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Il segmento testuale Graf è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 27Analitici , di cui in selezione 2 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]e per giustificare tutto: guardiamo Marchesi come egli guardò Seneca, cercando di capire, non di condannare o giustificare tutte le sue debolezze. Chiunque discute di queste cose, dovrebbe prima leggersi il suo saggio su Seneca.
Ogni studio critico, ma piú che mai uno studio su una personalità di questa natura, esige da parte dell'autore la compresenza di due doti e di due atteggiamenti: da un lato quel distacco che impedisce di cadere nell'agiografia (e di agiografia, a proposito di. Marchesi, se ne è fatta troppa, da parte cattolica e da parte comunista, anche se, per esempio, l'amore di un Ezio Franceschini per la memoria del maestro è cosí caldo . e puro da rendere degne di rispetto certe evidenti forzature); dall'altro una convinzione che, al di là di aspetti caduchi, il personaggio preso in esame ci abbia lasciato insegnamenti importanti, abbia arricchito la nostra cultura e la nostra umanità.
A prima vista, chi conosca Antonio La Penna considererà forse piú ovvio e comprensibile il distacco nei riguardi di Marchesi che la capacità di adesione e d[...]

[...]l tutto antitetica a quella di Marchesi. In Marchesi storico del mondo latino c'è una passione politica che dà spesso origine a giudizi acuti, ma non c'è alcuna seria presa di contatto col marxismo (cfr. La Penna, p. 13). Ancor maggiore è l'estraneità a quell'indirizzo filologico « wilamowitziano » a cui abbiamo accennato poc'anzi. In Marchesi il fatto poetico ha i propri antecedenti solo nell'esperienza sentimentale, nella psicologia e nella biografia del poeta, non nella lettura di poeti precedenti, nella tradizione culturale a cui il poeta appartiene (La Penna, pp. 37, 55 s., 73 s., 93).
Nella prolusione padovana del 1923 Filologia e filologismo (in Scritti minori, Firenze 1978, rii, p. 1233 ss.: d'ora innanzi indicherò, seguendo il La Penna, questa silloge con SM), al cui esame il La Penna dedica il cap. viii, uno dei piú penetranti del suo libro, Marchesi conduce contro lo « studio delle
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fonti » una polemica che, in ciò che ha di giusto, è una battaglia di retroguardia, perché critica un me[...]

[...]are ». Si confronti l'accenno a Plauto nella recensione già citata al Leo (SM, in, p.. 1108) con ciò che nella Storia della letteratura latina (i`, p. 75) si dice di Plauto poeta « ellenistico », non « ignorante di genio », ma « grande poeta » e perciò « uomo di grande cultura: perché l'arte si alimenta di conoscenza e di studio: altrimenti è improvvisazione artistica di breve durata »; si vedano ancora, nella Storia (vol. cit., pp. 7375), i paragrafi sulla lingua plautina (che « non è quella del volgo, com'è mala consuetudine ripetere ») e sulla metrica; e si riconoscerà ben chiaro l'influsso del Leo. A proposito dell'origine dei cantica c'è perfino un accenno alle due teorie del Leo e di Eduard Fraenkel (derivazione dalla lirica ellenistica o dai cantica tragici?): dalla lettura del Leo Marchesi era passato, sia pure nei limiti di una rapida e non approfondita informazione, alla conoscenza di lavori plautini della scuola del Leo.
Come si vede, qui fa capolino una concezione del rapporto fra ispirazione poetica e « cultura » che contras[...]

