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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale C.A. è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 18Analitici , di cui in selezione 1 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Danilo Dolci, Pagine di un inchiesta a palermo, introduzione di Ernesto De Martino in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...]cendo per l'editore Einaudi e che ha per oggetto quanti a Palermo, in città e in provincia, vivono di un lavoro che non è lavoro, si industriano, si arrangiano, vivono e non vivono. Si. tratta, dal punto di vista sociale, di un'inchiesta circoscritta soltanto al cosiddetto (( proletariato degli stracci », nelle forme di disgregazione che son proprie di Palermo e provincia: quasi un quinto delle popolazione in Palermo città. È un monde, umano ben caratterizzato, che ha per squallido scenario della sua. vita i cortili Cuscino, la Kalsa, Ballarti, Piazza Donnissini, Castello S. Pietro; Spine Sante, Partinico etc. Ë un mondo che non conosce mestieri, ma, come si è detto, modi di arrangiarsi, e, arrangiandosi, di campare la vita: arrifiatori, panerari, venditori di milza, di mussu, di budelle arrostite, minestrari, caramellai, cioccolatari; bancarellari, spicciafaccende, ruffiani, prostitute ufficiali e private, cantastorie, cenciaioli, e infine ladri o peggio. Così intenzionalmente circoscritta ai ceti sociali disgregati di Palermo e provincia l'inchiesta del Dolci si sottrae alla solita obiezione che Palermo e provincia ((non sono soltanto questo »: che è poi la obiezione di coloro che in fondo, per vari motivi, non sono disposti a riconoscere che Palermo e provincia sono ((anche» questo. D'altra parte nei documenti raccolti dal Dolci appare che oggi qualche cosa si muove persino in questi ambienti sociali così obbiettivamente compromessi, e che oltre le forme tradizionali della rassegnazione, della d[...]

[...]che Palermo e provincia ((non sono soltanto questo »: che è poi la obiezione di coloro che in fondo, per vari motivi, non sono disposti a riconoscere che Palermo e provincia sono ((anche» questo. D'altra parte nei documenti raccolti dal Dolci appare che oggi qualche cosa si muove persino in questi ambienti sociali così obbiettivamente compromessi, e che oltre le forme tradizionali della rassegnazione, della disperazione e della ribellione anarchica, comincia persino qui a farsi luce una più consapevole coscienza civica, mediata da quei partiti che laggiù stanno assolvendo una funzione ((liberale» fra questi oppressi, i partiti di sinistra. Le tre biografie che seguono la breve analisi delle condizioni dei cortili Cascino testimoniano appunto questi diversi livelli di coscienza civica, e relativamente alle prime due la biografia di Gino O. documenta certo il livello più alto. ll testo delle biografie è stato trascritto dal Dolci con
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 137
tutta la scrupolosa fedeltà che é necessaria per documenti che non sono destinati ai letterati, ma unicamente ai politici di oggi affinché se ne giovino nella loro opera e agli storici di domani affinché sia piú concreto e individuato il loro giudizio. Abbiamo abbastanza fiducia nella intelligenza dei lettori per non temere che taluno possa scandalizzarsi di alcuni pochi particolari molto crudi della biografia di Gino O.: la rivista si svolge a un ristretto pubblico di studiosi e pertanto non é legittimo lo scrupolo che quei particolari, indebitamente fraintesi nel loro significato, possano turbare le candide anime di fanciulli e di fanciulle.
ERNESTO DE MART P%10
CORTILE CASCINO
È chiamata « Cortile Cascino » la zona — a 200 metri dalla Cattedrale — da via D'Ossuna a Cortile Grotta; e, in senso lato, anche l'altra, a nord, separata dalla prima dalla linea ferrata.
I nudi e sudici bambini che giocano sulla ferrovia e nel fango, è quanto più impressiona a prima vista. Cinque costruzioni scalcinate di due o tre piani, e baracche a sud; tre fabbricati a due otre piani a nord: tutti con umide mura brulicanti di cimici, scorpioni e scarafaggi.
Diverse donne nella strada, intente, spidocchiano la testa di un parente o di un vicino. Due o tre fontane. Qualche a maarla » sulla porta.
