di sodetà, la musica non fu mai da lui trascurata. Il centro dell’attività artistica di Schubert era la casa di Sylvester Paumgartner (17631841), direttore delle acciaierie, presso cui si concentrava la vita musicale di Steyr. L’amico di Schubert, Alberto Stadler (17941884), elogia Paumgartner come mecenate per eccellenza dei musicisti. « Agiato e scapolo viveva tutto solo nella casa di sua proprietà. Il primo piano era adibito a suo appartamento con una sala di musica, decorata da lui stesso, per lo studio quasi giornaliero e per piccoli trattenimenti serali. Il secondo piano era un salone ornato con emblemi dell’arte, dedicato a manifestazioni più importanti e più frequentate. In questi ambienti d entusiasmavano le musiche di Schubert e Vogl.... Dove per il silenzio che vi regnava si poteva sentir cadere uno spillo. Paumgartner non tollerava, durante l’esecuzione, il benché minimo rumore. Dopo, però, gli ospiti erano larg[...]



da [Sinfonia in Si bemolle maggiore No 1 opera 1 / Igor' Fëdorovič Stravinsky . Sinfonia per piccola orchestra No 1, Le Printemps / Darius Milhaud. A Simple Symphony opera 4 / Benjamin Britten], p. 2Copertina (Disco vinile

Brano: [...]durata sia per la composizione dell'orchestra, e scoprono una nuova tendenza nata in Francia. Uno dei precursori di questa tendenza fu uno strano tipo, un francese bohémien della più bella acqua, un vero personaggio da romanzo: Eric Satie. Fu senza dubbio una personalità geniale, anche se in tutta la sua vita non riuscì mai a far altro che suonare il pianoforte nei locali parigini I A lui fece capo il circolo rivoluzio* nario di quei sei giovani musicisti francesi i cui rappresentanti più importanti sono: Milhaud, Poulenc e Honegger (il quale, benché svizzero, appartiene al gruppo parigino). Tra I « sei » e Jean Cocteau esistono stretti legami spirituali.

Quando Milhaud entrò a far parte del gruppo, che tendeva a un completo rinnovamento della musica francese e reagiva all'impressionismo di Debussy, aveva già scritto una serie di opere, fra le quali le già citate sinfonie in miniature. La prima di queste « La Primavera », é quella qui registrata, è stata composta nel 1917 a Rio de Janeiro. Non ha nulla di brasiliano, e questo è strano perch[...]



da [L'estro armonico / Antonio Vivaldi], p. 3Copertina (Disco vinile

Brano: [...]anto molto unito, accompagnato discretamente, ma non senza accento ritmico, dal « tutti » in valori puntati, « piano » e « pianissimo ».

l*« Estro Armonico » occupa un posto a sé nella produzione di Vivaldi, fi dalla sua pubblicazione, e probabilmente anche solo dalla sua divulgazione quando era in manoscritto, che data la prima fiammata di gloria del Prete Rosso.

L'opera dev'essere stata pubblicata nel 1712, ma è facile supporre che molti musicisti ne venissero a conoscenza prima. Il principe GiovanniErnesto di Sassonia, fervido musicofilo, morto prematuramente nel 1715, aveva scritto numerosi concerti di concezione cosi vivaldiana che, fino all'inizio del Novecento, erano stati attribuiti allo stesso Vivaldi. Per essere impregnato a tal punto di questo modo di pensare e di scrivere, il principe di Sassonia doveva aver conosciuto ed eseguito per anni la musica di Vivaldi. E cosi J. S. Bach, che durante il soggiorno a Weimar trascrisse per clavicembalo solo il n. 3 (trasportandolo da sol maggiore a fa maggiore), ’

Il n. 9, il n. 12 (t[...]



da [Il cimento dell'armonia e dell'invenzione opera 8 ; Concerti per viola d'amore e orchestra opera 25 / Antonio Vivaldi], p. 2Copertina (Disco vinile

Brano: [...]a s’impone Immediatamente all’ascoltatore. Come forma, questi lavori seguono la struttura di quasi tutti 1 concerti per violino di Vivaldi: vi è sviluppata Infatti la parte del solista contro ia massa degli strumenti a corda dell’orchestra, ed è questa la grande Innovazione che Vivaldi ha portato nello svliuppo del concerto per strumento solista.

Louis Kaolman, che II New York Tlmet ha deAnlto « 11 violinista del violinisti e II musicista del musicisti », detiene una posizione unica fra 1 virtuosi contemporanei. Oltre alle sue belle esecuzioni di favori del repertorio normale, ha compiuto anche un lavoro da pioniere nella ricerca e nell’esecuzione di musiche poco conosciute di Vivaldi, Torelli ed altri maestri dell’epoca barocca italiana.

Johan van Helder ha studiato al Conservatorio di Amsterdam. Molto noto In Europa come virtuoso della viola d’amore, si è spedalizzato nella musica da camera oltre che nella letteratura orchestrale per 11 suo Insolito strumento. Si esibisce spesso in concerti ed in esecuzioni per la radio olande—.

v e[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine musicisti, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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