[...] si esagerò in « desanctisismo di sinistra », fu perché non si videro i limiti (d'indirizzo politico e, connessi con questi, anche di gusto estetico) di una prospettiva storica e critica che tagliava fuori Cattaneo, Pisacane, la prima scapigliatura, e fondamentalmente non capiva nemmeno Leopardi. Tuttavia nello Studio sul Leopardi, l'ultima opera rimasta incompiuta, c'è un'esigenza di ricerca filologicostorica e addirittura di preparazione bibliografica, di metodo
« tedesco ». Che cosa di tutto ciò ereditò Marchesi? Direi nulla, anche a volersi limitare al « gusto », che In Marchesi è sempre collegato con uno psicologismo, con una predilezione per le « anime tormentate » a cui De Sanctis (anche per
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ragioni di diversa epoca, di diverso clima socialeculturale) fu estraneo. Io temo che a questo ravvicinamento De SanctisMarchesi abbia contribuito una nozione di « critica romantica » assunta in un senso un po' troppo generico. Ciò che in seguito diremo su Marchesi « tardopositivista » contribuirà forse a distaccarlo[...]

[...]ritica romantica » assunta in un senso un po' troppo generico. Ciò che in seguito diremo su Marchesi « tardopositivista » contribuirà forse a distaccarlo ulteriormente dal De Sanctis. Ma anche rimanendo nella cerchia degli eventuali predecessori medioottocenteschi, direi che, pur con la giusta avvertenza di La Penna (p. 37: in Marchesi l'incontro con lo scrittore in quanto uomo « avviene sempre attraverso l'opera: non c'è traccia di curiosità biografiche più o meno futili, alla maniera di SainteBeuve »), l'affinità con SainteBeuve sia piú forte,
o meno debole, di quella con De Sanctis.
3. « Umanità perenne », arte, bisogno religioso. — Abbiamo già accennato che La Penna considera, giustamente, come un limite di Marchesi la concezione della poesia come espressione esclusiva dell'esperienza umana immediata del poeta, al di fuori di condizionamenti politicosociali e culturali. Ma altrettanto giustamente La Penna non nega che in questa concezione vi sia un aspetto positivo importante: la poesia è anche un
« fatto personale », non solo l'el[...]

[...]ioè vita, sensibilità, stati d'animo, nodo piú o meno intricato di bisogni e di problemi morali, cultura ecc.) e cercare nelle forme retoriche l'espressione dell'uomo. L..] L'espressione letteraria passa attraverso l'uomo: non riesco ancora a capire una storia della letteratura senza soggetti, senza persone (la polemica di Althusser contro l'umanesimo ha alcune ragioni valide, ma gli esiti non convincono interamente) L..] ] Credo che anche la biografia, a parte le curiosità futili, sia un passaggio obbligato » (p. 94 s.).
Mi sia lecito, en passant, esprimere la mia gioia nel vedere finalmente in La Penna una « presa di distanza » da Althusser, che in questi ultimi anni egli aveva considerato come il marxista piú originale dei tempi recenti: una presa di distanza, a mio parere, ancora insufficiente, poiché credo che su Althusser vada dato un giudizio ben piú duro (non mi pento di ciò che ho scritto in Sul materialismo, Pisa 19752, pp. 4546, 49, 188191, 250, 258 e altrove). Ma qui importa notare come La Penna abbia individuato uno dei punt[...]

[...].
Ciò che non possono dare filosofia e scienza, può darlo, anche se non interamente, l'arte. A volte (vedi l'accenno, forse troppo fugace, di La Penna, p. 36) sembra che l'arte, per Marchesi, sia dotata di quel potere gnoseologico, unificatore e inveratore di un'esperienza altrimenti caotica e contraddittoria, che una secolare tradizione attribuisce appunto alla filosofia (o alla scienza intesa come antiempirla, antiesperienza comune). La storiografia stessa raggiungerebbe la « verità » grazie alle doti artistiche dello storico, non ai vani sforzi di ricostruzione basati sulla ricerca documentaria. Questo concetto è espresso nell'introduzione al Bellum Catilinae di Sallustio (poi in Voci di antichi, Roma 1946, p. 41 ss.: « la voce dell'arte contemplatrice del passato scopre una parte, almeno, di ciò che è vero nella vita degli uomini. Il resto è oscurità e silenzio ») e, con ancor piú recisione, nel saggio su Livio e la verità storica (in Voci di antichi, pp. 119121). Per via d'indagine razionale, dice Marchesi, la storia si frantuma in [...]

