Brano: [...]re dal 192728 l’antifascismo alla Normale si espresse in modo autonomo, come volontà di non collaborazione e di opposizione al regime, seppure in gruppi ristretti. Vennero in questo periodo arrestati Vittorio Enzo Alfieri e Umberto Segre, ma l’opposizione al fascismo continuò ugualmente a diffondersi, grazie alla presenza di uomini come Aldo Capitini (v.), Carlo Ludovico Ragghiarti, Claudio BagJietto, Enrico Ah pino e Giuseppe Dessi. Gli impulsi antifascisti, cui contribuì l’insegnamento di Guido Calogero, continuarono a progredire, facendo della Normale un importante centro per la diffusione delle idee dell’antifascismo e per la formazione di quadri intellettuali che avrebbero man mano assolto a un ruolo sempre più importante nella lotta contro il regime e nella Resistenza,

Intorno al 1930 si ricostituì in città un gruppo di antifascisti, che cercò di darsi un assetto più stabile: attraverso il Soccorso rosso fu organizzata la solidarietà con i perseguitati politici e fu 'inoltre creata una sorta di biblioteca circolante, i cui volumi venivano distribuiti tra gli operai di alcune fabbriche. Proprio da questo collegamento con gli ambienti operai prese vigore, nel 1933, la formazione di un vero e proprio centro clandestino del P.C.L, la cui azione, pur tra mille difficoltà, garantì un minimo di continuità all'antifascismo pisano.

Più tardi, anche in zone vicine al capoluogo come Asciano, Pontasserchio e San Giuliano si coagu[...]

[...]iblioteca circolante, i cui volumi venivano distribuiti tra gli operai di alcune fabbriche. Proprio da questo collegamento con gli ambienti operai prese vigore, nel 1933, la formazione di un vero e proprio centro clandestino del P.C.L, la cui azione, pur tra mille difficoltà, garantì un minimo di continuità all'antifascismo pisano.

Più tardi, anche in zone vicine al capoluogo come Asciano, Pontasserchio e San Giuliano si coagularono gruppi di antifascisti, la cui esperienza di lotta si tradurrà in un’attiva partecipazione alla Guerra di liberazione. La diffusione dell’opposizione al fascismo si allargò così a diversi centri della provincia. Particolarmente rilevante fu il contributo dato dalla città di Volterra, dove operava un forte gruppo di antifascisti, per lo più comunisti, molti dei quali furono però arrestati nell’ottobre 1930.

Una robusta organizzazione clandestina venne messa in piedi anche a Santa Croce sull’Arno e a San Miniato, centri nei quali, nonostante l'arresto di diversi militanti comunisti negli anni 193738, il lavoro di propaganda e di reclutamento di nuovi quadri non cessò di dare i suoi frutti.

Nel complesso della provincia, 74 furono gli antifascisti deferiti al Tri

Propaganda fascista rivolta agli studenti dell'Università di Pisa (1931)

bunale speciale. Di questi, 12 furono assolti e 62 condannati: uno (Giuseppe Gori, di San Miniato) a 25 anni; 2, a 10 anni; 1, a 9 anni; 1, a 7 anni; 7, a 6 anni; 5, a 5 anni; 5, a 4 anni; gli altri, da 3 a 1 anno. Queste condanne furono inflitte in numerosi processi che videro antifascisti pisani colpiti insieme a militanti di altre zone. In due occasioni fu invece specificatamente colpita l’organizzazione pisana: nel processo del 1820.12.1930, celebrato contro il gruppo comunista volterrano (su 30 imputati, 5 furono assolti e gli altri condannati da 1 a 10 anni); e nel processo del 2729.4.1939, quando fu nuovamente colpita l’organizzazione comunista di Volterra, insieme a quelle di Santa Croce e San Miniato. In questo secondo procedimento, 22 antifascisti furono condannati a pene varianti dai 25 anni di reclusione (Giuseppe Gori) ai 10 (Bruno Falaschi), e dai 7 ai 3 anni. Un s[...]

[...]i insieme a militanti di altre zone. In due occasioni fu invece specificatamente colpita l’organizzazione pisana: nel processo del 1820.12.1930, celebrato contro il gruppo comunista volterrano (su 30 imputati, 5 furono assolti e gli altri condannati da 1 a 10 anni); e nel processo del 2729.4.1939, quando fu nuovamente colpita l’organizzazione comunista di Volterra, insieme a quelle di Santa Croce e San Miniato. In questo secondo procedimento, 22 antifascisti furono condannati a pene varianti dai 25 anni di reclusione (Giuseppe Gori) ai 10 (Bruno Falaschi), e dai 7 ai 3 anni. Un solo imputato venne assolto.

Ma la lotta si conduceva anche all’estero, da parte dei fuorusciti. Molti pisani erano stati costretti a espatriare, soprattutto in Francia (Nizza, Marsiglia, Arles) e, da qui, alcuni accorsero nelle Brigate Internazionali in Spagna. Altri si distinsero nella Resistenza francese, come Vasco Corsi (caduto in combattimento nel maggio 1944) e Ateo Garemi (v.) che, dopo essere divenuto comandante dei G.A.P. di Torino, sarà ucciso dai fascisti.
[...]

[...]spatriare, soprattutto in Francia (Nizza, Marsiglia, Arles) e, da qui, alcuni accorsero nelle Brigate Internazionali in Spagna. Altri si distinsero nella Resistenza francese, come Vasco Corsi (caduto in combattimento nel maggio 1944) e Ateo Garemi (v.) che, dopo essere divenuto comandante dei G.A.P. di Torino, sarà ucciso dai fascisti.

Lo scoppio della Seconda guerra

mondiale e la partecipazione dell’Italia al conflitto trovò i vari gruppi antifascisti della provincia in fase di ripresa. Le circostanze belliche resero più difficili i collegamenti e i contatti indispensabili alla lotta clandestina, ma l’andamento della guerra accelerò scelte politiche e prese di coscienza, contribuendo a estendere le basi dell'antifascismo.

Nel 1941 riunioni di oppositori al regime si tennero a Pisa, nell’abitazione del professore Concetto Marchesi (v.), mentre cellule del P.C.I. erano costituite in diverse fabbriche della zona, come la St, Gobain, la Vis e la Piaggio. Nell'autunno 1942, grazie all'opera di Guido Calogero e Piero Zerboglio, si formò anche[...]

[...]città un Fronte antifascista composto da comunisti, azionisti e cattolici, embrione del futuro Comitato di liberazione nazionale.

La crescita delle forze antifasciste e la loro influenza sulle masse popolari si esprimevano anche attraverso agitazioni e proteste che, pur traendo origine da motivazioni di carattere economico, rivelavano un crescente malcontento nei confronti del regime; così, nel marzo 1942, si ebbe anche uno scontro tra alcuni antifascisti che distribuivano volantini riguardanti il problema del caroviveri e militari tedeschi stanziati in città.

Dal 25 luglio all’8 settembre

Fu dunque in questo clima che Pisa accolse, il 25.7.1943, le prime notizie che annunciavano la caduta del fascismo. Già nella notte tra il 25 e il 26 si svolsero in città manifestazioni popolari di esultanza. A Pontedera, nello stabilimento Piaggio, gli operai cessarono il lavoro e distrussero gli emblemi fascisti. Analoghe manifestazioni si svolsero a Santa Croce e a Volterra. II 26 luglio, i dirigenti del Fronte antifascista organizzarono un corteo c[...]

