Brano: [...]o) aveva accettato il carattere morale della lotta antifascista, vedendo — però — nella " questione morale " non una semplice determinazione delle singole responsabilità dei capi fascisti in questo o in quell’assassinio, ma tutto il problema della ” liberazione ” del popolo italiano, della sua cosciente partecipazione alla vita politica. La vittoria della battaglia antifascista voleva dire per questi giovani la liberazione del proletariato dalle ideologie riformiste e corporativiste; l’entrata delle grandi masse contadine sulla scena politica e la loro partecipazione attiva e autonoma nella vita nazionale: l’abbandono da parte della piccola borghesia del vecchio abito spirituale, fatto di ipocrisia, di scetticismo, di meschino egoismo personale. In queste loro aspirazioni essi volevano riattaccarsi, compendiandoli e superandoli in un’unica nuova esperienza politica, ai movimenti liberali dell’anteguerra: al sindacalismo antiriformista e meridionale; al

l'Unità di Salvemini; al movimento vociano. ...Nel seno dell’Aventino avevano rappresenta[...]

[...]proletaria, inserirci nel lavoro rivoluzionario del proletariato. ...L'autunno del 1926 vede dunque le opposizioni democratiche in piena attività politica. Tuttavia questo sforzo di revisione è già compromesso dal tentativo di cristallizzare il processo di disgregamento intorno ad una nuova formula: quella dell'unità repubblicana. Lo sforzo di autocritica viene deviato dal suo logico sviluppo. I peggiori avventurieri, i più abili manipolatori di ideologie, i Nenni, i Labriola, sono mobilitati per la manovra. Il P.C.I. tuttavia raggiunge risultati non trascurabili, radunando intorno a sé molte energie, con una tattica aperta di fronte unico proletario. Specialmente sul terreno della questione agraria, il P.C.I. fissa un momento importante del suo sviluppo come partito dirigente della rivoluzione antifascista.

...Il nuovo periodo apertosi con il 1927, ci presenta tutta la borghesia italiana stretta intorno al fascismo, che le assicura la realizzazione dei due compiti necessari: la pressione economica sulle classi lavoratrici, che devono pagar[...]

Brano: [...]erta (1945) e Paisà (1946) furono, ; in questo senso, i suoi film più compiuti. Il primo narra di un ingegnere comunista e di un parroco uccisi dai nazisti perché si battono per la stessa causa, ma in nome di ideali diversi. Il secondo, articolato in sei episodi, è un epico affresco sulla guerra che sconvolge la penisola. Dalla Sicilia alla pianura padana Rossellini sa cogliere la tragicità profonda dei fatti, il conflitto dei sentimenti e delle ideologie, il martirio deH’uomo.

Queste opere furono il frutto di una felice simbiosi tra maturità espressiva artistica e presa di coscienza morale e intellettuale. L’esperienza bellica è guardata spoglia di dati retorici o eroici. Le scelte artistiche (fotografia documentaria, ambienti naturali, gente presa dal vero) sono espressione di un’opera di demistificazione della aggettivazione eroica della guerra. Il cinema d’azione gli era servito per un’esaltazione vitalisticoromantica deM’awentura nei suoi film fascisti; ma il cinema della verità gli permise di cogliere il tragico della stessa esperienz[...]

[...]azione eroica della guerra. Il cinema d’azione gli era servito per un’esaltazione vitalisticoromantica deM’awentura nei suoi film fascisti; ma il cinema della verità gli permise di cogliere il tragico della stessa esperienza bellica. Rossellini la universalizzò. Attraverso una esemplificazione su tipi umani diversissimi egli seppe cogliere la coralità profonda di un evento che aveva sconvolto esseri appartenenti a classi sociali, fedi religiose, ideologie contrastanti. Preti e comunisti, ufficiali americani e tedeschi fanno tutti parte di un identico destino, che li travolge e a cui possono solo opporre ragioni individuali, umane. Non lo interessa tanto la giustezza, in astratto, delle loro « scelte », quanto il recupero della dignità umana.

Privo di una ragione ideologica giudicante, Rossellini presenta quindi senza schematizzazione la figura del « nemico ». I suoi tedeschi lo sono non In virtù di un giudizio politicoideologico, quanto per una specie di metastorica personificazione delle forze

Vittorio De Sica in « Il generale Della Rov[...]

Brano: [...] sue prime opere (/ cavalli bianchi, 1905; Lanterna, 1907). Nel 1909 aderì al futurismo.

La sua produzione « avanguardista » si espresse in quegli anni con L’in

cendiario (1910) e con I’« antiromanzo » Il codice di Perelà (1911) che ha come protagonista un uomo di fumo. Il suo sovversivismo avanguardistico era più di tipo letterario che politico, caratterizzato dalla ricerca di uno spazio di gioco e di irresponsabilità da contrapporre alle ideologie. Non a caso, pur aderendo al movimento futurista, se ne distanziò politicamente nelle scelte principali: non fu interventista, rifiutava la guerra con posizioni neutraliste e antibelliciste. E anche il suo richiamo all’atto eversivo e rivoluzionario tendeva a sciogliersi, volontariamente, nell’ingenuo e nel primitivo, nell’esaltazione dell’infanzia contro i valori della società borghese. In quel ricupero del gioco e del vitalismo non c’erano solo la regressione e la paura nei confronti della vita sociale, ma anche una critica della civiltà capitalistica. Si è parlato, nei suoi riguardi, di « [...]