[...]dante — può venire in mente di chiedere se l'episodio sia nei suoi particolari abbastanza documentato? ». Si potrebbe obiettare che Marchesi stesso talvolta non crede ai suoi prediletti storiciartisti: rivaluta Catilina contro Sallustio, Tiberio contro Tacito (cfr. La Penna, pp. 9 s., 68 s., che giustamente mette in rilievo il notevole valore di queste rivalutazioni). Qui la passione politica « di sinistra » nel primo caso, una consonanza autobiografica con la tristezza di Tiberio nel secondo, hanno portato Marchesi a dissentire; ma a dissentire, se ben si guarda, mettendosi egli stesso in gara, come storicoartista e storicopsicologo, con Sallustio e con Tacito. E con ragione osserva La Penna (p. 69) a proposito del dissenso su Tiberio: « Neppure si può parlare di un'opposizione del critico al proprio autore; giacché Tacito ha ricevuto il personaggio di Tiberio dalla tradizione aristocratica, ma è stato lui a crearne l'anima; e nel crearne l'anima (possiamo aggiungere ricorrendo al concetto che il critico formulerà per Livio e Sallustio) [...]

[...]na cercarli fra i Greci o fra i moderni ». Ma quel paragone scompare nelle successive edizioni della Storia (non saprei precisare a partire da quale: certo nella quarta non c'è), e tutto ciò che Marchesi ha scritto su Lucrezio, dal saggio marzialiano del 1905 (SM, i, p. 189, cfr. LA PENNA, p. 31 s.) alla già citata conferenza del 1950, denota un'ammirazione superiore a quella per Virgilio (sul lucrezianesimo di Marchesi vedi anche qui sotto, paragrafo 6). Nel saggio su Virgilio del 1930 (in Voci di antichi, pp. 1112) il paragone è esplicitamente rovesciato a favore di Lucrezio. D'altra parte, mentre capisco bene come La Penna (ed io con lui, e, per ragioni in parte diverse, già Marchesi) possa collocare Lucrezio al vertice della letteratura latina per l'ideologia, non riesco a vedere una inferiorità di Virgilio sul piano artistico e piú generalmente umano. A certe altezze, credo che le graduatorie di valore siano arbitrarie;' e la grandezza di Virgilio, proprio La Penna, in uno dei suoi saggi piú perfetti, l'ha fatta intendere meglio di o[...]

[...]Persio è a mio avviso giustificata (su questo punto so di non poter consentire con l'amico La Penna; ma una discussione, ora, ci porterebbe troppo fuori tema), ingiusto, ancor piú ingiusto, credo, di quanto appaia a La Penna (p. 75), è il giudizio, pieno di riserve e di restrizioni su Lucano 5.
Anche le predilezioni di Marchesi sono talvolta pericolose, giacché egli riversa nell'interpretazione degli autori da lui piú amati una carica di autobiografismo che da un lato è preziosa per penetrarne la psicologia e l'arte, d'altro lato è spesso troppo immediata, troppo tendente all'identificazione. Si veda il caso di Marziale: indubbiamente Marchesi ha « ritagliato » un Marziale melanconico, gustatore di amori fugaci e conscio della loro fugacità, osservatore disincantato di una società caotica, precocemente invecchiato e desideroso di pace nella sua città natale; e su tutto ciò ci ha dato, a piú riprese, pagine fra le sue piú felici. Ma non ci ha detto una parola su quanto di pettegolo, di futile, di moralisticamente frusto c'è nei troppi epi[...]