[...]rono un corteo che percorse le vie del centro e al termine del quale parlarono alla folla Antonio Russi del Partito d’Azione e il comunista Demetrio Bozzoni. L’entusiasmo del momento fu però di breve durata, perché ogni manifestazione di piazza venne subito proibita dal governo Badoglio. Anzi, il 27, il prefetto Berruti procedette all’arresto di alcuni degli organizzatori del corteo, mentre a Volterra identica misura veniva presa contro numerosi antifascisti.

ATENEO PIS4NO

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Brano: Comitato di liberazione nazionale

vengono formando nell'autunno del 1942 e nei primi mesi del 1943 (qualche « Comitato d’intesa » antifascista sorge forse anche prima) tra singoli militanti dei vecchi partiti antifascisti.

I comitati delle opposizioni

Sono, in generale, le stesse persone che avevano resistito al fascismo fino dai tempi dell’Aventino (v.) o che nel corso della dittatura avevano affrontato persecuzioni

o almeno rinunciato alla vita pubblica. Perciò si può dire che questi comitati (di cui i principali sono il Comitato democratico antifascista di Roma e il Fronte di azione antifascista di Milano) sono la prova di una continuità diretta, si potrebbe dire addirittura fisica, tra l’antifascismo del ventennio e la Resistenza in senso, stretto. Tutti i membri di essi sono « politici », e polit[...]

[...]dell’Italia stessa, (v. Comitato nazionale d'azione antifascista) .

L’opera di questi primi comitati è il difficile, faticoso risultato di uno sforzo « unitario » capace di superare, di fronte al compito più urgente (distruggere il regime fascista), i modi diversi o addirittura opposti di concepire la rinascita dell’Italia nei suoi ordinamenti economici, sociali e politici. Le differenze toccano soprattutto un triplice ordine di rapporti: tra antifascisti e Corona, tra antifascisti e Alleati, tra antifascisti e concorso popolare.

Quanto al primo, c’è contrasto tra quelli che, come gli azionisti, i socialisti e i comunisti, sono programmaticamente antimonarchici e coloro i quali vogliono salvare l’istituto, pur esitando a trattare col più autorevole avallante del regime, Vittorio Emanuele ili. Quanto al secondo, i dissensi nascono, oltre che da varie difficoltà pratiche, da antichee recenti diffidenze o preferenze verso l’Occidente e l’Oriente, e dalla decisione presa da Roosevelt e da Churchill al convegno di Casablanca (v.) del gennaio 1943 di esigere dagli Stati dell’Asse la « resa incondizio[...]

[...]iono salvare l’istituto, pur esitando a trattare col più autorevole avallante del regime, Vittorio Emanuele ili. Quanto al secondo, i dissensi nascono, oltre che da varie difficoltà pratiche, da antichee recenti diffidenze o preferenze verso l’Occidente e l’Oriente, e dalla decisione presa da Roosevelt e da Churchill al convegno di Casablanca (v.) del gennaio 1943 di esigere dagli Stati dell’Asse la « resa incondizionata », togliendo perciò agli antifascisti la possibilità di

presentarsi come forza capace di offrire all'Italia un’alternativa meno tragica di quella congiunta con la conservazione del regime. Quanto al terzo rapporto, le divergenze muovono, per gli uni, dall’ancor scarsa conoscenza delle effettive capacità di spinta dal basso delle masse, malcontente per le miserie e i sacrifici della guerra; per gli altri, dal timore di un insufficiente controllo di questa spinta. L Tutto ciò è comprovato dai vivaci colloqui romani del maggio 1943 tra il comunista Concetto Marchesi e i liberali Bergamini e Casati e dalle più ampie adunanze milan[...]

[...]blema istituzionale e ad allargare il fronte antifascista ai moderati. Questi, invece, e per essi principalmente Ivanoe Bonomi, allacciano diretti contatti col re. I comunisti, mentre fanno valere il peso del loro rapporto con le masse, ai dichiarano realisticamente disposti anche a servirsi della Corona, pur di abbattere il dittatore.

Il colpo di stato del 25 luglio avviene, in realtà, senza una diretta, effettiva partecipazione dei comitati antifascisti, anche se i grandi scioperi del marzo 1943 sono, sullo sfondo, una delle spinte per la Corona % a dissociarsi dai regime. Il malcontento e le agitazioni delle masse operaie nelle grandi città del Nord sono soltanto in piccola parte sotto il controllo dei comitati antifascisti, i quali perciò non possiedono ancora una propria « forza d’urto ».

Dal 25 luglio all’8 settembre

Nei quarantacinque giorni « badogliani », i comitati non più condannati a stretta clandestinità, sono tuttavia tenuti ancora fuori della struttura del potere, che è una specie di dittatura regia esercitata con gli strumenti stessi dello Stato fascista e con un primo ministro in

capace di assumere le grandi responsabilità dell’ora.

Azionisti, socialisti e comunisti parlano apertamente di appello alla « incoercibile volontà di pace e di libertà di tutte le masse lavoratrici », le quali [...]

[...]o Stato fascista e con un primo ministro in

capace di assumere le grandi responsabilità dell’ora.

Azionisti, socialisti e comunisti parlano apertamente di appello alla « incoercibile volontà di pace e di libertà di tutte le masse lavoratrici », le quali devono « considerarsi in stato permanente di allarme e di vigilanza » e il 26 luglio ottengono che questo appello venga inserito in un ordine del giorno, firmato a Milano da tutti i partiti antifascisti, nel quale si chiede al governo « la liquidazione totale del fascismo e dei suoi strumenti di oppressione; l’armistizio per la conclusione di una pace onorevole; il ripristino di tutte le libertà civili e politiche, prima fra tutte la libertà di stampa; ...[la] costituzione di un governo formato dai rappresentanti di tutti i partiti che esprimono la volontà nazionale ».

È tuttavia, per le sinistre, un successo di breve durata. Liberali e democristiani respingono nelle settimane seguenti il ricorso alle masse, lasciando di fatto al governo regio stesso l’iniziativa per la pace e addirittura[...]

[...]armi, distinguendosi da quello di Roma. La sensazione di avere dietro di sè un consenso popolare è la vera ragione di questa distinzione, destinata a svilupparsi nei venti mesi della Resistenza armata e anche dopo.

L’8 settembre, con la fuga a Pescara e lo sfacelo dell’esercito regio, accentua il processo di differenziazione dei comitati nel momento stesso in cui ne accresce grandemente l’importanza. Già il 9 settembre l’organo dei partigiani antifascisti assume nella Capitale il nome, di modello francese, di Comitato di liberazione nazionale, e presto è seguito in tutt’ltalia dai comitati o fronti locali, che vengono moltiplicandosi in misura rapidamente crescente. I membri del C.L.N. romano, che si chiamerà « centrale » (v. Comitato centrale di liberazione) sono, ancora « politici » dell’antifascismo: i comunisti Scoccimarro e Amendola, i socialisti Nenni e Romita, gli azionisti La Malfa e Fenoaftea, il demolaburista Ruini, il democristiano De Gasperi, il liberale Casati, e Bonomi presidente. E in esso sono rappresentati i sei

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Brano: Comitato centrale di liberazione nazionale

Comitati proletari antifascisti

C.P.A.. Comitati sorti all’inizio del 1925 nelle file dell’emigrazione politica italiana in Francia, analogamente ai « Comitati operai e contadini » esistenti in Italia, come organi unitari di lotta contro il fascismo; ebbero carattere di massa e funzione di notevole importanza soprattutto negli anni 192932, quando il fascismo tentò di creare « Gruppi fascisti di combattimento » all’estero, per irreggimentare l’emigrazione italiana nei vari paesi e perseguitare i più noti antifascisti.

