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Il segmento testuale Messa è stato estratto automaticamente da un complesso algoritmo di KosmosDOC di tipo "autogeno", ossia sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 27Analitici, di cui in selezione 1 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Massimo Mila, Guillaume Dufay, musicista franco-borgognone in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]icologo Heinrich Besseler (19001969) per l'American Institute of Musicology di Roma, sta restituendo voce e sostanza di suono a quello che era fin qui un fantasma musicologico, menzionato con onore nelle storie della musica, in realtà ignorato nella concretezza delle sue invenzioni musicali, e perciò gratificato d'un'ambigua collocazione restrittiva, che non gli spetta affatto: quella d'artista di transizione.
Salvo rarissime eccezioni (come la messa Se la face ay pale, pubblicata in edizione moderna nel 1900 e, limitatamente al Kyrie, fin dal 1834 nella Storia della musica del Kiesewetter, e come la strofa della canzone petrarchesca Vergine bella, pubblicata in facsimile dal Lisio nel 1893, e l'anno dopo in notazione moderna da Franz Xavier Haberl), si può affermare senza troppa esagerazione che per quasi cinque secoli mai una nota di Duf ay ebbe piú a risuonare nel mondo. Gli studi di cui fu oggetto e la bibliografia che gli si era formata intorno, competente ma scarsa, sono frutto della lettura astratta e della difficile decifrazione i[...]

[...]r ringraziarlo di certi cantori ch'egli aveva mandato dalla chiesa di Cambrai su richiesta di Piero de' Medici. Questi lo teneva in altissima stima: « de vobis semper honorificentissime loquitur », assicura lo Squarcialupi. Anzi, lo considerava il più grande ornamento del secolo: « asserit, quod et ego libenter assentior, maxime esse vos ornamento nostrae aetati ». E gli allegava una canzone del giovane duca Lorenzo, che avrebbe desiderato fosse messa in musica dal sommo borgognone. (Purtroppo non si sa né di quale canzone si trattasse, né quale fine abbia avuto questa pratica, ma dal 1450 Dufay aveva dimesso ogni composizione profana.)
Dufay mori serenamente, a Cambrai il 27 novembre 1474, dopo aver disposto dei propri beni in un minuzioso testamento. Si era fatto scolpire la pietra tombale (ora nel museo di Lilla). Volle che ai funerali fosse cantata la sua Messa da Requiem (oggi perduta). Per l'ora notturna del decesso non poté essere esaudito l'altro suo desiderio, che alla sua morte si cantasse il mottetto Ave regina coelorum, capolavoro dei suoi anni maturi, nel quale aveva inserito un patetico accenno a se stesso (« Miserere tui labentis Duf ay »), dal quale risulta senza possibilità di equivoco che il suo nome era da pronunciare in tre sillabe, con accento sull'ultima vocale.
3. L'arte di Dufay si colloca in quel clima tardogotico, connesso con la breve ma luminosa fioritura culturale del regno di Borgogna, che lo storico Huizinga ha definito «[...]

[...] senso festivo e gratulatorio della lieta solennità religiosa,
e tuttavia fa quasi passare in sottordine il valore estetico, perché, in fondo, che cosa conta un bel mottetto in piú o in meno, di fronte a una cosí sbalorditiva esibizione di intelligenza costruttiva? In verità, il Dufay di Nuper rosarum flores non ha nulla da invidiare alla sapienza costruttiva degli ingegneri musicali fiamminghi, quali Obrecht e Ockeghem, e lo « agencement », la messa in opera di queste sottili strutture musicali ci fa pensare, con un balzo di cinque secoli, alla straordinaria lucidità esplicata da Arnold Schönberg nelle combinazioni seriali delle Variazioni per orchestra op. 31.
Ma già l'adozione del fauxbourdon nella seconda messa di Duf ay manifestava il desiderio di uscire dalla scarna struttura arsnovistica di un larvato contrappunto a 3 voci, di cui una, il Superius, predomina nettamente e le altre due si combinano, e spesso si incrociano, nella funzione di « HarmonieTräger », portatrici d'armonia, ossia con mero compito di sostegno. E questo lo stile acerbo di quelle che gli studiosi tedeschi definiscono « KantilenenMessen », e che vale anche per tutta la produzione profana di Duf ay
e dei suoi contemporanei.
Il fauxbourdon — la famosa « contenance angloise », come viene chiamato nel Champion des dames (146162) [...]