[...] parte di verità). E d'altra parte non ci ha detto nulla neanche su quell'aspetto di vitalità sorgiva, « al di qua del bene e del male », che è un carattere di alcuni tra i piú vivi epigrammi, messo piú tardi in evidenza dal La Penna (« Maia » vut, 1955, p. 137). Anche al Seneca (il libro a cui probabilmente Marchesi teneva di piú, come dimostra la dedica alla memoria della persona da lui piú amata, sua madre) nuoce talvolta un eccesso di autobiografismo che è, insieme, un eccesso di psicologismo, di quella predilezione per le « anime tormentate » a cui già s'è accennato. L'ammirazione per Seneca passa ogni limite: da molti passi sembra chiaro che Marchesi lo consideri l'autore piú grande di tutta l'antichità, se non di tutta l'umanità. Nella
5 In un saggio giovanile su un volgarizzamento medievale della Pharsalia (SM, i, p. 247, segnalato brevemente dal LA PENNA, p. 21) Marchesi sembra aver intuito, attraverso il Fortleben di Lucano nel Medioevo, i due principali motivi ispiratori — strettamente legati l'uno all'altro — di questo poeta:[...]

[...]re del tardo positivismo (un settore rappresentato, almeno in Italia, piú da letterati e studiosi di discipline umanistiche che da scien
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ziati della natura) questa concezione dualistica, che in quanto tale, come si è visto, compare già nel primo positivismo, assume una carica di « sgomento cosmico » e di ansia per il destino effimero dell'uomo. Due poeti e studiosi pur molto diversi l'uno dall'altro, Pascoli e Graf, esprimono spesso questo bisogno religioso all'interno di una cultura che è ancora nettamente positivistica; lo stesso si può dire di un autore a cui il Marchesi fu molto vicino nei suoi anni giovanili, Mario Rapisardi (cfr. La Penna, p. 7 s.; si pensi specialmente al Giobbe di Rapisardi; e si tengano presenti le affinità che risultano dal carteggio GrafRapisardi pubblicato da Carmelina Naselli in « Archivio storico per la Sicilia orientale », LVIII, 1962, fasc. 13, LIx, 1963, fasc. 13). Nessuno di essi pensò mai alla possibilità di porre l'uomo al centro dell'universo, di « dissolvere » la materia facendone l'oggetto del pensiero, di negare l'assolutezza delle leggi naturali. L'uomo rimaneva l'abitante periferico e casuale di un mondo tanto piú vasto di lui, retto da cieche e inesorabili leggi meccaniche: la scienza in cui essi credevano (quel tanto di scienza giunta ad essi attraverso opere di divulgazione o assorbita dalla cultura generale[...]

[...]ltrimenti, se in questo mondo lo Spirito regnasse, il dolore e il senso angoscioso di finitudine dell'uomo non avrebbero ragion d'essere), ma di orgoglio ottimistico, di pretesa di fugare il « mistero ». Ancora nel 1956, un anno prima della morte, diceva (Umanesimo e comunismo, p. 32): « Sappiamo che oltre la realtà tangibile e sperimentabile c'è l'ignoto e l'inconoscibile, c'è la favola e il sogno ». Questo, in pieno secondo Novecento, è ancora Graf o Pascoli o addirittura Spencer, non certamente Croce né Bergson. Anagraficamente piú giovane di Croce e di Gentile e, piú ancora, di Bergson, Marchesi restò sempre ancorato a una formazione spirituale anteriore.
Alcuni di quegli intellettuali di formazione tardoottocentesca finirono con l'approdare a una loro religione teistica (come il Graf) o al cristianesimo (come un « minore » molto amato da Marchesi, Giovanni Bertacchi: vedi la commemorazione del Marchesi in Divagazioni, Venezia, Neri Pozza, 1951, p. 127 ss.). Altri, come il Rapisardi, furono sempre combattuti fra materialismo con violente punte anticlericali e ansie religiose che tuttavia, dinanzi all'« antiprovvidenzialismo » cosí evidente nella realtà tutta quanta, non giunsero mai a placarsi. Perfino il Pascoli, che pareva il piú predestinato a finire nel cristianesimo, non vi fini, e nella prefazione a Odi e inni scrisse, accanto a banalità antisocialiste, parole dignit[...]