I Comitati proletari antifascisti continuarono a svolgere una notevole attività anche in seguito, come[...]

[...]inizio del 1925 nelle file dell’emigrazione politica italiana in Francia, analogamente ai « Comitati operai e contadini » esistenti in Italia, come organi unitari di lotta contro il fascismo; ebbero carattere di massa e funzione di notevole importanza soprattutto negli anni 192932, quando il fascismo tentò di creare « Gruppi fascisti di combattimento » all’estero, per irreggimentare l’emigrazione italiana nei vari paesi e perseguitare i più noti antifascisti.

I Comitati proletari antifascisti continuarono a svolgere una notevole attività anche in seguito, come emanazione del movimento mondiale contro la guerra e il fascismo (Movimento AmsterdamPleyel) ; quasi 500 Comitati di città e comunali arrivarono a organizzare, in Francia, oltre 10.000 antifascisti, dando vita a un forte movimento, al quale, nonostante l’accentuata impronta di classe, non venne meno l’adesione di numerose personalità dell’antifascismo radicale e della sinistra cattolica, da Guido Miglioli alla Medaglia d’oro Raffaele Rossetti, al repubblicano Schettini, ad altri intellettuali aderenti al movimento di « Giustizia e Libertà », al movimento anarchico, ecc.. Nel loro primo triennio di vita, i Comitati ebbero ancheHin settimanale [L’antifascista]. In seguito divenne loro portavoce il quotidiano La voce degli italiani (v.) diretto da Giuseppe Di Vittorio.

In quel periodo l[...]

[...]riunì a Lione un grande congresso unitario che prese il nome simbolico e significativo di « Congresso degli italiani ». Tale assise, presieduta da Giuseppe Di Vittorio e da Pietro Nenni, vide la partecipazione di tutto l’antifascismo italiano e fu una specie di Costituente dell’antifascismo in terra di Francia.

G.Ce.

Comitato centrale di liberazione nazionale

C.C.L.N.. Costituito a Roma il 9 settembre 1943 dai rappresentanti dei partiti antifascisti, che, dopo le riunioni preparatorie tenute a Milano il 24 giugno e il 4 luglio, avevano formato il 26 luglio il Comitato delle opposizioni antifasciste. Sotto la presidenza di Ivanoe Bonomi si riunirono la mattina del 9 settembre in via Adda, in un appartamento messo a disposizione dalla casa editrice Einaudi, i rappresentanti della Democrazia cristiana [Alcide De Gasperi), del Partito liberale [Alessandro Casati), del Partito d’Azione [Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea), del Partito socialista [Pietro Nenni e Giuseppe Romita), del Partito comunista [Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola). Venne[...]

[...]ditrice Einaudi, i rappresentanti della Democrazia cristiana [Alcide De Gasperi), del Partito liberale [Alessandro Casati), del Partito d’Azione [Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea), del Partito socialista [Pietro Nenni e Giuseppe Romita), del Partito comunista [Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola). Venne approvata la seguente deliberazione: « Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare in Roma ed in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di liberazione nazionale per chiamare gli italiani alla lotta ed alla resistenza, e per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni ». L’appello lanciato il 9 settembre da Roma fu prontamente raccolto in tutto il paese. Rapidamente i rappresentanti dei partiti antifascisti, nelle città, nelle province, nelle regioni, costituirono Comitati di liberazione nazionale, per dare impulso e direzione politica alla resistenza che si andava organizzando contro l’invasore tedesco e i suoi servi fascisti. Il Comitato di liberazione, che raccoglieva a Roma le rappresentanze ufficiali delle direzioni dei partiti e che traeva particolare autorità dalle personalità che ne facevano parte, fu chiamato « centrale » per la funzione che gli veniva riconosciuta di massimo organo politico dirigente del movimento di liberazione.

La funzione svolta dal C.C.L.N.

Il Comitato centra[...]

[...]al rapporto politico che doveva stabilirsi tra il C.L.N. e il governo formato a Brindisi e diretto da Badoglio. Ma queste discussioni, spesso accademiche, non impedirono al C.C.L.N. di assolvere, in un primo periodo, ad una funzione importante di orientamento e di organizzazione del movimento di liberazione. Furono poste, allora, le basi politiche del movimento di liberazione, e fissati i termini del patto unitario concluso tra i diversi partiti antifascisti. Furono costituiti un comitato di organizzazione ed una giunta militare centrale che, in una riunione del 9.1.1944, decisero l’unificazione del movimento partigiano nel Corpo dei Volontari della Libertà, ed affermarono la necessità della cooperazione delle formazioni partigiane dirette dai C.L.N. con « quadri e nuclei dell’esercito nazionale, che in territorio di occupazione si sono sottratti aH'asservimento tedesco ». Questa direttiva trovò scarsa applicazione a Roma, ma essa indicava la linea sulla quale doveva procedere, con maggiori forze e fortuna, il movimento partigiano che si andava s[...]

Brano: Attività legale

zione all'attività illegale, e perciò rigorosamente clandestina) l’azione che partiti, gruppi o singoli antifascisti cercavano di svolgere contro il regime fascista in Italia, senza varcare i limiti della « legalità ». Si trattava, per altro, di limiti assai ristretti, in quanto le leggi eccezionali del novembre 1926 avevano soppresso tutti i diritti politici del cittadino (di riunione, di propaganda, di organizzazione, ecc.), tutte le organizzazioni politiche, sindacali o di altro genere non fasciste, e tutta la stampa di opposizione.

Il regime fascista non poteva tuttavia impedire che i cittadini e i lavoratori si incontrassero nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro,

o nei luoghi di studio; [...]

[...]vi, culturali), ma molte di esse in realtà lo erano soltanto formalmente, nel senso che dovevano essere ufficialmente dirette da iscritti al fascio, secondo regolamenti conformi alle Ieagi e alle disposizioni deH'epoca. Ma, una volta assolte queste formalità, i circoli, per esempio del dopolavoro, tornavano alla loro reale destinazione di centri di ricreazione, o sportivi, e così via. In tale situazione, le organizzazioni clandestine dei partiti antifascisti non esitavano a consigliare i propri aderenti di approfittare, per gli incontri, di quelle stesse sedi, invece di riunirsi nascostamente e quindi con maggior rischio di richiamare l'attenzione della polizia. Veniva così affermato il principio cospirativo che l’individuo si nasconde meglio tra la massa, il sasso tra i sassi, l’uomo tra gli uomini. Certamente non era possibile tenere discorsi contro il fascismo in seno a una società sportiva, di calciatori, escursionisti, bocciofili, o cacciatori; ma quelle stesse sedi offrivano intanto la possibilità di incontrare in modo del tutto naturale gl[...]

[...]indacalismo fascista: ad esempio, per muovere critiche di fondo al contenuto di un contratto di la

voro o alla soluzione che i dirigenti del sindacato fascista avevano dato a una particolare vertenza. Impresa non certo facile, tenuto conto delle molte orecchie tese a scoprir re l’avversario del regime; ma le possibilità, insomma, esistevano.

