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Il segmento testuale Entro è stato estratto automaticamente da un complesso algoritmo di KosmosDOC di tipo "autogeno", ossia sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 351Analitici, di cui in selezione 13 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Vittorio Lanternari, Scienze religiose e storicismo: note e riflessioni in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]niziative editoriali in materia, l'aprirsi dello stesso mondo culturale cattolico a nuove esigenze di riflessione sociologica sui fatti religiosi (la « sociologia religiosa » cattolica), infine l'accendersi di dibattiti e polemiche circa i rapporti fra vita religiosa e civile, fra religione e società o scuola o stato: fenomeni i quali nel loro insieme denunciano una pressante esigenza di chiarificazione obiettiva, scientifica del fatto religioso entro la vita moderna, vista anche questa su scala quanta mai ampia e comparativa.
È un risveglio, o forse un primo destarsi d'interesse scientificoreligioso a livello della cultura laica in Italia: ed esso ben si giustifica nel quadro degli intensificati rapporti politici, culturali, sociali fra popoli di differenti tradizioni e di eterogeneo livello culturale, quale l'intensa storia di questi ultimi anni ha indotto, con l'abbreviarsi delle distanze reali e ideali, con l'unificazione via via più evidente di mondi culturali e sociali per l'innanzi fra loro segregati e remoti.
Un posto specialissi[...]

[...]che sembra qui opportuno sottolineare e sviluppare. Anzitutto la scienza delle religioni storicisticamente ispirata vuole essere libera, autonoma, svincolata da preoccupazioni extrascientifiche quali che siano: siano esse preoccupazioni di natura teologica, confessionale, mistica, o semplicemente emozionale, partecipazionista. La storia religiosa come è intesa da noi storicisti considera i fatti religiosi in base al criterio della ragion logica, entro una visione globale di ciascuna civiltà presa in esame.
Non é una novità per la scienza che fatti e fenomeni pertinenti al dominio extralogico, emozionale, estetico ecc., siano stu diati, anzi possano essere studiati soltanto entro rapporti d'ordine logico e per null'affatto emozionale. Così é della poesia, della musica, della letteratura, e di qualsiasi prodotto dell'umana cultura. I detti prodotti culturali non esauriscono certo il loro significato e la loro funzione entro il dominio del logos o attività razio
96 VITTORIO LANTERNARI
naie, anzi per gran parte ne rimangono fuori e vanno a cadere nel dominio della sensibilità estetica: eppure nessuno di tali fenomeni può intendersi appieno fuori di una visione storica, cioè a dire entro un quadro razionale di rapporti e d'idee. Diremo piú: non è umanamente dato di studiare, comprendere e giustificare un'opera di poesia, di musica, di letteratura se non mediante ed entro la storia: che sarà volta a volta storia poetica, storia della musica, della letteratura. Cosi non si può intendere una manifestazione religiosa quale che sia, fuori della storia religiosa.
I fatti religiosi per lo storicismo si risolvono in altrettanti rapporti dinamici fra i vari momenti esistenziali: fra il momento del sacro e del profano, fra il momento religioso e il momento sociale, economico, biologico, ambientale, politico, culturale in genere. Non si può comprendere una religione nella sua genesi e nel suo sviluppo, fuori dai suoi stretti legami con l'ambiente culturale, sociale, ec[...]

[...]to dalla tradizione precedente: quali e quanti sono i temi religiosi nuovi: infine qual è il valore della nuova sintesi religiosa venutasi in tal modo a creare: quale la sua nuova funzione culturale.
Soltanto così si può fare e pensare una Storia delle Religioni: sottolineando, attraverso l'indagine concreta e comparativa, quel tanto che in ciascun movimento religioso è novità, è incremento, è progresso rispetto alla fase religiosa precedente.
Entro una visione unitaria, dinamica, storica della vita religiosa come qui abbiamo cercato di delineare sommariamente, si risolvono molte delle contraddizioni e dei limiti che compromettono la scienza religiosa odierna anche nell'opera di illustri e valorosi studiosi. C'è oggi, in pieno sviluppo, una fenomenologia religiosa (7), la quale ambisce di contrapporsi alla « storia delle religioni », e va alla ricerca di strutture religiose costanti e uniformi, cioè di valori eterni e metempirici, al di là delle variabili
(7) G. VAN DER LEEUW, La religion dans son essence et ses manifestations, Paris 19[...]

[...]nificare e confondere ciò che é fondamentalmente e originariamente disforme; essa inoltre sistematicamente ignora il premente rapporto che unisce la vita religiosa con la vita profana: essa infine trascura e sottovaluta il dinamismo proprio della vita religiosa.
Esiste oggi una morfologia religiosa (8), la quale tende a raccogliere e classificare, in distinti capitoli, forme e manifestazioni religiose che trovansi, nelle concrete civiltà, unite entro variabili sintesi storicamente determinate. Anche la morfologia religiosa ha il torto di obliterare il legame stringente che v'é tra sacro e profano, e rischia di confondere ciò che é « propedeutica » — la descrizione e classificazione — con quello che é sintesi di pensiero: la storia.
C'è infine una sociologia religiosa. Essa proviene per una parte dal sociologismo francese dei Comte, Durkheim, LévyBruhl, Mauss e Hubert; per altra parte dalla sociologia religiosa tedesca di Max Weber, di Ernst Troeltsch, Joachim Wach, ecc. che a sua volta trova nello storicismo religioso moderno il suo sboc[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Zanardo, Il «manuale» di Bukharin visto dai comunisti tedeschi e da Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]sociali, quando il proletariato è già una maggioranza ed è ideologicamente compatto, e socialismo che viene prima delle sue condizioni, riflusso di quel bakunismo che Marx ha combattuto, potere violento di una minoranza non dissimile dal regime prussiano o zarista; socialismo che tiene conto dell’intero sviluppo della dottrina e socialismo fermo alle posizioni astratte del Manifesto. Rivoluzione russa e rivoluzione tedesca sono due cose diverse. Entro questo ambito di problemi si mossero (per fermarsi a coloro che hanno scritto le cose più significative), Bernstein, Otto Bauer, fini per muoversi Kautsky, dopo alcune esitazioni, e si mosse anche, per un periodo di durata controversa e con tutte le differenze immaginabili, Rosa Luxemburg. Mehring, che assunse una posizione diversa, non ebbe il tempo di elaborarla.