[...]sí evidente nella realtà tutta quanta, non giunsero mai a placarsi. Perfino il Pascoli, che pareva il piú predestinato a finire nel cristianesimo, non vi fini, e nella prefazione a Odi e inni scrisse, accanto a banalità antisocialiste, parole dignitose di replica a chi lo sollecitava a una conversione. Ma in verità, se si confrontano gli scritti dei
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convertiti (per esempio il famoso Per una fede di Arturo Graf) con quelli dei non convertiti, si vede che non c'è quasi nessuna differenza: anche i convertiti continuarono a sentire piú il mistero, con le sue ansie, che la fede o la certezza. E ciò conferma quanto abbiamo già detto, sulle orme del La Penna, riguardo alle forzature dell'interpretazione cattolica della personalità di Marchesi.
In tale atmosfera tardoottocentesca una parte importante la ebbe un modo particolare di intendere Lucrezio, come seguace di un materialismo che avrebbe dovuto liberare l'anima dalle ansie e dai timori, esaltatore del suo maestro Epicuro proprio per questa azione li[...]

[...]ommemorazione del Bertacchi (Divagazioni, p. 132) Marchesi contrapponeva « l'ottocento pieno di grandezza » al « novecento pieno di boria », intendeva certo dichiararsi fedele all'ambiente della propria giovinezza; e parlando di « boria » si riferiva, con tutta probabilità, in primo luogo alla filosofia.
L'amore di Marchesi per i « tre presenti » di Agostino (ricordato dal La Penna in un passo che abbiamo citato poco dopo l'inizio di questo paragrafo) non serve, io credo, a gettare un ponte verso il concetto crociano della storia sempre contemporanea, né verso l'Atto puro di Gentile. Croce e, con molto maggiore nettezza e coerenza, Gentile sapevano che una filosofia che pone come unica realtà il Soggetto assoluto deve distruggere anche la nozione empirica di tempo: non esiste un prima e un dopo cronologico, ma soltanto logico, una « storia ideale eterna » che è il ritmo dialettico dell'eterno Presente. A tutta questa costruzione Marchesi rimase estraneo (e per la verità ciò non fu un danno: a volte la debo
IL « MARCHESI» DI ANTONIO LA P[...]

[...] sempre attuale. Si ha l'impressione che Marchesi si fosse innamorato della formula in quanto tale (nel terzo dei passi ora citati la usa addirittura in senso ironico) piú che del suo significato filosofico o teologico.
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parte la « retorica civile » estranea a Marchesi), e meno ancora tutta la schiera degli eruditiletterati carducciani; e non vi si sottrae, malgrado la grande diversità di temperamento dal Carducci, il Graf, uno dei fondatori del severo « Giornale storico della letteratura italiana » e, nello stesso tempo, troppo artista e troppo psicologista come critico letterario. Il Graf è figura ancora poco studiata; quando uscirà il saggio a lui dedicato da Girolamo de Liguori (di cui ho potuto leggere una parte ancora inedita), anche certe caratteristiche e certe contraddizioni di Marchesi ne usciranno, penso, meglio chiarite. E per quel ché riguarda gli italianisti e i medievalisti di fine Ottocento, non si dimentichi che nella produzione giovanile di Marchesi la filologia medievale e umanistica prevalgono, come quantità e anche come valore, sulla filologia classica, seguendo l'esempio di Remigio Sabbadini, anche lui, malgrado le cure date al testo di Virgilio, migliore s[...]

[...]ere; qualcosa, piú oltre, dirò del Marchesi filologo classico.
Con ciò non intendo certo sostenere che Marchesi abbia trascorso la maggior parte della sua vita intellettuale chiuso dentro una corazza tardopositivistica, insensibile ad ogni influsso del neoidealismo e dell'irrazionalismo novecentesco. La condanna del filologismo (quale appare specialmente nella prolusione del 1923, per poi attenuarsi), la preferenza per la critica letteraria monografica o per la storia come « collezione di monografie », erano aspetti della sua personalità che — uso una felice espressione del La Penna, p. 78, a proposito della Storia della letteratura latina — « convergevano con una certa impostazione idealistica ». E infatti, come ricorda ancora il La Penna, la Storia fu lodata da Croce (cfr. Storia della storiografia italiana nel sec. XIX, ir, Bari 19473, p. 197) ed ebbe ottima accoglienza nella cultura italiana degli anni Trenta. Prima ancora, il Seneca era stato accolto da Gentile nella collana di « Studi filosofici » da lui diretta presso Principato, ed era stato recensito assai favorevolmente da Adolfo Omodeo (Tradizioni morali e disciplina storica, Bari, Laterza, 1929, pp. 107117). A sua volta, Marchesi, pur non desistendo mai dalle sue puntate contro la filosofia « incapace di consolare », non s'impegnò mai in polemiche esplicite contro l'idealismo crociano e gentiliano e contro l'estetica crocian[...]