Le discussioni sull’attività legale

Non poche discussioni e contrasti sorsero in seno ai partiti antifascisti a proposito delle due diverse forme di azione politica da svolgere nel paese. Alcuni sostenevano che, allo scopo di evitare arresti e « vittime inutili », si dovesse operare soltanto nei limiti della legalità. Altri esprimevano un’assoluta sfiducia sulle possibilità effettive di sviluppare una qualsiasi attività antifascista senza incorrere nei rigori delle leggi fasciste. Altri ancora sostenevano che l’iscriversi e lo svolgere un’attività in seno alle organizzazioni fasciste, sia pure soltanto sindacali, ricreative o culturali, significava capitolare, aderire di fatto al regime; e comunque i[...]

[...]apitolare, aderire di fatto al regime; e comunque il giuoco non valeva la candela.

I comunisti sostenevano la necessità di usare il più largamente possibile entrambe le forme di attività, di operare sempre in tutte le direzioni e in tutti i campi, di non respingere nessuna possibile forma di lotta, ma di scegliere in ogni momento la più adatta, adeguandosi prontamente a ogni cambiamento della situazione. Sarebbe stato grave errore se i gruppi antifascisti si fossero limitati alla mormorazione, alle barzellette, alla propaganda antifascista velata (e, appunto perché tale, non chiara, piuttosto equivoca) la cui efficacia non poteva essere di grande portata. La prima condizione per muovere larghe masse è sempre quella di dire, con linguaggio chiaro e concreto, ciò che si vuole: era pertanto necessario smascherare chiaramente la demagogia e l’inganno fascisti, indicare senza ambiguità il carattere del regime, rivelare a tutti la natura delle sue guerre di aggressione e lo scopo della sua politica. Ma d’altra parte sarebbe stato altrettanto grave l[...]

[...]e negli anni in cui il regime era al suo apogeo, avrebbero accettato di svolgere. Ciò avrebbe significato rinchiudersi in se stessi, ridurre l’azione a piccole sette, a gruppetti di cospiratori senza contatti con le masse.

Per quanto limitate, le possibilità legali vennero sempre più larga

mente utilizzate, anche perché i giovani, volenti o nolenti, si trovavano tutti obbligatoriamente inquadrati nelle organizzazioni fasciste. Centinaia di antifascisti furono così condannati dal Tribunale speciale per essersi « subdolamente » iscritti ai sindacati e alle altre organizzazioni del regime, perfino alla Milizia fascista, « allo scopo di condurvi all’interno opera di disfattismo e di disgregazione, comunque contraria al regime ».

P.Se.

Dalle sentenze del Tribunale speciale si rileva che il 31.1.1931 alcuni comunisti di, Empoli furono condannati, per attività antifascista, a 2 anni di reclusione ciascuno. Una condanna più grave venne però inflitta ad Arduino Ceramelli, dato che questi era membro della Milizia Volontaria per la Sicurezza Naz[...]

[...]nze del Tribunale speciale si rileva che il 31.1.1931 alcuni comunisti di, Empoli furono condannati, per attività antifascista, a 2 anni di reclusione ciascuno. Una condanna più grave venne però inflitta ad Arduino Ceramelli, dato che questi era membro della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e, come tale, rappresentava « un pericolo di inquinamento per le istituzioni fasciste ».

Un'altra sentenza (28.4.1931) condannava 1 b giovani antifascisti e comunisti di Faenza a pene varianti dai 2 agli 8 anni di reclusione, perché « in base alle nuove direttive del partito (comunista) avevano condotto un'azione di penetrazione nel P.N.F. e nei sindacati fascisti ».

Il 21.9.1928, undici giovani di Cecina vennero condannati a un anrk) di reclusione ciascuno e Arnaldo Meni cagli e Duilio Panicucci, giudicati più direttamente responsabili, rispettivamente a 7 e a 4 anni, per « avere dato vita a una" società sportiva denominata Gli Scarponi di Cecina ». Tale società aveva la sede nello stesso palazzo che ospitava il gruppo rionale fascista « Be[...]

[...]ti ».

Dal 10 al 24.10.1934, in cinque diversi processi, 76 comunisti della provincia di Udine, in grande maggioranza giovani, furono condannati a pene varianti dai 3 ai 9 anni di reclusione, con una sentenza sottolineante la « pericolosità del /asto movimento che, grazie a circostanze locali favorevoli, era riuscito a penetrare nelle organizzazioni fasciste, corrompendo giovani inesperti ».

Il 24.1.1936 furono condannati a gravi pene

10 antifascisti e comunisti, tra cui Mario Fabiani di Firenze (22 anni di reclusione), Marcelio Canova di Budrio (22 anni) ed Enrico Bonazzi di Sala Bolognese (20 anni), per avere svolto propaganda contro il regime « riuscendo — precisa la sentenza — a penetrare nei sindacati, nei dopolavoro, nelle associazioni sportive e culturali, ottenendo adesioni tra giovani inesperti ».

11 22.11.1938 furono condannati 13 giovani comunisti di Bologna, tra cui Giorgio Scarabelli (a 18 anni di reclusione) e Giovanni Bottonelli (a 16 anni), rei di «sfruttare le possibilità legali per svolgere attività antifascista: freq[...]

Brano: [...]erminò la più grande confusione. Ciascuno dei due gruppi contrapposti prendeva proprie iniziative e l’altro operava in modo da neutralizzarle.

In questo quadro confuso e irto di pericoli alcuni esponenti del C.L.N. commisero la tragica imprudenza di accettare un incontro proposto dal Ghisellini. Nello studio .dell’avvocato Mario Zanatta del Partito d’Azione si riunirono, insieme ai dirigenti fascisti Ghisellini, Govoni e Tizzani, gli avvocati antifascisti Ugo Teglio e Giuseppe Longhi, e gli ingegneri Monti e Stefani. Il rappresentante comunista, giudicando inopportuno l’incontro, rifiutò di parteciparvi. Il colloquio si concluse con un accordo di compromesso nel quale i convenuti si impegnavano di « evitare violenze da una parte e dall’altra ». Il risultato fu che tutti gli antifascisti presenti alla riunione furono arrestati nel giro di pochi giorni.

La mattina della domenica 14 novembre il Ghisellini era atteso presso la Federazione fascista, da dove avrebbe dovuto recarsi con altri camerati al congresso di Verona (v.). L’attesa fu vana e, più tardi, il capo fascista venne trovato ucciso nella sua automobile a Castel d’Argile di Cento. Fu accertato che l’assassinio era stato commesso da persona che doveva trovarsi nell’auto con la Vittima, perché i colpi d’arma da fuoco erano stati sparati a bruciapelo, alla nuca. Doveva quindi trattarsi di qualcuno che aveva rapporti c[...]

[...]

dire che venisse scoperto l'autore del delitto, fino al punto di arrestare il viceprefetto Aldo Marolla, il vicequestore Giuseppe Poli e il tenente comandante la stazione dei carabinieri di Cento che volevano portare a fondo le indagini sul tenebroso affare. La fazione estremista del fascio locale, alla quale probabilmente risaliva la responsabilità del delitto, prese inoltre pretesto da questo per compiere una feroce rappresaglia contro gli antifascisti. Nella notte tra il 14 e il 15.11.1943, spalleggiati da squadre d’azione di altre province, i fascisti ferraresi si scatenarono in una spedizione punitiva che portò all’uccisione di 11 cittadini, tra cui alcuni esponenti dell’antifascismo locale. Furono uccisi Emilio Arlotti, Cinzio Belletti, Pasquale Colagrande (v.), Mario e Vittore Hanau, Giulio Piazzi, Girolamo Savonuzzi, Ugo Teglio, Arturo Torboli, Alberto Vita Finzi, Mario Zanatta.