Gli scoli, nel cortile Cascino propriamente detto, si raccolgono in uno spiazzo fetido. Se d'estate grande è sempre il pericolo del tifo, d'inverno nelle case più basse c'é da morire annegati. Una decina di locali, i più sottoposti, hanno porte, e talvolta finestre, protette da ripari in muratura alti circa settanta, ottanta centimetri, perché la fogna, quando piove, non inondi le case.
138 DANILO DOLCI
Tutte le costruzioni sono assolutamente inabitabili; in alcune, dai muri sfatti, é troppo pericoloso starci. Alcune stanze sono più pulite, ordinate (queste, nelle tabelle seguenti sono state segnate con « m » : le migliori); ma il tutto deve essere rifatto di sana pianta o rinnovato.
In una stanza c'é un vecchio nudo, seduto su un letto senza lenzuola (c'è solo una coperta di tipo militare): non si capisce se sia paralitico da un lato, come dice lui, o immobilizzato per l'estrema magrezza e debolezza, come dicono i vicini. In un'altra stanza si arriva per un ballatoio pericolante. E in tutte le case, (panda passa il treno, uno deside rerebbe essere fuori, e coi piedi a terra. Un «mura» si sposta oscillando per centimetri alla semplice pressione del pugno.
A un giovane, lo scorbuto ha fatto cadere tutti i denti. In una stanza vive con i giovani sposi un fratello del marito, quasi ventenne.
Da un'altra é stata rapita una ragazza a dodici anni e mezzo. In un'altra erano morti cinque bambini: « Perché io me ne andavo a lavorare — dice la mamma — e lasciavo i picciriddi incustoditi; che ci potevo fare?».
Qui una vedova di 68 anni vive facendo la lavandaia; li un marito, ma il caso é unico, «é morto divertendosi, bevendo troppo vino ». Da un cortiletto, largo tre metri, si scende, curvi, in una grotta di 2,80 X 2,20 nera, madida già d'estate, dove il terreno bagnato cede molle alla persona che si muove: non si capisce — orrido indimenticabile — come possano dormirci in otto.
Di sera soprattutto, « bugliunu gli scarafaggi ».
Nel primo dei «Cortili Cascino» le stanze sono 130 circa per 160 famiglie; nel secondo sono 80 per un centinaio di famiglie.
Essendo costanti le caratteristiche, si sono considerate 100 stanze consecutive, di cui riportiamo alcuni dati (v. lo specchio intercalato).
La maggior parte delle famiglie, spiegando noi il perché del lavoro, é stata ospitale; alcune opponevano difficoltà perché « non volevano andare sul giornale: tanto le cose vanno sempre avanti così. Vengono specialmente per le votazioni, talianu (guardano), si schifianu o promettono case popolari: ma se ne vanno tutti ».
Le 100 abitazioni, con 118 stanze complessive e 5 ripostigli, ospitano 498 persone: circa 130 famiglie: 14 di queste con libretto di povertà.
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 139
Essendoci un gabinetto in una sola famiglia (« gli uomini puliti vanno sulla ferrovia »), in ogni stanza preparano da mangiare, mangiano, e fanno tanto « i bisogni corporali » che i figli; di media, persone 4,23.
Nessuna casa con acqua corrente. I pavimenti: 4 di terra, 7 di terra e piastrelle rotte, 37 di cemento rotto e di piastrelle rotte, 51 di piastrelle rotte, 4 di cemento, 15 di piastrelle.
Una quindicina di famiglie sono senza luce. Delle rimanenti, più della meta l'hanno dai vicini.
Una stanza (di 2,50 X 6,00; h = 3,20) con 11 persone; una stanza (di 4,00 X 4,30; h = 4,00) per 10 persone; 3 stanze, ciascuna per 9 persone; 6, ciascuna per 8 persone; 14, per 7 persone; 8, per 6 persone; 11, per 5 persone; 19, per 4 persone; e 54 per meno di 4 persone. Diciannove sono stati ammalati di tifo: 2 ne sono mo[...]

[...]ina di famiglie sono senza luce. Delle rimanenti, più della meta l'hanno dai vicini.
Una stanza (di 2,50 X 6,00; h = 3,20) con 11 persone; una stanza (di 4,00 X 4,30; h = 4,00) per 10 persone; 3 stanze, ciascuna per 9 persone; 6, ciascuna per 8 persone; 14, per 7 persone; 8, per 6 persone; 11, per 5 persone; 19, per 4 persone; e 54 per meno di 4 persone. Diciannove sono stati ammalati di tifo: 2 ne sono morti.
