Brano: Partito fascista repubblicano
« Il partito deve essere minoranza eletta e non maggioranza bacata », scriveva il Regime fascista.
ristretta base sociale piccoloborghese, peraltro incapace, nell’assenza dello Stato, di una sua autonoma mobilitazione militante.
È chiaro quindi che il P.F.R., dovendosi sostituire allo Stato, ritrovava ostacoli insormontabili anche in direzione di quegli strati sociali che pure aveva scelto come propri interlocutori naturali. Il partito si adoperò per colmare il vuoto lasciato dall’evanescenza delle strutture statuali della R.S.I. potenziando la propria stampa e cercando di avviare un dialogo con l’opinione pubblica al di là dei tramiti istituzionali: i fogli Regime fascista, Repubblica fascista, Crociata italica e altri, gestiti direttamente dal P.F.R. (con una linea politica direttamente ispirata da Pavolini) si sostituirono alle inesistenti o i[...]
[...]acoli insormontabili anche in direzione di quegli strati sociali che pure aveva scelto come propri interlocutori naturali. Il partito si adoperò per colmare il vuoto lasciato dall’evanescenza delle strutture statuali della R.S.I. potenziando la propria stampa e cercando di avviare un dialogo con l’opinione pubblica al di là dei tramiti istituzionali: i fogli Regime fascista, Repubblica fascista, Crociata italica e altri, gestiti direttamente dal P.F.R. (con una linea politica direttamente ispirata da Pavolini) si sostituirono alle inesistenti o inefficienti organizzazioni di partito (fasci e federazioni) per sostenere scelte politiche e far opera di proselitismo, con risultati ovviamente nulli. D’altra parte, la pretesa del P.F.R. di costituire il « corpo militante » del neofascismo era palesemente smentita dalla contemporanea presenza di bande squadristiche militari e paramilitari che sperimentavano con molta più efficacia quella pratica del « partito in armi » invano teorizzata da Pavolini. La Legione Muti, la Decima Mas, la banda Koch, la banda Carità (si vedano le rispettive voci) e tutte le varie compagnie di ventura che segnavano il mondo turbolento del fascismo repubblicano si sostituivano al partito nel mobilitare e organizzare gli « irriducibili ».
Accanto all'inversione del rapporto partitoStato, era quest[...]
[...]hini in Lunigiana (1944)
Ma per l'ala moderata del neofascismo si trattava di trovare gli strumenti più efficaci per l’organizzazione de! consenso intorno al nuovo regime, rifiutando « il partito dei pochi ma buoni » che, nella sua logica settaria, restringeva i momenti di contatto tra gerarchie e opinione pubblica. Soltanto nella primavera
Mussolini parla al Lirico di Milano. Sono con lui (a sinistra) Francesco Barracu e il segretario del P.F.R. Alessandro Pavolini (16.12.1944)
un’altra notevole differenziazione tra il P.F.R. e il P.N.F.. Se nel ventennio, a partire dal 19251927, le istanze squadristiche nell’ambito del partito erano state assorbite e smorzate con la fondazione della Milizia (v.) (che aveva segnato il prevalere dell’ala perbenista e « legalitaria » del fascismo delle origini), nella Repubblica sociale lo squadrismo potè prendersi la rivincita, costringendo il partito ad adeguarsi alla sua efficienza militare. Nell’estate del 1944 a Pavolini non restò che prendere atto di questa mutata situazione: il segretario nazionale diede l’ordine di mobilitare tutti gli iscritti nelle Brigate Nere (v.), trasf[...]
[...]a mutata situazione: il segretario nazionale diede l’ordine di mobilitare tutti gli iscritti nelle Brigate Nere (v.), trasformandoli in militari per « affrontare le supreme esigenze della guerra civile ».
Alla fine della « ristrutturazione »,
nelle Brigate Nere si contarono
11.000 militi; pochi, rispetto alle centinaia di migliaia censiti come « iscritti ». Di fatto, nel passaggio da « partito delle tessere » a « partito dei fucili » il P.F.R. aveva smarrito insieme ai propri iscritti anche la propria autonoma fisionomia.
Partito unico e pluralismo politico
Diverse erano inoltre le coordinate politiche, nel cui ambito il P.F.R. (rispetto al vecchio P.N.F.) era chiamato ad operare. Per la prima volta aH’interno del paese dominato dalla dittatura fascista si poneva il problema della coesistenza con altri partiti (clandestini è vero, ma vivi e operanti), ed emergeva concretamente l’alternativa tra partito unico e pluralismo politico. All’inizio ci fu il tentativo di risolvere la contraddizione all’interno del partito unico, ammettendo l’ipotesi di « correnti » nel P.F.R. e di una sua apertura « democratica » a tutti gli apporti, cioè alle « forze sane dell’antifascismo ». Ipotesi nettamente respinta dall’intransigenza fascista, ispirata a una concezione esclusivista:
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