La lunga notte

Il segretario nazionale del Partito fascista Alessandro Pavolini venne informato dell’accaduto da uno squadrista ferrarese poche ore dopo[...]

[...]unirono squadristi di Verona e Padova. Pavolini dispose inoltre che li seguissero l’ispettore regionale del partito Enrico Vezzalini e il console Giovanni Battista Riggio, quest’ultimo con il compito di capeggiare le squadre d'azione. Giunti a Ferrara, Vezzalini e Riggio convocarono presso la federazione i triumviri M. Calura, R. Ghi lardoni e Borei li ni. Si presentarono soltanto i primi due e questi furono invitati a scegliere, da un elenco di antifascisti « sospetti » che essi stessi avevano precedentemente redatto, i nomi delle persone da uccidere. Pare che i due rifiutassero. « Faremo da soli — minacciò allora il Riggio

— e sarà peggio ».

Gli squadristi rastrellarono la città ricercando gli ebrei e gli antifascisti [«^stranieri i primi, nemici tutti », come dichiarava la Carta approvata a Verona). I ridercati furono facilmente trovati in casa. A eccezione dei comunisti, esperti di lotta clandestina, la maggior parte degli altri antifascisti non aveva infatti preso alcuna precauzione per sottrarsi al prevedibile arresto. L’avvocato Giuseppe Longhi, noto socialista, aveva progettato la fuga ma (come racconta egli stesso) si mise a tavola intanto che i familiari gli preparavano qualcosa da portar via: fu catturato mentre sorbiva la minestra e condotto alla Caserma Littorio, ove vennero fatti affluire anche gli altri ostaggi. Lo stanzone andò affollandosi di gente di ogni categoria: operai e intellettuali, ex fascisti e antifascisti. V’erano il gelataio Luigi Calderoni, soprannominato Gigetto e noto antifascista; l'anziana maestra s[...]

[...]auzione per sottrarsi al prevedibile arresto. L’avvocato Giuseppe Longhi, noto socialista, aveva progettato la fuga ma (come racconta egli stesso) si mise a tavola intanto che i familiari gli preparavano qualcosa da portar via: fu catturato mentre sorbiva la minestra e condotto alla Caserma Littorio, ove vennero fatti affluire anche gli altri ostaggi. Lo stanzone andò affollandosi di gente di ogni categoria: operai e intellettuali, ex fascisti e antifascisti. V’erano il gelataio Luigi Calderoni, soprannominato Gigetto e noto antifascista; l'anziana maestra socialista Ada Costa, già tante volte arrestata e destinata a morire di lì a qualche mese nel carcere di Copparo: l'avvocato

236

Brano: [...]vesse prendere atto della sconfitta. Una parte dei loro quadri e aderenti si inserì perciò nel fascismo e altri, pur rimanendo fedeli agli ideali, rinunciarono a ogni attività politica, o tutt’al più si limitarono a una certa fronda sul terreno culturale. Nei primi anni anche i socialisti ritennero che non

Il primo numero di « L’Appello del Recluso », edito in Francia dai « Patronati italiani delle vittime del fascismo » e diffuso dagli esuli antifascisti (gennaiomarzo 1932)

si potesse continuare la lotta clandestina in Italia e che fosse passibile far qualcosa solo all’estero. E quegli stessi uomini e partiti che si proponevano di continuare ad agire in Italia ritenevano d’altra parte indispensabile e urgente creare un centro estero, per porre al sicuro i migliori quadri dirigenti (che sarebbero stati ben presto riconosciuti e scoperti in Italia) e dare una base relativamente sicura alle centrali dei partiti. Gli archivi, con i loro schedari di indirizzi, costituivano importanti strumenti di lavoro e andavano gelosamente custoditi e messi [...]

[...]igliori quadri dirigenti (che sarebbero stati ben presto riconosciuti e scoperti in Italia) e dare una base relativamente sicura alle centrali dei partiti. Gli archivi, con i loro schedari di indirizzi, costituivano importanti strumenti di lavoro e andavano gelosamente custoditi e messi al sicuro dalla caccia della polizia. Così, tra il novembre 1926 e i primi mesi del 1927, si ebbe la grande ondata dell’espatrio dei quadri dirigenti dei partiti antifascisti. I fascisti li chiamarono «fuorusciti », in senso spregiativo, non volendo riconoscere ai loro avversari politici la qualifica di esuli o esiliati. Molti di essi dovettero lasciare la patria clandestinamente, attraverso impervi sentieri di montagna o a bordo di malsicure imbarcazioni, e soltanto i meno conosciuti poterono varcare la frontiera ricorrendo a falsi documenti.

Al momento delle leggi eccezionali fasciste vivevano all'estero oltre 9 milioni di italiani, di cui circa 7 milioni e 500.000 nel continente americano, ma dato lo scarso collegamento esistente con i connazionali

di olt[...]

[...]patria clandestinamente, attraverso impervi sentieri di montagna o a bordo di malsicure imbarcazioni, e soltanto i meno conosciuti poterono varcare la frontiera ricorrendo a falsi documenti.

Al momento delle leggi eccezionali fasciste vivevano all'estero oltre 9 milioni di italiani, di cui circa 7 milioni e 500.000 nel continente americano, ma dato lo scarso collegamento esistente con i connazionali

di oltre oceano, l’influenza dei partiti antifascisti si estese soprattutto tra gli italiani viventi in Francia (1.000.000), in Svizzera (100.000), nel Belgio e nel Lussemburgo (30 mila). Meno numerosi ed efficienti i centri antifascisti di Londra e di New York, per le difficoltà di raggiungere quelle lontane metropoli e stabilirvisi (ostacolata ricerca di lavoro, più severa vigilanza della polizia), ma anche per il desiderio di ogni partito di avere il proprio centro estero il più vicino possibile alla frontiera italiana (data l’esigenza di rapidi collegamenti e spostamenti, per avere tempestive informazioni e seguire giorno per giorno la vita italiana). Le zone di emigrazione scelte dai nuclei dirigenti dei partiti antifascisti furono pertanto la Francia (soprattutto Parigi, poi Lione, Marsiglia, Nizza, Tolosa), la Svizzera[...]

[...]ltà di raggiungere quelle lontane metropoli e stabilirvisi (ostacolata ricerca di lavoro, più severa vigilanza della polizia), ma anche per il desiderio di ogni partito di avere il proprio centro estero il più vicino possibile alla frontiera italiana (data l’esigenza di rapidi collegamenti e spostamenti, per avere tempestive informazioni e seguire giorno per giorno la vita italiana). Le zone di emigrazione scelte dai nuclei dirigenti dei partiti antifascisti furono pertanto la Francia (soprattutto Parigi, poi Lione, Marsiglia, Nizza, Tolosa), la Svizzera (Lugano, Zurigo, Ginevra) e il Belgio (Bruxelles).

L’emigrazione in Francia

Si ritrovarono, a Parigi e in altri centri della Francia, centinaia di dirigenti dei diversi partiti antifascisti, di cui si ricordano qui di seguito i più noti.