Sia pure con ritardo e in modo meno appariscente per la non rigidezza della tradizione filosofica della socialdemocrazia tedesca, era naturale che la distinzione fra democrazia socialista e dittatura bolscevica mettesse capo all[...]

[...]el. « Buon marxista è colui che non ignora e non respinge acriticamente i risultati utili della scienza borghese, ma li inserisce nell’edificio della dottrina marxista ».

Ancora più complessa, anche se forse ancora più limitata agli aspetti scientifici, è la posizione di Lukàcs. Nella recensione che fa a Bukharin nel Grunbergs Arcbiv 1 sottolinea fortemente che si tratta di un manuale, di un tentativo di popolarizzazione e di sistemazione e, dentro questi limiti, fa alcune considerazioni positive. Ma il resto è prevalentemente critico. Anche proprio in quanto popolarizzazione il Manuale rompe la tradizione di Plekhanov e Mehring che avevano mostrato come si può unire popolarizzazione e scientificità. La posizione filosofica di Bukharin è il materialismo volgare, intuitivo. Questo materialismo è una comprensibile reazione all’idealismo dei socialdemocratici da Bernstein a Cunow, ma viene ad escludere dal metodo marxista tutti gli elementi che provengono dalla filosofia classica tedesca e in particolare quella dialettica che sola rende in[...]

[...]i della rivoluzione tedesca ed europea, si trovarono a disagio in seno alla Terza Internazionale, e finirono nelle Università americane o a Londra o a Mosca ad occuparsi di problemi letterari nella Internationale Literatur. Il processo di cristallizzazione che iniziò verso il ’31, non solo prese le mosse da una situazione ideologica in cui in genere non influiscono più intellettuali di questo tipo, ma iniziò proprio con una rottura violenta col centro e la sinistra politica della socialdemocrazia tedesca. Il bolscevismo, il comuniSmo, anche per il periodo precedente al ’14, fu definito un fatto essenzialmente russo (lettera

1 In Geschichte und Klassenbewusstsein. È del 1920. Su Kommunismus ne usci solo una parte nei numeri 14 e 15 dell’apr. 1920.

2 Ancora in Geschichte und Klassenbewusstsein.

3 Lenin, Studie ùber den Zusammenhang seiner Gedanken, Wien, 1924.Aldo Zanardo

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di Stalin del ’31 alla Rivoluzione proletaria). I filosofi ne trassero le conclusioni e nelle nuove esposizioni sistematiche, anche in Germania, si rise[...]

[...]ia dopo L’imperialismo fase suprema del capitalismo — di una civiltà intellettuale, creata essenzialmente dalla potenza rivoluzionaria, del partito, dell’azione politica; si tratta della capacità di creare una nuova società in tutti i suoi livelli. Questa pare essere la via, che è anche la via di Lenin, del superamento mediatore della Seconda Internazionale. Bukharin, se per certi aspetti è fuori della socialdemocrazia, finisce con il rimanervi dentro per la sua concezione positivistica e in sostanza subalterna del marxismo. Lukàcs, come si è visto, finiva, in. quegli anni, col rimanervi fuori astrattamente.

Il grosso della critica filosofica di Gramsci si intreccia intorno ai problemi della sociologia e del materialismo filosofico con tutte le loro implicazioni (previsione, regolarità degli accadimenti, determinismo, scienze naturali...) e intorno al problema della collocazione storica del materialismo di Bukharin.

Il Manuale parte dalla distinzione rigida fra generale e particolare, fra teoria e storiografia, e vuol essere un’indag[...]

[...]vuoti gli schemi che se ne traggono, per altro verso,, la tesi che il marxismo è una metodologia della storia, un conoscere che aderisce alla realtà che si modifica, un conoscere che ha un rigoroso aspetto sperimentale.

Ma non ci si ferma a questa critica teorica, a questo storicismo elementare. Si ha anche un’analisi storicoconcreta. La schematizzazione sociologica è tanto più grave oggi perché oggi le leggi statistiche, empiristiche, valide entro certi limiti «fino a quando le grandi masse della popolazione rimangono essenzialmente passive » 3, sono venute a perdere la loro verità relativa. Ora le masse sono organizzate in grandi partiti,, si muovono in modo critico e consapevole, e si sottraggono alla standardizzazione e alle previsioni del loro comportamento. Nella « vita economica moderna », poi, « i fatti particolari sono impazziti » 4, e per un altro* verso si hanno i piani, anch’essi elementi soggettivi estranei agli schemi. È più che mai indispensabile in questo nuovo periodo storico che la conoscenza sia concreta, dialettica, [...]