Il lavoro degli uomini: 39 «trafficanti », «accatta e vinni »; 18 cenciaiuoli; 4 manovali; 2 « portantini di fatica »; 2 netturbini; 2 ciabattini; 1 militare di leva; 1 ortolano; 1 aiuto fabbro; 1 usciere; 1 cromatore; 1 marmista; 1 aiuto fornaio; 1 tubista; 1 falegname; 1 « petrusinaro » (venditore di prezzemolo).
Delle donne, 11 lavandaie, 11 cameriere, 2 comprano capelli a 40 lire ogni 200 grammi e fanno parrucche, qualcuna «lava scale »; le altre in casa.
Settantaquattro sono i bambini fino a 3 anni. Spesso denutriti, malati spesso di «infezioni, intossicazioni, interocoliti, polmoniti »; di questi malanni, negli ultimi 10 anni, ne sono morti un'ottantina; anche per «mancanza di latte ».
Dei bambini da 3 a 6 anni, 2 soli vanno all'asilo: gli altri 43 no.
Da 6 a 13 anni, 33 ragazzi vanno a scuola (spesso a 12 o 13 anni frequentano la 2a o la 3a): ma 45 ragazzi, in obbligo di scuola, né vanno né ci sono mai andati, a scuola.
I figli, non trovando lavoro, crescendo, continuano, per lo più « trafficanti» e cenciaiuoli, l'attività dei padri: di cui 31 sono stati, anche diverse volte, in carcere: ma per lo piú, « per cose di poco conto ».
Essendo 386 le persone oltre i 6 anni, e 317 gli anni complessivi di scuola, ogni persona, di media, ha frequentato 8,2 decimi di prima elementare.
140 DANILO DOLCI
Leggenda: L.P _ libretto povertà; I = larghezza o lunghezza
N. Farn. L. P. Stanze
N. 1. 1. h. 0 Ÿ
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i F.G. 2 4,0 4,0 3,5 m
3,3 4,5 3,5 no
2 U.A. 1 2,5 2,3 2,4 no
3 F.A. 1 3,8 3,6 3,6 m
4 P.G. si 1 2,8 3,5 3,2 no
5 S.V. 1 2,2 7,0 3,2 no
6 P.V. 1 3,8 3,6 3,2 no
7 L.L. 1 3,5 3,2 3,6 no
8 P.A. si 1 3,5 3,2 3,6 no
9 P.M. 1 3,5 3,2 3,4 no
10 F.S. 1 3[...]

[...] no no
4 2 no no
4 2 no no
4 2 no no
141
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO
o altezza; m = abitabile; letti (Ip.) = letti a una piazza.
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camer. cas. lav. lavand. casal.
casal. casal.
Professione
casal. casal. casal. casal. casal. casal.
casal. casal. casal. casal.
tratf.
netturb. traff.
traff. inval. traff. portant. mil. traff. cenc. manov. traff. petrusin.
cene. cenc. cene. cene. cene. traff. cene. cene.
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cene. traff. traff. traff.
falegn. traff. traff. manov.
Tot. anni scuola
Scuola nonni
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142 Fam. L. P DANILO DOLCI
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N. 1
Stanze y a W.C.
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N. L 1. h. V
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41 P.M. 4 7,5 3,5 3,0 In 8 5 no
3,0 4,0 3,0 m
3,0 4,0 3,0 m
3,0 4,0 3,0 m
42 C.P. 2 4,5 2,5 3,0 m 9 4 no
3,0 2,5 3,0 m
43 P.V. 1 3,5 2,7 2,5 no 2 2 no
44 L.A. I 3,7 3,5 4,0 no 7 2 no
45 C.C. si i 3,7 3[...]

[...]2 no
62 I,.N. 1 3,0 4,0 3,5 no 8 2% no
63 M.A. I 3,0 3,8 3,5 no 6 2 no
64 P.G. i 4,5 3,5 3,0 no 6 2 no
65 C.D. 3,5 4,0 3,2 no 7 3 no
66 A.G. i 3,0 3,0 3,0 no 2 2 no
67 C.G. 1 3,0 3,0 3,0 no 3 2 no
68 A.V. 1 4,0 4,0 3,5 no 7 2% no
69 A.G. Si 1 3,8 3,5 3,2 no 1 1 no
70 P.A. 2 1,8 2,5 2,5 no 8 3 no
3,8 3,5 3,2 no
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 143 ,
Tot. anni scuola
Professione Numero dei figli Scuola
Madre M p o
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2a 4a

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cenc.