Socialisti e socialdemocratici: Filippo Amedeo, Angelica Balabanoff, Giuseppe Bensì, Alessandro Bocconi, Bruno Buozzi, Ugo Coccia, Fernando De Rosa, on. Emanuele Modigliani, on. Oddi no Morgari, Pietro Nenni, on. Felice Quaglino, Alessandro Pertini (che abitò qualche tempo a Marsiglia), Pallante Ruggimenti, Giuseppe Saragat (dopo aver soggiornato alcuni anni a Vienna), Giuseppe Sarde!li, Claudio Treves, Filippo Turati.

Repubblicani: Mario e Guido Bergamo, Eugenio Chiesa, .. Cipriano Facchinetti, Randolfo Pacciardi, Egidio Reale, Fernando S[...]

Brano: [...]tici e militari destinati alla lotta clandestina contro il fascismo in Italia. Dal 1923 al 1939 queste scuole contribuirono alla formazione di dirigenti politici, di combattenti rivoluzionari e di comandanti partigiani. Da esse uscirono, tra gli altri: Ilio Barontini, Antonio Cicalini, Edoardo D'Onofrio, Giuseppe Alberganti, Giacinto Calligaris, Armando Fedeli, Renato Giachetti, Antonio Gigante, Cino Moscatelli, Antonio Roasio, Gastone Sozzi.

Antifascisti italiani negli Stati Uniti

New York, ove è sempre stata folta l'emigrazione italiana, costituì un attivo centro dell’antifascismo. Numerosi, oltre ai comunisti e ai socialisti, vi furono gli anarchici, tra i quali ricordiamo Armando Borghi, Vincenzo Capuana, Michele Centrone, Ugo Fedeli e Carlo Tresca. Quest’ultimo dirigeva II Martello, un periodico particolarmente noto, insieme con l’Adunata dei Refrattari, tra gli anarchici italiani nell’America del Nord.

Costretti ad abbandonare l’Italia in seguito alle persecuzioni razziali, raggiunsero gli Stati Uniti anche alcuni intellettuali di [...]

[...]o Treves, Bruno Zevi. Quest’ultimo, attivo militante « G.L. », pubblicò a New York i Quaderni italiani. Allo

scoppio della seconda guerra mondiale Mario Montagnana e Vittorio Vidali riuscirono a raggiungere il Messico; Ambrogio Donini e Giuseppe Berti, gli Stati Uniti. Qui giunto, Berti prese l’iniziativa di pubblicare un’edizione a carattere locale della rivista « Stato Operaio ».

Polizia e provocazione

La presenza di un alto numero di antifascisti, politicamente e organizzativamente collegati con una larga massa di lavoratori emigrati, indusse naturalmente l’O.V.R.A. e gli altri servizi polizieschi del regime fascista (non di rado aiutati dalle polizie locali) a servirsi di spie e di agenti provocatori per scoprire i propositi e i piani d’azione dei « fuorusciti ». L’attenzione dei servizi spionistici era particolarmente rivolta a scoprire le fila di chi agiva in Italia e i canali attraverso i quali passavano i corrieri; a individuare i « funzionari » e i dirigenti antifascisti che entravano e uscivano clandestinamente dall’Italia; a f[...]

[...]i emigrati, indusse naturalmente l’O.V.R.A. e gli altri servizi polizieschi del regime fascista (non di rado aiutati dalle polizie locali) a servirsi di spie e di agenti provocatori per scoprire i propositi e i piani d’azione dei « fuorusciti ». L’attenzione dei servizi spionistici era particolarmente rivolta a scoprire le fila di chi agiva in Italia e i canali attraverso i quali passavano i corrieri; a individuare i « funzionari » e i dirigenti antifascisti che entravano e uscivano clandestinamente dall’Italia; a fermare i giornali e l’altra stampa spedita dalla Francia o dalla Svizzera in Italia. Talvolta le spie riuscivano a segnalare ai fascisti persino il giorno in cui il ricercato avrebbe passato la frontiera, la nazionalità e il numero del passaporto falso di cui si sarebbe servito, cosicché la vittima, appena messo piede in Italia, sarebbe stata immediatamente arrestata oppure seguita con abile pedinamento in tutti i successivi spostamenti. In tal modo la polizia sarebbe riuscita a scoprire i recapiti, le abitazioni degli antifascisti col[...]

[...]n Italia. Talvolta le spie riuscivano a segnalare ai fascisti persino il giorno in cui il ricercato avrebbe passato la frontiera, la nazionalità e il numero del passaporto falso di cui si sarebbe servito, cosicché la vittima, appena messo piede in Italia, sarebbe stata immediatamente arrestata oppure seguita con abile pedinamento in tutti i successivi spostamenti. In tal modo la polizia sarebbe riuscita a scoprire i recapiti, le abitazioni degli antifascisti collegati con l’estero, l’intera rete clandestina, ed a procedere poi a vaste retate.

Tra coloro che, generalmente per denaro, si davano all’opera di delazione, non mancavano i provocatori: costoro, oltre a vendere la loro vittima, la spingevano a commettere atti gravemente perseguibili, per esempio attentati dinamitardi destinati a essere immancabilmente scoperti dalla polizia prima dell’attuazione. La vittima veniva in tal caso persuasa a entrare in Italia attraverso una strada « sicura », munita di ordigni altrettanto « infallibili », ma che in realtà provocavano infallibilmente l’arres[...]

[...] nel 1926; il ratto di Cesare Rossi, ex capo dell’ufficio stampa del Partito fascista e autore di un famoso memoriale all’epoca del delitto Matteotti (riparato all’estero, il Rossi venne attirato con un appuntamentotranello a Campione e qui catturato dalla polizia italiana); le trame di Ermanno Menapace e Savorelli a danno di Camillo Berneri, Guido Miglioli e altri; l’assassinio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli (9.6.1937).

Naturalmente gli antifascisti che in buona fede cadevano in trappola o che comunque erano oggetto di provocazione, reagirono in alcuni casi energicamente. Le spie e gli organizzatori dei colpi subirono a loro volta, in questi casi, pesanti conseguenze: i fascisti Gino Jesi e Silvio Lombardi furono uccisi a Parigi nel settembre 1923; il fascista Mentore Cavanna fu giustiziato a Troyes il 15.10.1923; il primo segretario del Fascio di Parigi, Nicola Bonservizi, fu ucciso in un caffè parigino dal giovane anarchico Enrico Bonomini; il viceconsole d’Italia a Parigi, Car

lo Nardini, fu ucciso il 12.9.1927 dal giovane operaio [...]

[...]re della legazione italiana nel Lussemburgo, certo Arena, fu ucciso dall’operaio Gino d’Ascanio nell’aprile 1929; i fascisti Pietro Forcari e Pietro Verrecchia furono uccisi da operai italiani il 14.4.1930, a Parigi.

Preso nel suo complesso, l’antifascismo all’estero assolse con dignità e coraggio alla sua funzione di avanguardia; se vi furono casi di debolezza e di capitolazione, si trattò di poche eccezioni. Dirigenti, attivisti dei partiti antifascisti e lavoratori emigrati, affrontando durezze, miserie, persecuzioni, alimentarono durante vent’anni la lotta contro la dittatura in Italia; diedero un generoso contributo alle Brigate Interna zionali in Spagna e alla Resistenza in Francia, in Belgio, in altri paesi; prepararono i quadri e i valorosi combattenti per la Guerra di liberazione nazionale.

P.Se.