[...]uo della melodia, che sembra sempre uguale, ruota sempre intorno a un modulo costante, e poi quando si va a vedere da vicino cercando d'individuare ripetizioni e ritorni, non c'è verso di scoprire due passi assolutamente uguali: sembra di voler afferrare acqua con le mani.
Questa regola della variazione perpetua è corretta ma non contraddetta dal forte desiderio di unità che guida Duf ay nelle opere maggiori: ognuna delle cinque sezioni di ogni Messa comincia con un « motivo di testa » sempre uguale (che non ha nulla da vedere col cantus firmus del Tenor). Si tratta d'una formula introduttiva, esaurita la quale la variabilità della melodia riprende i suoi diritti. Naturalmente fanno eccezione le canzoni in forma di ballata e piú ancora quelle in forma di rondeau, dove l'elaborata struttura metrica porta con sé la ripetizione strofica della melodia. Ma anche qui non è detto che la ripetizione sia proprio sempre testuale. Il genio di Dufay è quello della ripetizione variata.
4. Riflesso d'una mondana vita di corte, la vaghissima produzione[...]

[...]doveva certamente aver conosciuto.
Pur in chiave di simbolismo galante, la divertente canzone Donnez l'assaut à la forteresse sembra anticipare il realismo descrittivo delle cinquecentesche canzoni di Jannequin: la forteresse è semplicemente il cuore d'una bella donna altera, ma la composizione raccoglie le metafore militaresche del testo con accenti di fanfara (che si riscontrano anche nella canzone Se la face ay pale, e conseguentemente nella Messa omonima che ne deriva).
Quando escono dalla stereotipata galanteria cortigiana, le canzoni permettono talvolta di allungare uno sguardo nel carattere del personaggio Dufay. Lo vediamo in veste di saggio consigliere nella ballata Mon chier amy, curiosa composizione ortatoria, di tono quasi goethiano, per consolare un tale che, disperato per la perdita d'un carissimo amico, meditava il suicidio.
Negli anni in cui fece vita di mondo, Dufay dovette essere un simpatico bon vivant, gradito a principi e dame, che dilettava con la sua arte di cantore, e lieto compagno di passatempi, aperto a godere[...]

[...]ammettere che nel campo profano, da lui abbandonato dopo il 1450, Dufay fu forse sopravanzato dall'eleganza squisita del suo coetaneo Binchois. Ma nella produzione sacra, sentita con un'intimità di partecipazione che esclude ogni rigidezza di parata liturgica, Duf ay non ha
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uguali al suo tempo, specialmente dopo che con la Missa Caput (ca. 1440) l'adozione del Tenor (sia gregoriano, sia — in due casi — profano) conferisce alla Messa unità di concezione, cercata anche con l'ingenuo (e personalissimo) espediente di applicare come un sigillo, all'inizio d'ognuna delle cinque sezioni, un incipit sempre uguale e indipendente dal Tenor.
Un po' a disagio nell'abbondanza di parole di Gloria e Credo, che specialmente nelle prime Messe sforza il compositore verso una sconveniente rapidità di sillabazione in un eccesso di « diminuzioni », la variazione melodica di Dufay meglio si giova dell'atmosfera lirica di Benedictus e Agnus Dei, e della concisa indeterminatezza verbale del Kyrie.
La religiosità è veramente la sostanza dell'a[...]