[...]conclusioni è tuttavia avvertibile un certo stacco. Premesse di questo tipo vengono più o meno soddisfatte anche dalla elaborazione che Lenin fa della dialettica e della materia come categoria filosofica, metodologica. Non pare che Gramsci abbia svolto adeguatamente queste posizioni teoriche generali. In altri termini: hanno un significato filosofico generale o sono semplicemente l'espressione delle esigenze critiche che abbiamo detto, formulate entro una determinata tradizione, una determinata prospettiva polemica? È un punto da studiare.

Da rilevare subito è (e qui si potrebbe svolgere un ampio confronto con i tedeschi) che questa relativizzazione rigorosa di soggetto e oggetto non attenua la distinzione fra uomo e rapporti sociali, uomo e condizioni obiettive1. La categoria dell’indipendenza dagli arbitri individuali conserva pieno valore, cosi come quella consistenza oggettiva di certe realtà storiche. « Qualcosa di oggettivo, paragonabile all’automatismo dei fatti naturali », « una certa relativa indipendenza dagli arbitri individu[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] R. Zangheri, La mancata rivoluzione agraria nel Risorgimento e i problemi economici dell'unità in Studi gramsciani

Brano: [...]o partendo da diversi punti di vista, fino al momento in cui gli elementi essenziali dell’unità nazionale si unificano e diventano una forza sufficiente per raggiungere lo scopo, ciò che mi pare avvenga solo dopo il ’48 » \ Dove è evidente che l’indagine è orientata sugli aspetti non negativi, ma positivi e risolutivi del movimento nazionale. Nel quadro di una situazione internazionale favorevole, ed a partire dalla sconfitta della destra e del centro politico piemontese e dall’avvento dei moderati, lo Stato piemontese e la dinastia dei Savoia furono le fondamentali forze motrici delFUnità. Al centro dell’analisi sono i moderati, il metodo e le forme della loro egemonia politica ed intellettuale, la rottura, da essi operata, dello schieramento antiunitario. Il Risorgimento, riconosce Gramsci, fu un « miracolo », non alla maniera retorica e mitica della agiografia patriottica, ma nel senso più concreto che un movimento di debole consistenza intima andò a segno per il concorso di circostanze esterne, sfruttate da uomini di eccezione.

Un quesito che può sorgere, oggi, è se le forze unitarie ebbero cosi debole consistenza oggettiva come Gramsci pensava. Egli partiva, come mi sembra palese,[...]

[...]
■Renato Zangheri

òli

slancio e il respiro » \ Il problema è aperto; e non è problema secondario, perché proprio da una valutazione pessimistica, per così dire, dell’economia italiana fra il 700 e T800 Gramsci deduce la tesi del Risorgimento come fatto in cui gli elementi della direzione politica, di una direzione più « diplomatica » che creativa, prevalgono nell’assenza di una potenza espansiva ed unitaria delle società regionali.

Al centro dell’indagine gramsciana è appunto il momento della direzione politica, e pare strano che ciò sia sfuggito a storici eticopolitici : sono i moderati, la validità della loro azione, la dialettica della rivoluzione passiva. Il limite dei liberali cavourriani è che essi « non sono dei giacobini nazionali: essi in realtà superano la Destra del Solaro, ma non qualitativamente, perché concepiscono l’unità come allargamento dello Stato piemontese e del patrimonio della dinastia, non come movimento nazionale dal basso, ma come conquista regia » 2. A questo punto, e in termini di esame dei caratteri e[...]

[...] molto ampia. Per l’Italia niente di simile: essa non aveva nessuna autonomia internazionale... Questa assenza di “ autonomia internazionale ” è la ragione che spiega molta storia italiana e non solo delle classi borghesi » \

Altrove indica le ragioni della mancata formazione in Italia di un partito giacobino « nel campo economico, cioè nella relativa debolezza della borghesia italiana e nel clima storico diverso dell’Europa dopo il 1815 » 2. Entro questa cornice, che Gramsci mantiene ben ferma, riesce meglio comprensibile l’idea dell’assenza di giacobinismo nel Risorgimento, di cui è già un accenno nel Labriola 3.

Il termine giacobinismo, di cui Gramsci sottolinea l’uso analogico e improprio, non contiene, di regola, una specifica e rigida caratterizzazione storica, ma esprime un concetto direttivo e quasi uno strumento della ricerca. Sono « giacobini » Robespierre e Cromwell, Gioberti e Machiavelli, Lenin, per tratti generalissimi del loro pensiero e della loro azione politica, consistenti, essenzialmente, nella volontà di collegar[...]

[...]ione nei termini giusti, avvertendo che la questione di una rivoluzione agraria, della abolizione cioè dei residui feudali nei rapporti di lavoro e nel regime fondiario, concerne precisamente lo sviluppo del capitalismo, i problemi economici dell’Italia unita. Di più, intende che alla base dello sviluppo economico moderno è il processo dell’accumulazione del capitale, anche se, come vedremo, non gli sono chiare le condizioni economiche e sociali entro cui l'accumulazione si rende possibile. Si deve dire infine che il Romeo è nel vero quando afferma che, salvo il lavoro del Sereni, gli studiosi marxisti hanno lasciato in ombra la fondamentale problematica del processo di sviluppo capitalistico nell’Italia unita.