[...]umanista dovette, con ragione, apparire prezioso a Togliatti: di qui quelle parole troppo ditirambiche (in un uomo intelligente e, al tempo stesso, freddo e privo di senso dell'amicizia) per essere sincere.
7. Marchesi socialista nel primo Novecento. — Avendo accennato al Marchesi politico, siamo ancora una volta (l'ultima) ricondotti al clima tardoottocentesco della sua formazione. In quegli intellettuali a cui lo abbiamo accostato (Rapisardi, Graf, Pascoli) il « positivismo bisognoso di religione » si collega con una morale della fraternità, che sfocia in un socialismo umanitario, oscillante tra la rivolta anarchica e il solidarismo cristianomassonico, privo di ogni rigorosa base marxista. Che di questo tipo sia stato il socialismo iniziale di Marchesi, si comprende bene dalla lucida sintesi che nel cap. i del suo libro il La Penna ricava dai documenti a nostra disposizione (io ho soltanto dei dubbi su un presunto legame tra il socialismo di Marchesi e l'esaltazione, che in lui riaffiorò poi sempre, del libero amore e il suo senso di f[...]

[...]iderabilità, con la speranza in un mondo anche culturalmente e umanamente piú libero e
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(compatibilmente con certi aspetti duraturi della « condizione umana ») piú felice: poteva essere semplicemente qualcosa da accettare in quanto ineluttabile, come un fenomeno della natura, come l'evoluzione biologica a cui molti socialisti di quell'epoca accostavano lo sviluppo storicosociale. Negli anni Novanta, Arturo Graf, aderendo al socialismo, scriveva a Turati: « Io accetto tutta, ne' suoi fondamenti, la dottrina socialista; non per la promessa che arreca di una maggiore felicità avvenire (io credo a una infelicità crescente col crescere della coscienza); ma perché riconosco in essa l'anticipazione teoretica di un fatto assolutamente ineluttabile, voluto dalla legge di evoluzione, e che certo sarà il fatto piú grande e piú mirabile della storia umana » (F. Turati attraverso le lettere di corrispondenti, per cura di A. Schiavi, Bari, Laterza, 1947, p. 116).
Simili adesioni al socialismo, per lo piú, duraro[...]

[...]ella coscienza); ma perché riconosco in essa l'anticipazione teoretica di un fatto assolutamente ineluttabile, voluto dalla legge di evoluzione, e che certo sarà il fatto piú grande e piú mirabile della storia umana » (F. Turati attraverso le lettere di corrispondenti, per cura di A. Schiavi, Bari, Laterza, 1947, p. 116).
Simili adesioni al socialismo, per lo piú, durarono poco. Ai primi del Novecento, Pascoli non era piú socialista da tempo, e Graf cessò di esserlo. Non fu questa la parabola di Marchesi. Eppure anche in lui, accanto alla componente umanitaria, ebbe un notevole peso quel fatalismo che abbiamo notato or ora nella lettera di Graf a Turati. Ancora nel 1956, un anno prima della morte, rievocando in un discorso la sua adesione al socialismo, la attribuiva da un lato a un profondo senso di giustizia offeso per la miseria dei contadini siciliani, dall'altro (dopo brevi fasi di proudhonismo e di mazzinianesimo) alla lettura del Manifesto: una lettura in cui il momento « fatalistico » e avalutativo acquistava uno spicco preponderante. « Quell'opuscolo [ ... ] non parla di ciò che è bene e di ciò che è male, ma di ciò che avviene e diviene nella società umana; non parla in nome del diritto naturale o della ragione suprema, ma[...]