[...]minatezza verbale del Kyrie.
La religiosità è veramente la sostanza dell'anima di Dufay, ma non è una religiosità drammatica come quella di Josquin, di Orlando di Lasso e di Victoria; né solennemente pontificale come quella di Palestrina. E un bene intimo, serenamente posseduto, che ha la sua luminosa espressione giovanile nel citato mottetto fiorentino Nuper rosarum flores (1436). Nei capolavori della vecchiaia (Ave Regina coelorum, mottetto e messa) quella religiosità si colora di commovente autocommiserazione, ma mai il Dio di Duf ay potrebbe prendere la figura temibile del judex venturus (purtroppo è perduta la Messa da Requiem che Dufay aveva scritto per se stesso). È un Dio pietoso, tutto compassione, carità, amico della bellezza, dei fiori; forse non ha nulla in contrario nemmeno nei riguardi delle « mirandae puellae » fiorentine.
Nell'età matura si spiega la sollecitudine civile dell'artista in composizioni determinate da occasioni celebrative e politiche, come i mottetti Apostolo glorioso (1426), Supremum est mortalibus donum (1433), Magnanimae gentis (1438 o 1443), e la ballata C'est bien raison de devoir essaucier (1433), questi ultimi tutti in lode della pace, vuoi tra il papa e l'imperatore, vuo[...]

[...]y accoglie definitivamente lo stile a 4 voci, conseguendo una pienezza di suono, un equilibrio di parti in sé autonome (mentre nello stile a 3 voci delle KantilenenMessen il Superius prevaleva decisamente sopra le altre due voci in funzione di sostegno quali HarmonieTräger), che le pone apertamente sulla strada della grande polifonia fiamminga.
Ma la Missa Caput (cosi detta dal nome del Tenor, che Dufay assume per la prima volta a cardine d'una Messa) è legata per qualche occasione sconosciuta alle norme della liturgia inglese (per esempio tutti i pezzi sono bipartiti, e il Kyrie, che nell'uso inglese non veniva cantato polifonicamente, ma intonato all'unissono su una melodia gregoriana, Dufay lo aggiunse nel 1463, cioè nell'età della sua piena maturità, ma gli mantenne forma binaria, intonando solo Kyrie eleison e Christe eleison, senza ripresa del Kyrie).
La piena e maestosa maturità polifonica dello stile a 4 voci, inaugurato con qualche timidezza nella Missa Caput, si spiega nella messa Se la face ay pale, databile intorno al 1450. A[...]

[...] i pezzi sono bipartiti, e il Kyrie, che nell'uso inglese non veniva cantato polifonicamente, ma intonato all'unissono su una melodia gregoriana, Dufay lo aggiunse nel 1463, cioè nell'età della sua piena maturità, ma gli mantenne forma binaria, intonando solo Kyrie eleison e Christe eleison, senza ripresa del Kyrie).
La piena e maestosa maturità polifonica dello stile a 4 voci, inaugurato con qualche timidezza nella Missa Caput, si spiega nella messa Se la face ay pale, databile intorno al 1450. A passare dalla Caput a questa si ha l'impressione, per cosi dire, di cambiar di secolo: uscire dalla magrezza adolescente del Quattrocento ed entrare in una specie di anticipazione del Rinascimento. Il Tenor, profano, è la melodia d'una ballata a 3 voci dello stesso Duf ay, forse di derivazione popolare e tipico esempio di chanson équivoquée, cioè con ricercati giochi di parole tra « amer = amare », « amer = amaro », « mer =mare », e cosí via 4. Assegnata alla terza voce (detta appunto Tenor) la melodia del Cantus firmus rimane inalterata nel suo[...]