Per ulteriori Informazioni circa le organizzazioni di massa e unitarie costituite dai partiti e dai movimenti antifascisti all’e

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[...]affrontando durezze, miserie, persecuzioni, alimentarono durante vent’anni la lotta contro la dittatura in Italia; diedero un generoso contributo alle Brigate Interna zionali in Spagna e alla Resistenza in Francia, in Belgio, in altri paesi; prepararono i quadri e i valorosi combattenti per la Guerra di liberazione nazionale.

P.Se.

Per ulteriori Informazioni circa le organizzazioni di massa e unitarie costituite dai partiti e dai movimenti antifascisti all’e

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Brano: [...] una dimensione più unitaria e popolare. Ciò spiega in gran parte i caratteri, per certi aspetti esplosivi, ma per altri piuttosto disorganici, che assunse la resistenza armata e combattente, in cui la popolazione di Ascoli si distinse immediatamente dopo T8.9.1943, e a partire precisamente dal 12 settembre, quando in città giunsero i primi reparti di assalto tedeschi che avrebbero dovuto procedere all’occupazione.

Già la sera precedente, gli antifascisti avevano chiesto inutilmente al comandante del presidio, colonnello Emidio Santaché (egli stesso ascolano), armi per presidiare i principali punti di accesso sulla via Salaria. Le prime fucilate contro i tedeschi, che avevano occupato di sorpresa il Distretto militare, partirono da un gruppo di giovani e di lavoratori, quelli stessi che avevano chiesto le armi. Inoltre i reparti tedeschi si scontrarono con la resistenza dei militari alla caserma Umberto I, dove il comandante del presidio fece aprire il fuoco contro di essi. Ma

il conflitto più notevole si registrò in prossimità delle caserm[...]

[...]giati dalla popolazione del rione (persino le donne e i ragazzi si adoprarono come poterono, anche dai tetti delle case). Alla fine i tedeschi furono respinti, tanto dai militari quanto dai cittadini, e dovettero ritirarsi abbandonando sul terreno uomini e mezzi. Perse la vita negli scontri di quella giornata Adriano Cinelli, un ragazzo di 16 anni che può essere considerato il primo caduto della resistenza ascolana. Quella stessa sera (12.9) gli antifascisti e gli improvvisati capi dei franchi tiratori decisero di portarsi sul colle San Marco; si pensava ad un tempo di guardare la città dall’alto, sfuggire alla rappresaglia e attendere l’arrivo delle truppe alleate, ritenuto imminente. Il sottotenente Soartaco Perini, figlio di un comunista, assunse la direzione del primo, ancora informe drappello partigiano, che andò poi via via ingrossandosi di altre reclute, senza per altro giungere a una adeguata articolazione e preparazione.

La tregua, prima del nuovo attacco, durò 20 giorni. Intanto i tedeschi erano tornati in forze nella città,

il co[...]

[...]Il 2 ottobre ebbe inizio la manovra tedesca sul San Marco, per aggiramento. La lotta fu breve, eroica, confusa; e si risolse ben presto nella sconfitta. Molti furono i caduti di parte italiana, e solo pochi riuscirono a sganciarsi: da allora la resistenza popolare avviata in città

— e di cui Io scontro del San Marco era stato Io sfortunato epilogo — fu proseguita quasi senza soluzione di continuità sulle montagne.

Il 2 ottobre un gruppo di antifascisti, azionisti e comunisti di San Benedetto del Tronto, che verso la metà di settembre avevano ricevuto armi dal tenente Ivo Paolini, decise di ritirarsi neH’interno, affluendo sul Monte dell’Ascensione, poco a nord di Ascoli Piceno. Quasi contemporaneamente sui contrafforti dell’Appennino, fra il Tenna e l’Aso a nord del Monte Vettore, si costituì la banda « Batà »; mentre a sud, nella zona dell’alto Tronto, ai confini con gli Abruzzi, si organizzò la banda comandata dal capitano Ettore Bianchi, che aveva partecipato ai combattimenti di Bosco Martese (v.) nel Teramano. In città, durante tutto l’[...]

[...]ell’Appennino, fra il Tenna e l’Aso a nord del Monte Vettore, si costituì la banda « Batà »; mentre a sud, nella zona dell’alto Tronto, ai confini con gli Abruzzi, si organizzò la banda comandata dal capitano Ettore Bianchi, che aveva partecipato ai combattimenti di Bosco Martese (v.) nel Teramano. In città, durante tutto l’inverno (il fascio repubblicano fu costituito il 3 ottobre), tedeschi e fascisti imperversarono con retate contro militanti antifascisti o supposti antifascisti, riuscendo a impedire la formazione e il consolidamento di un unico centro di dire

zione del movimento clandestino. Questo rimase per qualche tempo affidato alla fluida spontaneità delle sue varie componenti, tanto che il C.L.N. di Fermo assolse allora a funzioni provinciali.

Dopo un periodo di preparazione, divenute via via più numerose ed esperte, le formazioni partigiane passarono all’attacco. In febbraio le bande dell’Appennino (« Batà » e « Filipponi ») attaccarono la caserma della milizia a Comunanza, sulla strada subappenninica fra Ascoli e Macerata. Ai primi di marzo, fascisti e[...]

[...]lick » bloccavano la via di ritirata ai reparti tedeschi a nord.

Con la liberazione della città (18. 6.1944) ebbe termine un periodo breve, ma travagliato e intenso di resistenza armata, in cui le forze antifasciste (« la iniziativa viene da comunisti e azionisti, che sono i più numerosi — scriverà Massimo Salvadori — ed anche da anarchici, socialisti, e qualche cattolico ») erano riuscite a convogliare diverse centinaia di giovani. Decine di antifascisti e civili erano stati arrestati nelle retate organizzate dal Fascio repubblicano e dai Comandi tedeschi dal dicembre del 1943 al febbraio

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Brano: [...]te e antifasciste. Già ai primi del secolo l’influenza socialista vi era notevole, tanto da dare nelle elezioni del 1908 un apporto di voti decisivo per la conquista della amministrazione comunale.

Nel primo dopoguerra, allo scatenarsi dello squadrismo fascista, i lavoratori di Funo opposero una vivace resistenza, fino a mettere sonoramente in fuga gli aggressori, dopo uno scontro armato, nell’ottobre 1921. Il prestigio morale dei più anziani antifascisti rimase vivo negli anni della dittatura, durante i quali, specie a opera di giovani, continuò un’attiva resistenza. Nel 1932, attorno a Luigi Tolomelli, operava un gruppo di 6 comunisti (costituitosi fin dal 1921) che, in collegamento con altri di località viciniori, diffondevano stampa antifascista, issavano bandiere rosse nelle ricorrenze del Primo maggio, si collegavano ad altri elementi antifascisti. A seguito di tale attività, culminata il 17.7.1933 in un’intensa giornata di iniziativa comunista, venne arrestato Giuseppe Corticelli che, nel luglio 1934, insieme ad altri antifascisti, fu condannato dal Tribunale speciale a 14 anni di carcere.

Dal 1936 al 1938 furono effettuate a Funo estese sottoscrizioni per il « Soccorso Rosso » e per sostenere i combattenti in Spagna contro i franchisti. Cesare Masina, militante comunista dal 1936, per la sua attività di riunioni e propaganda venne arrestato nel maggio 1937; deferito al Tribunale speciale con altri 16 antifascisti, nell’ottobre 1937 venne condannato a 2 anni e 6 mesi di carcere.

Nel 1940 un nutrito gruppo di giovani entrò a ingrossare le file dei comunisti: fra questi, Aroldo Tolo

melli, che sarà tra i primi combattenti partigiani durante la Guerra di liberazione, quindi dirigente delle S.A.P. bolognesi.