[...]ionario tendeva a sciogliersi, volontariamente, nell’ingenuo e nel primitivo, nell’esaltazione dell’infanzia contro i valori della società borghese. In quel ricupero del gioco e del vitalismo non c’erano solo la regressione e la paura nei confronti della vita sociale, ma anche una critica della civiltà capitalistica. Si è parlato, nei suoi riguardi, di « anarchismo moderato » per caratterizzare il senso culturale e politico di quel rifiuto delle ideologie e di quel vitalismo che si manifesta nell’artegioco di Palazzeschi.

Al periodo avanguardistico seguì in Palazzeschi, negli anni del regime fascista, il passaggio dalla poesia alla prosa. Fu come se la guerra e il fascismo avessero soffocato in lui ogni possibilità di « gioco »

o « avventura », dell’arte come trasgressione. Ma quello che da alcuni critici verrà definito come il suo « ritorno all’ordine », non significava sottomissione ai valori dominanti di regime. Nei romanzi Sorelle Materassi (1934), ritenuto il suo capolavoro, e II palio dei buffi (1937) Palazzeschi, pur tornando al r[...]

Brano: [...][La miseria delio storicismo, 1944) che rimprovera a questa filosofia il suo carattere metafisico, culminante nella tesi di leggi “necessarie” del processo storico.

A. Man.

Gli abusi dello storicismo

Allo storicismo fanno frequente ricorso i difensori del capitalismo per confutare la validità della teoria marxiana della storia umana come “storia delle lotte di classe”, destinata a evolversi verso la società “senza classi”. Secondo certe ideologie correnti, la concezione di Marx non sarebbe altro che il prodotto di quella particolare fase storica che, nel secolo scorso, vide

il proletariato industriale scontrarsi frontalmente con la proprietà privata dei mezzi di produzione. Nella società contemporanea, definita postindustriale e caratterizzata dal fatto che i mezzi di produzione sono enormemente accresciuti, sì che la proprietà privata di essi è progressivamente sostituita da quella pubblica o statale, sarebbero venute meno le premesse della lotta di classe: di conseguenza, la concezione “classista” marxiana risulterebbe obsoleta, [...]

[...]oprietà privata dei mezzi di produzione. Nella società contemporanea, definita postindustriale e caratterizzata dal fatto che i mezzi di produzione sono enormemente accresciuti, sì che la proprietà privata di essi è progressivamente sostituita da quella pubblica o statale, sarebbero venute meno le premesse della lotta di classe: di conseguenza, la concezione “classista” marxiana risulterebbe obsoleta, superata dalla storia. Secondò queste stesse ideologie, il “fallimento del marxismo” sarebbe praticamente dimostrato anche dagli esiti negativi del cosiddetto “socialismo reale”, sfociato in forme di potere totalitario e con risultati produttivi inferiori a quelli del capitalismo.

Fin dagli anni Trenta Antonio Gramsci, pur ammettendo la “storicità” della “filosofia della prassi” (cioè del marxismo), ne contestava la riduzione di comodo operata dagli storicisti, secondo i quali esisterebbe un “regno della necessità” che rende vana e utopistica ogni prospettiva di passaggio al “regno della libertà”, cioè al comuniSmo. Al tempo stesso Gramsci seg[...]

Brano: [...]o della più rigida ufficialità e di una rigorosa selezione. Nondimeno i Littoriali avevano consentito a molti giovani, isolati nelle province, di riconoscersi e di stabilire i primi contatti.

Verso la Resistenza

A prescindere da ogni differenziazione ideologica dei singoli gruppi in gestazione (quelli di ispirazione cattolica e liberale vengono da più lontano, perché il regime ha in qualche modo tacitamente accettato il commercio di queste ideologie; più recenti gli orientamenti di dissidenza interna e quelli che si riallacciano, in ambito strettamente giovanile, a una matrice classica), i più organizzati e attivi tra essi tendono verso una caratterizzazione in senso unitario dei loro rapporti, sulla base della comune lotta al fascismo.

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Brano: [...]nsistenza delle formulazioni scientifiche che stavano alla base delle dottrine razziali (dopo essere stato combattente e partigiano, l'Oli velli cadrà nel gennaio 1945 nel campo di deportazione di Herzbruck, nel generoso tentativo di fare scudo a

un ebreo). Sul tema della razza maturò l’opposizione antifascista di Alfassio Grimaldi il quale, pur denunciando a un convegno interuniversitario del 1941 « l’asservimento della cultura italiana alle ideologie teutoniche », solo con l’entrata in guerra e i successivi sviluppi della situazione conquistò una completa autonomia, ritrovandosi più tardi nella Resistenza.

il movimento liberalsocialista

Nel 193940, abbandonate le vie dei Littoriali ormai rigorosamente controllate dal regime, diversi gruoDi di giovani, specialmente tra gli studenti, si orientarono ad agire «fuori » del fascismo. Tra questi, un posto considerevole fu occupato dal movimento liberalsocialista che, come quello cattolico, si rifaceva a una precisa tradizione, ponendosi come punto di riferimento la « religione della libert[...]