[...]ra francese di GioVANNI MACCHIA (Torino, ERI, 1961) numerosi esempi di palindromi e altri artificiosi giochi di parole nelle poesie del Trecento, che sembrano un'imitazione verbale dei complicati procedimenti a cui si stava avviando il contrappunto in musica.
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al sistema delle « proportiones », cioè aumentazioni e diminuzioni ritmiche, con effetto di dilatazione e restringimento nel tempo.
Su un Tenor profano è pure fondata la messa L'homme armé, collocata dagli studiosi tra il 1455 e il 1460, e perciò dopo la messa La mort de SaintGothard, la cui attribuzione a Dufay fu a lungo messa in dubbio, ma invece risolutamente affermata dal Besseler, senza poterne accertare esattamente la data, se prima o dopo la messa Se la face ay pale, forse in connessione con l'ambiente della corte dei Savoia.
La messa L'homme armé è forse la prima delle oltre trenta Messe che vennero composte, nel Cinquecento e perfino ancora nel Seicento, da Carissimi, sopra una celebre canzone francese, forse d'origine popolare, forse dovuta al compatriota di Duf ay, e alquanto piú giovane di lui, Antoine Busnois (che lui pure ci scrisse su una Messa). È una melodia in tono minore, piú malinconica che ribalda, in chiara forma ternaria ABA. Nella sua Messa Dufay permette ogni tanto a questo Cantus firmus di straripare fuori dal Tenor e di penetrare anche nelle altre voci (secondo una tecnica che aveva già abbozzata nella Messa Se la face ay pale, limitatamente alla fanfara di triadi maggiori spezzate che conclude quella melodia).
Di un Tenor gregoriano si serve la penultima messa di Dufay, Ecce ancilla Domini, mentre l'ultima, Ave regina coelorum, trae il cantus firmus dall'omonimo mottetto che il compositore aveva scritto per invocare la protezione della Madonna nell'ora della propria morte. Si trattava infatti di un mottetto « tropato », nel quale, cioè, alle parole dell'antifona gregoriana Ecce ancilla Domini si associavano, alternamente o parallelamente, parole d'invenzione del compositore (tra cui il rivelatore e commovente « miserere tui labentis Dufay »).
L'ultima messa è il capolavoro di Dufay. Una distanza immensa la separa dalla giovanile Missa sine nomine [...]

[...]regina coelorum, trae il cantus firmus dall'omonimo mottetto che il compositore aveva scritto per invocare la protezione della Madonna nell'ora della propria morte. Si trattava infatti di un mottetto « tropato », nel quale, cioè, alle parole dell'antifona gregoriana Ecce ancilla Domini si associavano, alternamente o parallelamente, parole d'invenzione del compositore (tra cui il rivelatore e commovente « miserere tui labentis Dufay »).
L'ultima messa è il capolavoro di Dufay. Una distanza immensa la separa dalla giovanile Missa sine nomine e dalle altre gracili composizioni dei suoi anni italiani, sanzionando la caratteristica evolutiva della sua arte, in continuo progresso ed aggiornamento tecnico. In particolare quella pratica, già segnalata nella messa L'homme armé, ed eccezionalmente anche nella messa Se la face ay pale, di estendere il cantus firmus anche ad altre voci fuori del Tenor, qui si sviluppa ulteriormente. E poiché il cantus firmus Dufay lo deduce dal proprio mottetto Ave regina coelorum, si potrebbe tutto sommato additare nella messa omonima il primo esempio di missa parodia: di messa, cioè, dove non soltanto il Tenor viene desunto da una composizione già polifonica (anziché dal gregoriano o da una melodia popolare), ma tutta questa composizione viene impiegata e rimaneggiata nel corso della messa. In particolare risuona tale quale, nell'Agnus Dei, il patetico « miserere tui labentis Duf ay », in do minore. Non meno che il vivo interesse per gli avvenimenti storicopolitici del suo tempo, anche questa capacità d'inserire ele
GUILLAUME DUFAY, MUSICISTA FRANCOBORGOGNONE 169
menti soggettivi nelle proprie composizioni è un contrassegno della « modernità » di Duf ay, che tanto lo distingue dall'accademica impersonalità della polifonia sacra.
A Dufay toccò una sorte simile a quella di Bach: la sua fortuna fu, li per 11, sbarrata dall'affermazione della grande polifonia fiamminga, anche se[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Messa, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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