Quali dunque le probabili conseguenze sull’economia italiana di una rivoluzione agraria? Essa avrebbe arrestato, a mente del Romeo, l’incipiente sviluppo del capitalismo nelle campagne del nord, colpendo inevitabilmente « anche le forme di più avanzata economia agraria », cioè, se bene intendo, le medie e grandi aziende a salaria[...]



da Osvaldo Bayer, Il cimitero dei generali prussiani in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]ecnologia militare in quei paesi e li resero così dipendenti. Così come gli inglesi nella marina da guerra. Repentinamente, cominciarono a spuntare come funghi i conflitti fra popoli fratelli, e i cannoni di Krupp o i fucili di Mauser cominciarono a trovarsi faccia a faccia sulle montagne, nei boschi e nelle selve e nei fiumi dell’America Latina.

Durante il Secondo Reich, quello di Bismarck, il Ministero degli Aìfari Esteri si convertì in un centro di contatti rapidi ed efficaci fra le forze armate e l’industria bellica. Il potere politico ed il potere militare, a servizio del capitale armamentista. L’affare fu straordinario. Quell’« aiuto allo sviluppo » militare lasciò orme indelebili nella vita dei sudamericani. Nel mio paese nacque il « nuovo esercito » che trionfò in cento battaglie in nome della patria e dei valori occidentali e cristiani. Tutte quelle battaglie le ha vinte contro il suo stesso popolo e le sue inquietudini.

La filosofia del maresciallo di campo prussiano conte Colmar von der Goltz è ancora presente nella classe[...]

[...]ro utili all’umanità. Nel 1915, in un’analisi fatta a tavolino della guerra europea, scriveva: « Ci fa piaceIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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re dichiarare che all’interesse militare che risveglia in noi questa guerra, va aggiunta una profonda attrazione che deriva dalla grandezza della lotta e dall’eroismo di coloro che l’affrontano ». Ovviamente, il generale Uriburu morì nel suo letto.

Lascio la parte più solenne del cimitero ed entro in un limbo: le tombe dei soldati. Centinaia e centinaia di morti allineati, come in fila per una parata. Solo che stanno in orizzontale e non c’è musica. E non ci sono nemmeno uccellini gorgheggianti e pianti. Soli con una luce grigia che si riflette fra nubi senza forma. Le lapidi sono corrose dal tempo. Fra poco finiranno nell’anonimato. Solo con un certo sforzo si possono ricostruire dei nomi: Anton Mayer, 17 anni; Eberhard Schmit, 18 anni; Josef Kronhuber, 20 anni. Centinaia di lapidi, ma in nessuna frasi come «mai con la frivolezza della plebe » (la plebe è frivola ma è quella che viene[...]

[...] grido di « vogliamo pace e pane per il popolo! », scoppiò la rivoluzione, il Kaiser dovette andarsene e fu proclamata la Repubblica. Ma i rivoluzionari non volevano solo questo, volevano anche il socialismo. Fu quello il momento in cui i militari, che non avevano saputo vincere la guerra, si riunirono nei « Freikorps », organizzazioni paramilitari finalizzate ad eliIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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minare tutto quanto esisteva dal centro verso la sinistra. I gruppi paramiliri, i commandi della morte o parapolizieschi, sono, nella maggior parte dei casi, creature degli alti comandi, degli stati maggiori in freddi studi di « teorie della sicurezza ». I « Freikorps » operavano con assoluta impunità, alla luce del giorno. Fu famosa la brigata Ehrhardt, comandata dal capitano di corvetta Ehrhardt. (Ehrhardt: « fin da piccolissimo ho amato molto tutto quello che serviva per sparare. E la mia prima pistola che non serviva a gran che — me l’ero comprata con i soldi che mi davano per andare a scuola, monetina su monetina »). Questa b[...]

[...]n modo diverso».

Con gli anni si seppe tutto. I nomi dei militari assassini divennero pubblici. I componenti i gruppi paramilitari ebbero sorti diverse. Alcuni vennero assassinati dai loro stessi compagni d’arme, come « traditori ». La democrazia di Weimar fu assai debole con loro, parlamentò, accettò, protesse. Il risultato fu che la maggior parte di loro tornò allo scoperto con Hitler facendo anche carriera. Il comandante Hoss, per esempio, entrò nel 1933 nelle ss; diventerà il comandante del campo di concentramento di Auschwitz. È finito sulla forca il 16.4.47.

Nel cimitero dei generali prussiani sono seppelliti alcuni di quegli ufficiali dei « Freikorps », nelle tombe di famiglia. I loro nomi non compaiono nelle lapidi. Perfino i loro figli ne hanno vergogna. Tutte quelle uniformi, quelle fiaccolate, quei cordoni dorati ed argentati, quelle coccarde, i galloni e le spalline, la tattica e la strategia e le mappe, tutti quei chepi e quei baschi inclinati, quel parlare d’onore e di senso dell’onore, di episodi di valore, quell’arrog[...]

[...]rati ed argentati, quelle coccarde, i galloni e le spalline, la tattica e la strategia e le mappe, tutti quei chepi e quei baschi inclinati, quel parlare d’onore e di senso dell’onore, di episodi di valore, quell’arroganza e quell’orgoglio, tutta quella puntigliosità, tutta quella vanità ed eleganza per poi massacrare col calcio di un fucile una meravigliosa testa femminile o per far percorrere un’assurda via crucis ad una ragazza paralitica.

Entro nel recinto speciale del cimitero. Nonostante lo stato di abban140

OSVALDO BAYER

dono è evidente che qui giacciono gli ufficiali dell’aristocrazia. Un muro li separa da quelli non altrettanto elevati nel rango sociale.

Eduard von Know, ammiraglio, cavaliere dell’aquila nera

Maggiore Friedrich von Zeidlitz

Generale Arthur von Wentzky und Petersheyde

Generale Gynz barone von Wolff e sua moglie Melanie von Staff Reitzenstein baronessa von Wolff.