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traff.
forn.
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manov. traff.
garz. marmista
inval. calz. vinaia casal.
casal. casal. camer.
parruc. camer.
casal. camer. camer.
casal. lavand. casal. casal. lavand. casal.
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no no no no no no no no no no
144 DANILO DOLCI
N. Fam. L. P. Stanze
N. I. 1. h. co
:8
R
71 C.M. 1 4,0 6,5 4,0 no
72 G.M. 1 6,0 3,0 3,5 no
73 F.C. 1 6,0 3,0 3,5 no
74 M.P. 2 3,0 2,5 3,0 no
2,0 3,5 3,0 no
75 G.F. 1 5,0 3,0 3,5 no
76 X.Y. 1 5,0 3,7 3,5 no
77 RV. 1 4,0 4,3 4,0 no
78 T.F. 1 5,5 3,5 4,0 no
79 S.D. 1 5,0 3,5 4,0 no
80 S.G. 1 3,8 4,0 2,5 no
81 F.A. 1 3,0 3,2 2,9 no
82 C.G. 1 3,5 3,5 3,2 no
83 M.T. 1 3,5 3,5 3,2[...]

[...]
85 O.S. 1 5,0 3,5 3,0 no
86 I.F. 1 3,5 3,5 3,5 no
87 X.Y. 1 2,5 3,0 2,2 no
88 N.G. 1 3,1 4,0 2,2 no
89 L.P. sì 1 3,0 3,7 2,7 no
90 L.R. 1 2,5 2,5 2,4 no
91 A.B. sì 1 3,5 4,0 3,0 no
92 X.Y. si 1 4,0 5,0 3,5 no
93 O.A. 2 2,5 3,0 2,1 no
2,5 2,8 2,0 no
94 B.A. 1 2,5 4,5 2,3 no
95 S.G. 1 3,8 2,8 2,1 no
96 N.M. 1 5,0 2,8 2,3 no
97 F.G. 1 3,2 3,8 3,5 no
98 F.S. 1 4,5 3,0 2,6 no
99 C.G. 1 2,7 4,0 2,7 no
100 C.A. 1 4,5 2,2 2,6 no
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2 no
3 no
4 no
2 no
W.C.
no no no no no no no no no no no no no no
no no no no no no no
no no no no
no
Acqua
no no no no
no no no no no no no no no no no no no no no no no no no
no no no no nò no no
PAGINE DI,UNA INCHIESTA A PALERMO 145
Professione ' Numero dei figli Tot. anni scuola Carcere volte tot. Scuola Casi tifo
nonni
pat.
Padre Madre da O a 3 da 3 a 6 asilo no da 6 a 13 scuola no oltre i 13 Padre
Madre
casal. — — — _
calz. cucit. 1 1 1 D — 2
crom. casal. 1 2 1 1 — 1 a 1 — —
usciere , casal. 5 5a — 15 — —
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traff. casal. 1 3a 3a 6 — —
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casal. 2 — — — —
traff. casal. 1 1 — — — — —
traff. casal. 1 — — — — —
giard. casal. 4 — — 11 — —
bracc. casal. 2 3a — 3 — —
traff. casal. 1 2 — — — — —
casal. 2a 7 — —
traff. casal. 1 2 1 — — — — — 5
casal. 1 3 D 5 — —
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scale 1 1 3a 3 — —
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traff. casal. 1 — 2a 2 2a —
traff. casal. 1 — — — — —
146 DANILO DOLCI
Tre sole famiglie hanno padre e madre che sappiano leggere e scrivere. Dei loro genitori, solo due coppie sapevano leggere e scrivere. Andando di questo passo (calcolando 30 anni ogni generazione), solo tra 3000 anni tutti gli sposi di qui non saranno piú analfabeti.
ANTONIA R.