[...]Qui ancora la necessità è vista come qualcosa che dà incentivo alla lotta; e quel « piaccia o no » non autorizza certo a pensare che al giovane Marchesi degli anni Novanta (e tanto meno al Marchesi vecchio che rievocava quel lontano se stesso) la prospettiva del socialismo « non piacesse ». Ma in un articolo del 1908 su Orazio (SM, ii, pp. 545561) la concezione fatalistica conduce Marchesi a enunciazioni che vanno assai al di là della lettera di Graf a Turati. Questo articolo non è sfuggito a La Penna, che giustamente parla di « riflessioni sorprendenti sul socialismo » (p. 43); ma se le incoerenze tra aristocraticismo individualista (col correlativo disprezzo del volgo) e aspirazione al socialismo accompagnarono Marchesi per tutta la vita — con qualche attenuazione, ma attenuazione soltanto, negli ultimi anni —, qui mi sembra che si assista a un vero momento di acuta crisi. Marchesi proprio in quell'anno era consigliere comunale socialista (eletto in una lista democratica) a Pisa; e i suoi pochi interventi, per lo piú
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[...]nere lezioni manoscritte solo perché manoscritte, anche quando sono frutto di emendamenti di copisti dimostrabili in base alla storia del testo ». Ora, il Marchesi (p. 29) non loda il Riccardiano in quanto trasmettitore di lezioni risalenti all'archetipo o comunque a un ramo di tradizione genuina: loda il co pi s t a del Riccardiano in quanto assennato editore medievale, che, attenendosi fondamentalmente ad A ma attingendo anche ad E o a suoi apografi,
664 SEBASTIANO TIMPANARO
e talvolta congetturando con prudenza (« introdusse di suo emendamenti congetturali e ritocchi »), dette un buon testo eclettico, precorrendo talvolta congetture di filologi successivi. Lezioni come involvet al v. 624 (giusta, trovata poi dal Giardina in due codici piú tardi), potui al v. 1040 (non indispensabile di fronte a potuit della tradizione, ma tutt'altro che spregevole, e congetturata piú tardi dal Gronovius), preces movebunt al v. 302 (congetturata piú tardi dall'Avantius, cfr. La Penna, p. 27 e n. 18) sono chiaramente designate dal Marchesi come « varia[...]

[...]zione) investiva i testi classici stessi, lo stesso Cicerone, meno ligio ad un uniforme ciceronianismo di quanto fosse apparso fin allora. E la scuola svedese aveva avuto come s'è accennato, i suoi precursori in Germania (oltre a precursori italiani piú remoti e rimasti isolati, come Giacomo Leopardi)
e aveva seguaci e alleati, di nuovo, nella Germania del Novecento. Ora, l'edizione di Arnobio non è soltanto una continuazione piú cauta
e bibliograficamente piú aggiornata del vecchio conservatorismo « all'italiana » del Marchesi giovane: è una svolta e un'adesione a questo nuovo conservatorismo, particolarmente necessario per un autore come Arnobio, cosí pieno non solo di volgarismi e arcaismi, ma di espressioni personali, di hapax, quasi tutti disconosciuti dal mediocrissimo editore anteriore al
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Marchesi, August Reifferscheid. Per la prima volta nella sua vita Marchesi si mise a studiare un testo parola per parola, facendo i conti con la linguistica e la filologia fiorite fuori d'Italia, abbandon[...]



da j.s.[Jole Soldateschi], scheda sintetica di «Giornale storico della letteratura italiana» in KBD-Periodici: Rinascita 1975 - 8 - 29 - numero 34