In questo caso la moglie porta il suo cognome. Dipende forse dai suoi antecedenti familiari la valida eccezione? Ernst von Salomon[...]

[...]nazismo che userà l’indefinibile e ambigua parola « virilità » fino alla noia. Nella frase del militarescrittore Ernst Junger si nasconde una vera e propria chiave psicologica: « Benché

10 non sia nemico delle donne, mi irritava sempre il tipo femmina quando

11 destino della guerra mi conduceva in ospedale. Dalle azioni maschili, energiche e logiche della guerra, entravo in un’atmosfera di indefinite irradiazioni ».

(Archivio del fdcl, Centro di Ricerca e Documentazione per P America Latina di Berlino. Trovo una lettera del generale argentino Albano Harguindeguy, ministro degli Interni di Videla, alla professoressa Hilde Kaufmann, direttrice del Dipartimento di Criminologia dell’Università di Colonia, nella Germania federale. Chiedo come ha fatto ad arrivare fin lì questa lettera. L’archivista mi dice che è stata mandata dalla professoressa Kaufmann poco prima di morire, nel 1982. L’Università tedesca di Colonia si era interessata nel 1976 di un prigioniero politico argentino: il professor Roberto Bergalli, specialista inIL CIMIT[...]

[...]arico deve incontrare un nemico, e se non l’incontra, se l’inventa ».

L’uniformità non accetta la critica. Per questo l’odio dei militari verso gli intellettuali che mettono in dubbio i criteri tradizionali di autorità ed onore e la sfiducia verso quel sistema politico che promuove discussioni di base. Il generale tedesco Wolf, conte di Baudissin uno degli ideologi del nuovo esercito germanico dopo la sconfitta del 1945 , racconta che quando entrò nella carriera d’ufficiale, durante la Repubblica di Weimar (19191933), gli ufficiali dell’Esercito prima di cominciare a mangiare alzavano il primo bicchiere per brindare in onore dello sconfitto Kaiser che chiamavano « nostro vero comandante ». Avevano bisogno della verticalità, tenevano in sospetto la Repubblica e ne temevano il pluralismo. E ciò accadeva nonostante che quegli ufficiali avessero giurato la difesa della costituzione della nuova democrazia. Questo spergiuro non costituiva per loro mancare all’onore come invece lo era passeggiare sotto braccio di una ragazza « disonorata ». L[...]

[...]atori argentini chiamandoli coraggiosi e temerari. Cominciava cosi un’altra leggenda. Solamente a guerra finita, nel rapporto finale, gli inglesi espressero la loro sorpresa per i falsi obiettivi scelti dall’aviazione argentina. Invece di concentrare gli attacchi sui grandi convogli di trasporto truppe e far fallire l’attacco si contentarono di attaccare le naviscorta, con effimeri trionfi; arrivarono ai bordi esterni ma non osarono arrivare al centro. Prima di definirli coraggiosi e temerari bisognerebbe ridefinire quei valori. È forse più coraggioso colui che ha una maggiore carica di aggressività, chi vede la sua grande opportunità di emergere nell’unico modo in cui sia capace, cioè sparando all’impazzata, chi, forse, ha collezionato più insuccessi nella sua vita privata e di relazioni? O si tratta della semplice emozionalizzazione della guerra

questa pericolosa seduttrice, come l’ha chiamata Anna Seghers perché altrimenti, come spiegare il fatto che migliaia di semplici soldati si siano lanciati cantando all’attacco delle trincee [...]



da Giuseppe Branca, Il costo del condono in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]ori) al flusso di coscienza di Carlo A. Corsi (La storia del mago, Guanda), dalle apnee sintattiche di proustiana memoria di Tommaso Aliprandi (Casa in vendita, Feltrinelli) alla formadiario di Luigi Del Re (Attesa a Guatambu, Mondadori).

La dipendenza dal modello, insieme alla strisciante consapevolezza della resa di fronte al darsi di una esperienza assolutamente originale del narrare, pare tradire il bisogno di un rifugio, di una identità dentro la pulviscolare eredità letteraria degli ultimi due secoli ed ha come risvolto strettamente tematico la scelta di situazioni narrative « estreme », curiosamente coincidenti con luoghi, geografici e non, anch’essi estremi, « di confine ». E sono il paesaggio severo, teso fra mare e picchi rocciosi, di Francesco Biamonti (L'angelo di Avrigue, Einaudi), la natura violenta e quasi senza tempo di Vincenzo Pardini (Il falco d’oro, Mondadori), l’Etiopia tragica del xix secolo di Santamaura, la Milano sospesa fra passato e futuro di Gianfranco Manfredi, il villaggio perduto nel cuore della Pampa di D[...]

[...]pazione che l’« occasionalità » dell’indagine possa conferire al romanzo un’identità narrativa più forte.

La qualità finissima della scrittura di Biamonti va del resto cercata nei toni lirici, nella partitura musicale che trama lo spessore degli eventi; nella folgorazione di talune figure umane che dal paesaggio emergono senza staccarsene, nella perifericità emblematica di taluni episodi corali, anch’essi radicati nella scontrosa civiltà dell’entroterra francoligure. Compresi in questo campionario sono dunque certe « panoramiche » colte al di là degli occhi del protagonista (« Toccava quasi il poggio un cielo sereno e denso, solcato da due cirri non più grandi di falchetti, quasi un tetto luminoso »; « Dove la strada si biforcava, alla sua croce, era lassù sopra l’ulivo, il primo abbacchiatore di quell’anno. Era lontano, in cima, con la testa rovesciata. Sbatteva a trappi, col bastone vencheggiante, e cadevano a raffica olive e foglie »; « Gli ulivi erano sempre piùPRIME NARRATIVE DI POCO FA

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scarni, di una bellezza quasi mine[...]