Brano: [...]favore dagli agrari e dagli industriali, i nuovi « sindacati » corporativi fascisti cominciarono a stipulare con il padronato, dovunque fosse possibile, nuovi accordi che intaccavano conquiste già precedentemente acquisite dai lavoratori. Dopo l’ascesa del fascismo al potere e dopo che, nel novembre 1923, il Gran Consiglio fascista ebbe constatato il crescente consolidamento delle corporazioni, le quali « allontanavano le masse lavoratrici dalle ideologie antieconomiche e distruttive del sociali

smo », fu concluso con la Confindustria (v.) un accordo generale (dicembre 1923) col quale le corporazioni le riconoscevano l’esclusiva rappresentanza degli industriali; le parti si impegnarono inoltre a « stringere sempre più cordiali rapporti tra i singoli datori di lavoro e i lavoratori e tra le organizzazioni sindacali ». Dopo che il fascismo si fu più saldamente installato, le corporazioni poterono concludere con la Confindustria un nuovo patto (2.10.1925), detto di Palazzo Vidoni (v.), nel quale le due organizzazioni si riconobbero come le sol[...]

Brano: [...]o movimento intellettuale apparso in Italia negli anni che vanno dal 1935 al 1943. Più o meno tutte le forze intellettuali che poi avrebbero partecipato alla Resistenza ne presero in vario modo Coscienza ed ebbero contatti con esso.

R.D.G.

Corriere degli Italiani

Quotidiano antifascista fondato a Parigi nel gennaio 1926, diretto da Giuseppe Donati (v.). Vi collaboramno Carlo Aprato, Odino Morgarif Mario Pistocchi e altri antifascisti di ideologie diverse.

Fondato con scarsi mezzi, il giornale non raggiunse una sufficiente tiratura né ebbe la pubblicità necessaria a mantenerlo ìn vita. Trovatosi ben presto carico di debiti, costretto a traslocare da una tipografia all altra, ad accettare finanzia

menti equivoci, finì per cadere nelle mani di Carlo Bazzi (v,), caporione di un ambiguo gruppo di ex fascisti fuorusciti, tra cui non mancavano provocatori e spie dell’Ovra (v.). Da quel momento (estate 1927) il quotidiano iniziò una violenta campagna (si presume ispirata dal fascismo e dalla polizia italiana) contro i dirigenti antifasc[...]

Brano: [...]vere ed hanno diritto di cittadinanza nel Regime, purché servano ciascuna dal suo punto di vista ad illustrare ed a spiegare il valore di questa idea che le accoglie e ne compone le discordie nella logica del suo sviluppo ». Il che non era in fondo altro che una conferma di ciò che a suo tempo aveva previsto Gobetti: che le idee « perdendo la loro dignità e autonomia sono ridótte a funzioni servili » e che quindi « per il fascismo le teorie sono ideologie piacevoli che bisogna improvvisare ^ subordinare alle occasioni ».

In definitiva, il fascismo chiedeva agli intellettuali di rinunciare più alla loro dignità che alle loro idee. Purché quest’ultime fossero svirilizzate e rese inoffensive, non avevano nulla da temere dal regime. Del resto bastava che la cultura indossasse la camicia nera durante le parate ufficiali, e sotto quell'unico colore poteva fiorire e svilupparsi tranquillamente il più variopinto pluralismo culturale. Dietro la facciata del totalitarismo tutte le tendenze filosofiche, letterarie e artistiche erano ammesse, più o men[...]

Brano: [...]e impiegati, da certa burocrazia statale, dalla piccola e media borghesia meridionale. La rete organizzativa era limitata al Mezzogiorno, ma si sviluppava in influenti ramificazioni tra l’alta burocrazia statale, negli Istituti parastatali assicurativi e tra i quadri delle professioni liberali.

Il programma

Il programma del partito, redatto da Bonomi e Ruini, era il risultato deH’amalgama dei diversi gruppi che vi erano confluiti con varie ideologie liberali, democratiche e laburiste. Si riallacciava a Mazzini, « che ebbe lo spirito religioso del lavoro; a Leonida Bissolati, che nei suoi ultimi anni cercò di fondere in una sola composizione i riformisti, i radicali e i democratico sociali; a Giovanni Amendola, che fu l’ideatore di quella che egli chiamava la nuova e più vera democrazia ».

Precisava di essere « per una repubblica parlamentare, liberale, democratica, temperata; non per una repubblica totalitaria e dittatoriale di consigli o sovieti », aggiungendo tuttavia di « non volere tornare alle fiacche democrazie del passato che n[...]