Brano: Giornale storico della letteratura italiana
Rivista trimestrale diretta da Mario Fubini, condirettort: E. Bigi, E. Bonora, G. Folena, M. Marti. Casa editrice Loescher, Torino,
formato: cm. 24x16.
Il Giornale storico nacque nel 1883, fondato da A. Graf, F. Novati, R. Renier, come la rivista del metodo storico, perché i direttori pensarono non ad una generica antologia di erudizione, ma all'organo di una precisa scelta culturale. Egualmente diffidenti, se non ostili, contro il Carducci e contro il De Sanctis, i collaboratori della rivista lamentavano la deficienza di una vera storia della letteratura, dopo quella del Tiraboschi, e chiedevano che per riparare questa carenza si lavorasse con lenta minuzia. Per questo il Giornale veniva proposto, in opposizione al libro, opera individuale per eccellenza, come « campo libero e neutro » « per il [...]

[...]ei monumenti letterari, delle opere dimenticate, dei documenti. In questa erudizione di tipo settecentesco erano presenti anche uno sforzo di continuità ed una esigenza di concretezza polemica contro la retorica, il sentimentalismo, l'Arcadia, la facilità di certa tradizione precedente.
Dal '900 in poi il periodico sentì il contraccolpo della crisi del metodo storico, senza poter proporre niente di nuovo o di concretamente diverso.
Nel 1890 il Graf lasciò la direzione; morto il Renier ed in seguito il Novati erano subentrati prima E. Gorra, poi nel 1918 V. Cian, che doveva tenere la direzione fino al 1938. Nonostante un tentativo di sintesi tra la cultura crociana e la ricerca erudita e filologica, il Giornale mantenne anche sotto la nuova guida un indirizzo e dei programmi sostanzialmente costanti; tuttavia gli venne a mancare sempre più una coerenza rigorosa di pensiero e di metodo ed assunse quindi l'aspetto di una raccolta di saggi pregevoli, scritti però da collaboratori di varie e spesso contrastanti tendenze. Motivo unificante re[...]

[...] più nuove della cultura: ne è una riprova la collaborazione di studiosi quali G. Contini, P. V. Mengaldo, S. Timpanaro, G. Petrocchi.
La struttura del periodico è rimasta costante sin dalla fondazione: delle originarie cinque rubriche in cui si articolava è stata eliminata solo quella riguardante i testi inediti commentati. Le altre comprendono: Scritti originali di storia e critica letteraria; Varietà, note, informazioni, documenti; una Bibliografia composta dalla Rassegna bibliografica e dal Bollettino bibliografico; Annunzi, (in origine Cronaca), in cui vengono analizzate le pubblicazioni riguardanti la storia letteraria ed i periodici italiani ed esteri. Quest'ultima rubrica è curata da un comitato in cui compaiono i nomi ricorrenti di E. Bonora, M. Fubini, M. Marti, M. Pozzi, E. Alonge, P. Zoccola. (j. s.)


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Graf, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---De Sanctis <---Filologia <---Giornale storico della letteratura italiana <---Linguistica <---Retorica <---Storia <---crociana <---filologia <---filologica <---italiana <---italiani <---ACI <---Adolfo Omodeo <---Agiografia <---Alessandro D'Ancona <---Alonge <---Althusser <---Ambrogio Donini <---Amministrazione <---Anna Kuliscioff <---Anna Maria Mozzoni <---Antonio La Penna <---Apologetico <---Apuleio <---Archivio <---Arnobio <---Arturo Graf <---Attilio Momigliano <---Auferre <---August Reifferscheid <---Avendo <---Belfagor <---Belles Lettres <---Bellum Catilinae di Sallu <---Bergson <---Bertacchi <---Bibliografia <---Bollettino <---Boys-Reymond <---Calcago <---Carataco <---Carlo Pascal <---Carlsson <---Carmelina Naselli <---Carmi <---Castiglioni <---Certo Marchesi <---Chiesa <---Ciò <---Concetto Marchesi <---Corpus Paravianum <---Crispi <---D'Ancona <---Da Adriano <---Dante Nardo <---Das Ubersetzen <---Dei <---Della Magia <---Di Cesare <---Difugere <---Dio <---Diritto <---Discipline 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