[...]enzale (« Quell’uomo quasi vecchio e quasi sacro spiegò che aveva camminato tutta la notte per abbassarsi, per fuggire l’aria di neve (l’auro de nèu), nemica a chi aveva tutti i suoi beni in sangue, in sangue di dio »), la processione del Santo ad Avrigue con l’esecuzione della « numero due », la « musica del prigioniero » (« Grave e segreta come la vita sul passo della terra, era la numero due: lichenoso meriggio in cammino verso la sera »).

Entro i confini di un apprezzabile livello di leggibilità sono Magdala di Santamaura, Placida di Vittarelli, Attesa a Guatambu di Luigi Del Re. Del primo ci piace sottolineare il tentativo seducente di sposare ai ritmi del romanzo storico, al piacere di reinventare il personaggio attraverso la parzialità delle fonti, puntuali considerazioni sul « tragico », quasi nella marginalità della figura del tiranno etiope Tewodros l’autore avesse voluto riconoscere da subito lo spazio eletto di un teatro della coscienza. E più che di storia sarebbe allora opportuno parlare di vera e propria « tragedia in for[...]

[...]in dignità « letteraria » e anzi indicando una via poco o mal frequentata dai nostri autori. Di tutto rilievo è l’immagine inedita di Milano, finalmente ricondotta alle proprie ombre, agli aspetti meno consueti della sua tadizionale iconografia. E tanto forte è la presenza della città che, se un malessere reale la storia di Magia rossa comunica, esso è proprio qui, fra archeologia industriale, metropoli e memoria urbana, invadente come un’edera dentro le crepe dell’allegorica immagine del progresso.

Anche il romanzo di Adamo Calabrese, Il libro del re, è disegnato all’interno del fantastico. Come Manfredi, Calabrese guarda alla Lombardia, ma a una Lombardia reinventata, sull’orlo di un medioevo non ancora concluso e di una232

ALBERTO ROLLO

rinascenza incerta. La fa da padrone il linguaggio, farcito di arcaismi, latinismi, inflessioni francogermaniche e dialettali, a cui si aggiunge l'esacerbato gusto del catalogo e della similitudine ardita. La triste istoria del principe francese abbandonato dalla bella dama e quella parallela d[...]

[...]scole e capoversi, verso una fabula ininterrotta, « to be continued » che, complice l’uso di un tu impersonale, ripercorre memorie autobiografiche e generazionali nel tentativo

purtroppo solo superficialmente disperato di non perdere il filo della storia, di continuare a narrare o meglio come dice l’autore a « scavare in un fazzoletto di terra pestata milioni di volte ».

Sia Episcopi che Corsi sembrano andare verso un io che nel farsi centro di inquietudini e malesseri infine non li riconosce e li soffoca, nel primo caso di cascami culturali ed erratici frammenti narrativi, nel secondo di una iperlalicità troppo intenerita e patetica, ben lontana dalla strangolata, cinica irrefrenabilità della Molly joyciana a cui forse vorrebbe rimandare.

Alberto Rollo



da Asiaticus, Due tesi sull'evoluzione dei paesi ex-coloniali. [sopratitolo: "democrazia nazionale" e "Nuova democrazia"] [sottotitolo: Diverse vie di sviluppo per i popoli del Terzo mondo - Dalla democrazia al socialismo. Le prime esperienze storiche in Mongolia, Cina e Turchia - Il ruolo dirigente del proletariato] in KBD-Periodici: Rinascita 1963 - 1 - 26 - numero 4

Brano: [...]i suoi blocchi militari, contro le basi militari sul proprio territorio. Si tratta di uno Stato che lotta contro le nuove forme di colonialismo e contro la penetrazione del capitale imperialistico, che ripudia i metodi di governo dittatoriali e dispotici, uno Stato in cui vengono garantiti al popolo ampi diritti e libertà democratiche (di parola, di stampa, di riunione, di manifestazione, di organizzazione in partiti politici e in associazioni). Entro tale Stato il popolo deve avere la possibilità di ottenere l'applicazione della riforma agraria e l'accoglimento di altre rivendicazioni nel campo delle trasformazio_ ni democratiche e sociali, la possibilità di partecipare alla determinazione del la politica statale. Ponendosi sulla via della democrazia nazionale, questi Stati hanno la possibilità di svilupparsi speditamente sulla via del progresso sociale, di assolvere una funzione.attiva nella lotta dei popoli per la pace, contro la politica aggressiva del cam po imperialista,, per la liquidazione completa del giogo coloniale. . I ,par tit[...]



da Ariodante Marianni, Modelli arabi e joyciani di Ungaretti in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]o all'aneddoto? Mi sembrerebbe di diminuire una figura come quella. Ma di Concetto Marchesi maestro di scuola, studioso, scrittore, politico, altri, ben altri, hanno parlato e scritto. Sarà dunque necessario, in occasione di una conversazione come questa qui a Messina, collegare ricordi minimi a fatti grandi, senza aver la pretesa di far storia ma di parlare semplicemente dell'affetto che ci ha legato per tanti anni e che non è mai venuto meno.
Entro, ogni giorno e piú volte al giorno, nel mio studio, e all'altezza dell'occhio trovo il suo sorriso. Non c'è dedica nella fotografia, ma pare che Marchesi non abbia mai fatto dediche. Guardandolo penso alle parole di Renato Guttuso: « Era cosí malinconico e fiero. Un patriarca siciliano nelle cui vene pulsava il sangue del presente ». Belle e vere parole. Ma Marchesi era anche un allegro compagno di stramberie e di giocosità.
La sua conoscenza con mio padre risale, se non sbaglio, al 1914, ma solo qualche anno dopo avvenne l'incontro, il tu fraterno, l'amicizia, quella che gli faceva dire: « [...]