Il 25.7.1943 trovò presente a Funo un’organizzazione comunista solida ed estesamente legata alla popolazione, la quale partecipò in massa alle manifestazioni per la caduta del fascismo.

Nella Guerra di liberazione

Immediato ed esteso fu, sotto la direzione dei più anziani antifascisti, i[...]

[...]dei comunisti: fra questi, Aroldo Tolo

melli, che sarà tra i primi combattenti partigiani durante la Guerra di liberazione, quindi dirigente delle S.A.P. bolognesi.

Il 25.7.1943 trovò presente a Funo un’organizzazione comunista solida ed estesamente legata alla popolazione, la quale partecipò in massa alle manifestazioni per la caduta del fascismo.

Nella Guerra di liberazione

Immediato ed esteso fu, sotto la direzione dei più anziani antifascisti, il reperimento di armi subito dopo l’armistizio dell’8 settembre. Particolarmente importante il recupero di una decina di mitragliatrici « Breda » e « Fiat » (con relative munizioni), smontate dai carri armati italiani che i tedeschi, dopo il dissolvimento dell’esercito, avevano concentrato a Castel Maggiore, nella vicina caserma del Genio Ferrovieri. Quelle mitragliatrici, riattate da artigiani locali, saranno armi preziosissime per i primi nuclei partigiani.

Già nell’autunno 1943 alcuni giovani antifascisti di Funo compirono le prime azioni di guerra, tra cui disarmi di fascisti; promos[...]

[...]settembre. Particolarmente importante il recupero di una decina di mitragliatrici « Breda » e « Fiat » (con relative munizioni), smontate dai carri armati italiani che i tedeschi, dopo il dissolvimento dell’esercito, avevano concentrato a Castel Maggiore, nella vicina caserma del Genio Ferrovieri. Quelle mitragliatrici, riattate da artigiani locali, saranno armi preziosissime per i primi nuclei partigiani.

Già nell’autunno 1943 alcuni giovani antifascisti di Funo compirono le prime azioni di guerra, tra cui disarmi di fascisti; promossero contatti con gruppi di altre località e li collegarono tra loro. Nel gennaio 1944 le donne^ della frazione, in unione con molte altre e spalleggiate dai partigiani, manifestarono ad Argelato « per ottenere la libera compra del latte, la distribuzione dei grassi e dei generi tesserati », e « contro il sistematico saccheggio di questi generi operato dai nazifascisti ». Manifestazioni dello stesso genere si ripeterono a breve distanza, realizzando una fusione completa fra l’azione economicorivendicativa della po[...]

Brano: Porta San Paolo

derazione » degli Alleati. Roma fu il luogo dove si espresse una prima forma di riscatto da parte di un popolo deciso a prendere in mano il proprio destino e fu il primo « laboratorio » della Resistenza. Fu anche il luogo in cui, nella carenza delle autorità statuali, la Resistenza si fece governo, attraverso il Comitato centrale di liberazione nazionale (modello ispiratore degli analoghi comitati locali) e dove i partiti antifascisti sperimentarono i loro ancora sparuti drappelli, che diventeranno poi !’« esercito » della Resistenza.

La preparazione

Nei 45 giorni del governo Badoglio la città, per la concomitante preoccupazione di garantire l’incolumità e la sicurezza della monarchia, del papato, del governo, era stata quasi « fortificata », dotata di una specie di « cintura di sicurezza », costituita da numerose Divisioni. (« Piave », « Ariete », « Piacenza », « Granatieri »), ulteriormente rafforzata nei primi giorni di settembre con unità ritirate da fronti esterni e qui concentrate (Si veda Armistizio e difesa d[...]

[...]ni e Giuseppe Saragat il P.S.I..

C’erano stati anche i primi addestramenti militari ed era stato trascritto sulla carta il potenziale militare antifascista. Longo aveva steso per il Comitato delle opposizioni un « promemoria », in cui si esprimeva la necessità di « formare e armare 'unità popolari »; si erano stabiliti contatti fra il generale comandante del Corpo d’armata motocorazzato di Roma, Giacomo Carboni, e i rappresentanti dei partiti antifascisti. Insomma era in corso nella Capitale un serio tentativo, da parte degli antifascisti, non soltanto di presentarsi come forza sollecitatrice e proponitrice a livello politico (contro i ritardi, le incertezze e la politica sostanzialmente antipopolare del governo Badoglio), ma anche di prevedere l’immediato corso degli eventi e di prepararsi allo scontro armato con i

tedeschi. Gli antifascisti, addestratisi negli anni della clandestinità, dell’esilio e della guerra di Spagna vedevano ben oltre la « piccola » politica di Badoglio.

La battaglia

All’alba del 9 settembre il re, il governo e le autorità militari abbandonarono Roma, preoccupati unicamente delle loro persone e fecero spostare le Divisioni « Ariete » e « Piave » su Tivoli, con il chiaro intento di essere protetti nella fuga (v. Pescara, Fuga c/i). Essi lasciarono i loro diretti collaboratori senza ordini, dimenticando di confermare persino le vaghissime indicazioni di lotta antitedesca prefigurate nell’ambigua circol[...]

[...]sione Granatieri che combattè ininterrottamente dalla notte del 9, sostenuta dai Lancieri del Genova Cavalleria, da reparti della Divisione « Sassari », da militi della P.A.I. (Polizia Africa Italiana) e da truppe dei depositi, tutti giunti peraltro tardivamente.

Intorno alle antiche mura, al riparo di vetture tranviarie rovesciate, dietro barricate erette con pietre divelte dal selciato, accanto ai soldati si trovarono lavoratori e militanti antifascisti di varia estrazione.

Militari e civili si apprestano a resistere ai tedeschi a Porta San Paolo. A destra, in borghese: Raffaele Persichetti (10.9.1943)

Al comando d’un plotone si trovò il professore Raffaele Persichetti (v.) che fece proprie le armi di un caduto. Tra i dirigenti del movimento antifascista, furono a Porta San Pao

lo i comunisti Longo, Antonello Trombadori, Fabrizio Onofri; gli azionisti Lussu, Cencio Baldazzi, La Malfa; i socialisti Sandro Pertini, Eugenio Colomi, Zagari, Achille Corona, i cattolici comunisti Romualdo Chiesa e Ossicini; il dirigente sindacalista Bruno[...]

[...] mentre alcune decine di granatieri del capitano Giulio Gasparri sbarrarono l’accesso al popolare quartiere di Testaccio, difeso anche dai carri leggeri e dalle camionette del capitano Camillo Sabatini.

Sulla linea del fuoco arrivarono i civili, armati nei modi più disparati. La storia dell'accanita caccia alle armi dei giorni precedenti (armi prima concesse dal generale Carboni e accantonate in depositi, poi sequestrate, infine riprese dagli antifascisti) fu un aspetto non secondario del contraddittorio modo di procedere delle varie autorità militari, strette fra condiscendenza ad armare un « esercito » popolare e paura di una iniziativa popolare armata. Alcuni civili arrivarono a piedi, altri su camion superando gli ostacoli incontrati anche durante il percorso (due camion carichi di socialisti furono fermati dai carabinieri a Piazza Venezia e i patrioti dovettero insistere parecchio per non essere disarmati).

La difesa di Roma era però condannata, prima ancora che dalla inferiorità numerica dei difensori, dallo spontaneismo e dalla manca[...]