da Francesco Cataluccio, Il Congo Belga nel nazionalismo africano in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]l calore, non sempre disciplinato, dei contatti, c'è costante il segno di una sicura vitalità, e il preannuncio di una feconda maturazione di 'propositi, di direttive d'azione.
Se il tema dell'emancipazione dalla dipendenza coloniale, con lo scambio delle esperienze di lotta e con la ricerca dei mezzi per coordinare i singoli sforzi e dare concretezza di espressione alla
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reciproca solidarietà, sta il più spesso al centro di tali contatti, non meno viva si rivela la preoccupazione di non risolvere tutto il problema africano nel dato dell'indipendenza, ma di affrontare i problemi organizzativi del continente africano dal punto di vista sia della struttura interna dei nuovi organismi statali sia dei limiti e delle premesse ideologiche d'una unità africana. L'impegno in questa seconda direzione tende ad accentuarsi a misura che si prospetta più chiaramente lo sbocco positivo della lotta nazionale africana, come é dimostrato dal fatto che a porlo in primo piano sono soprattutto i paesi — Ghana, Guinea, Nigeria — c[...]

[...]amo superare immediatamente la fase dell'indipendenza per raggiungere uno sviluppo nuovo corrispondente al sorgere nel mondo dei grandi raggruppamenti ».
L'Africa, che ha realizzato in passato soltanto parziali esperienze statali ed ha conosciuto invece come preponderante organizzazione politica quella tribale, consente, come ho detto, più d'ogni altro continente, mobilità ed elasticità di suddivisioni territoriali; esiste cioè un largo margine entro il quale sia possibile attuare concentramenti territoriali senza turbare l'equilibrio nazionale delle parti componenti, ma accrescendone anzi l'attitudine ad evolvere verso forme moderne di vita. Il difficile sta nel trovare la formula costitutiva adatta a far coesistere in uno stesso organismo popolazioni con tradizioni evoluzioni interessi spesso in nessun modo comparabili. Il regime federale è in ogni senso il più adatto a coordinare la vita di territori con disuguale maturazione politica economica sociale, adattandolo nelle infinite gradazioni in cui può realizzarsi a ciascuna situazione;[...]

[...]atuto comunale alle città di Leopoldville, Elisabethville e Jadotville alle quali seguono un anno dopo Bukavu, Stanleyville, Coquilhatville e Luluaburg — nessun cambiamento viene apportato alla situazione costituzionale. Il Congo è come pietrificato, politicamente; i marosi che agitano, con due guerre mondiali e rivoluzioni, le acque europee e coloniali, si frantumano sulle dighe massicce che sembrano circondare il grande spazio umano del Congo. Entro il loro recinto il tempo pare essersi fermato e continua
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l'età dell'oro del mondo coloniale. Un belga, J. Labrique, ha puntualizzato di recente nel parigino Le Monde gli elementi costitutivi dell'idilio coloniale congolese, la ricetta pratica di quello che egli definisce « paternalismo integrale » del regime coloniale belga : « Lo StatoProvvidenza e l'ImprenditoreProvvidenza vigilano, con la collaborazione delle missioni cattoliche, sul benessere materiale e morale dell'indigeno. Questi é curato gratuitamente da quando é nel seno materno e dalla [...]

[...]alistico dei vicini territori dell'Africa equatoriale francese, che giunge all'epilogo vittorioso con la nuova costituzione francese dell'ottobre 1958. È proprio alle porte di Leopoldville, a Brazzaville, che il gen. de Gaulle annunzia solennemente la sua politica di rottura radicale con il vecchio colonialismo in Africa. Alla testa dei due territori del Congo e dell'UbanghiSciari, divenuti stati indipendenti — il secondo col nome di Repubblica centroafricana — membri della Comunità francoafricana, vi sono due personalità, rispettivamente l'abate Youlou e B. Boganda (perito poi in un incidente aereo il 30 marzo 1959), di vivacissima fantasia panafricanista, assai sensibili ai problemi del Congo belga. Il primo é infatti il capo dei Lari, il gruppo etnico che abbiamo visto dislocato in parte nella colonia belga, e l'altro, fondatore del Movimento per l'evoluzione sociale dell'Africa nera (Mésan), insiste sul fatto che le due rive del fiume Ubangui (la riva sinistra fa parte del Congo Belga) sono abitate dalle stesse tribù M'baka e Banziai, [...]

[...]nte, nella affermazione riferita dal Bowles, l'idea implicita che, mantenendosi basso il ritmo di immigrazione, possa rimanere bloccato il problema di indipendenza. La realtà é che, più numerosa immigrazione bianca o meno, comunismo o meno, il Congo é entrato ormai nel gran movimento di decolonizzazione che domina l'Africa. Il movimento indigeno congolese può essere valutato in modi diversi, come forza politica, può apparire più o meno privo di centro di gravità organizzativo, caotico nei suoi interessi tribali, confuso nei suoi obiettivi nazionali, ma ha raggiunto in modo netto il momento di
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frattura psicologica col regime coloniale. Per incerti che possano essere i modi di convergenza concreti dei suoi impulsi, é certo che si tratta di solidi impulsi di emancipazione. Saranno le circostanze di lotta a esprimere le forze politiche più valide nazionalmente e gli uomini più adatti a esserne guida. E interesse del Belgio con siderare il passaggio da un ordine di cose all'altro non come un t[...]



da Giorgio Valgimigli, Concetto Marchesi, amico di casa Valgimigli in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]o all'aneddoto? Mi sembrerebbe di diminuire una figura come quella. Ma di Concetto Marchesi maestro di scuola, studioso, scrittore, politico, altri, ben altri, hanno parlato e scritto. Sarà dunque necessario, in occasione di una conversazione come questa qui a Messina, collegare ricordi minimi a fatti grandi, senza aver la pretesa di far storia ma di parlare semplicemente dell'affetto che ci ha legato per tanti anni e che non è mai venuto meno.
Entro, ogni giorno e piú volte al giorno, nel mio studio, e all'altezza dell'occhio trovo il suo sorriso. Non c'è dedica nella fotografia, ma pare che Marchesi non abbia mai fatto dediche. Guardandolo penso alle parole di Renato Guttuso: « Era cosí malinconico e fiero. Un patriarca siciliano nelle cui vene pulsava il sangue del presente ». Belle e vere parole. Ma Marchesi era anche un allegro compagno di stramberie e di giocosità.
La sua conoscenza con mio padre risale, se non sbaglio, al 1914, ma solo qualche anno dopo avvenne l'incontro, il tu fraterno, l'amicizia, quella che gli faceva dire: « [...]



da Recensione di Piero Cudini su Patrick Boyde, Retorica e stile nella lirica di Dante, a cura di C. Calenda, Napoli, Liguori, 1979, pp. 431 in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: [...]e la stilistica al territorio della moderna linguistica » (p. 71). Il fattore stilistico può essere individuato e definito solo in rapporto ad un contesto dato, rispetto al quale risulta « di ridotta prevedibilità » (non siamo lontani, come si vede, dal concetto di straniamento del formalismo russo). Poste queste basi, e riconosciuti i debiti verso la stilistica riffaterriana, il Boyde si preoccupa di collocare la sua metodologia e il suo lavoro entro limiti modesti, ma non per ciò privi di validità: la stilistica, afferma, « può essere benissimo paragonata ad una sorta di statocuscinetto tra la linguistica e la critica letteraria: certo piú di una `terra di nessuno', ma in nessun caso una grande potenza » (p. 78). Entro questi limiti; l'applicazione a Dante lirico di un'accurata indagine stilistica porta da un lato all'individuazione — abbastanza solidamente accertata — delle auctoritates, di quelle opere, cioè, che hanno esercitato sicura influenza nel periodo in cui Dante scrive (opere classiche, artes poeticae, artes dictaminis: cfr. pp. 7982); dall'altro, dato quasi per scontato un nucleo di « variabili » da descrivere e analizzare scelte nell'ambito della retorica tradizionale, alla necessità di determinare gruppi sostanzialmente omogenei di liriche entro i quali esercitare l'approccio stilistico sí da [...]

[...]o all'individuazione — abbastanza solidamente accertata — delle auctoritates, di quelle opere, cioè, che hanno esercitato sicura influenza nel periodo in cui Dante scrive (opere classiche, artes poeticae, artes dictaminis: cfr. pp. 7982); dall'altro, dato quasi per scontato un nucleo di « variabili » da descrivere e analizzare scelte nell'ambito della retorica tradizionale, alla necessità di determinare gruppi sostanzialmente omogenei di liriche entro i quali esercitare l'approccio stilistico sí da consentire anche, mediante gli opportuni raffronti, la possibilità di misurare in qualche modo gli elementi di uno sviluppo (se non di un'evoluzione) dello stile dantesco.
Si pone perciò nella sostanza un problema sia di scelta che di modi della campionatura: fattore decisivo è innanzitutto la cronologia, per cui, ad esempio, le liriche della Vita Nuova occupano i primi otto gruppi (AH) individuati dal Boyde. Piú discutibile, forse, all'interno di questa prima grande scansione, il raggruppamento secondo indizi latamente tematici, per cui si par[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Entro, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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<---Catholicisme <---Cattaneo <---Cavicchi <---Cebète <---Celestino Lanfisio <---Centenario <---Centrale Britannica <---Centre National de la Recherche scientifique <---Centro di Ricerca <---Certo in Lukàcs <---Ceylon <---Challenge <---Chamber Music <---Charles Taze Russell <---Che Rosa <---Cherubim <---Chester Bowles <---Chiesa <---Chiesa del Signore <---Chinnery <---Chinnery-Haddon <---Chippewa <---Chiriguano <---Christianity <---Cile <---Cimitero del Parco <---Cito da Ruth <---Civilizations <---Clan <---Clarìn <---Clasification <---Classi <---Codex Justinianus <---Codice <---Codice Penale <---Col <---Colmar <---Colmar Graf <---Colonia <---Colonization <---Comandante dei Carabinieri <---Come Manfredi <---Comhaire <---Cominière <---Commissione Interamericana dei Diritti <---Commissione Provinciale <---Communal <---Compagnia <---Comptes Rendus <---Comunità <---Comunità XI <---Congo Belge <---Congo Van Hemelrijk <---Congonhas <---Congresso del Partito <---Cono Sud <---Conquestado 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