« Io, mia sorella e quattro picciriddi e lo zio mio dormiamo qua nella grotta. Stiamo testa e piedi. Se si sveglia uno, si svegliano tutti. Ci avemu un nutricheddu, certo scennemu se fa acqua. Se uno si curca, aggranca a dormire sempre cussi; aggranca e si stinnicchia e dice l'altro: — Aspetta che mi metto buono. — Chiddu in fondo dice: — Lassami mettere lu pede.
Quattro a li pedi e quattro al capizzo. D'estate fa caldo, si piglia la segatura dal mastro d'ascia e si mette in terra e si dorme anche in terra ».
Ridono intorno, con maliziosi sottintesi negli occhi, anche alcuni bambini mentre un vicino aggiunge che ogni tanto, traballando il letto, c'é qualcuno che deve stringersi ad un altro. Intanto ci hanno buttato addosso da sopra, per isbaglio, dell'acqua calda e ora pioviggina fitta fitta della terricciola. Un blocco di qualcosa, in testa.
« Dormiamo con la porta aperta per respirare meglio; d'inverno la chiudiamo. Pure me soru cun so maritu, s'accurcano cu nuatri. Ma i masculi si curcano vestuti, sono tanto educati. Cu li picciriddi...
Di giorno stiamo tutti fora. Cuciniamo ca fora, sotto la scala, che quandu piove semu riparati chiù assai.
È dodici anni che mi infilai dintra sta grotta che prima serviva di rifugio. Poi c'é venuta me soru. Dodici anni. Vogliono la buona uscita. Ventimila lire, venticinquemila lire. Uno povereddu d'unne l'have?
Venivano a vedere comunista, signorine. Una volta mia nipote curcata docu la fotografaru e stu ritrattu sul giornale giunse a Roma e Napoli. Appizzato in pubblico. Poi ci furono le votazioni e l'appizzaru ancora. Ma ca semu, ca semu arrestate.
Ci ho un quadro di Santa Rosalia, ci accendiamo ogni giorno i lu
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 147
vini. La pregamu e per una casa ci promettemu due viaggi. Se mi fa levare da sto fango, due viaggi a Monte Pellegrino, scalzi, a pedi in terra, con le torce in mano fino a Monte Pellegrino. È bello. Bellissimo. C'é Santa Rosalia, tutta curcata, con tutto l'oro in testa. Che bellu veru! Nuatri ci facemu la promessa : — Santa Rosalia fammi stare bona, fammi capitare una casa. — Vede che bella! e ci fa vedere un'immagine nuova che comincia ad ammuffirsi.
« Have un rinale d'oro, un rinale pieno d'oro. Le scarpe tutte d'oro. Che bella. Bastone d'oro. Sono promissioni che dipende come nescono di bocca. Se uno sta bono, ci porta le promissioni lá in capo: la vesta, orologi, piccioli, diecimila lire, collana, braccialetti.
Ci hanno venuto a scrivere tutti i partiti: democrazia cristiana, comunisti, repubblicani, monarchia, e tutti dicono: — Dobbiamo fare fognature a questo cortile. — E più di cento anni che é così. Ci fanno vedere che tutto il mondo é nostro, poi niente. Più vampa c'é, più disperazione. — Nun dubitasse signora, nun dubitasse. — Magari signorine sono venute. Assai. Quando fu delle votazioni. Ma niente dunanu. Avìanu a acchianare i comunisti e invece acchianaru i parrini. Ma niente dunanu, né chisti né chiddi.
Chissa nica ebbe lavaggi di sangu, febbre, intossicazione al sangue. U picciriddu puru, ci ficimu u vutu. Di Santa Rosalia, allu picciriddu. Se stava bono. E é misu lu votu ora a Santa Rosalia, siccome me soru lava in qualche cucinedda.
La più grande ha nove anni. Sprovvista, la picciridda, putemu mandarli mai a scola?
Me cugnatu e me ziu nesciunu matina matina, e vanno fora sulla ferrovia; per fare i bisogni, c'è la ferrovia. Invece noi sei, nel rinale tutte cose. E poi buttiamo fora.
Me cugnatu e me ziu, pezzantini. Nésciunu di notte con la cesta e raccogliono. Vedono un mucchio di immondizie e la scartano. C'è l'immondizia che la sera but[...]

[...]isu lu votu ora a Santa Rosalia, siccome me soru lava in qualche cucinedda.
La più grande ha nove anni. Sprovvista, la picciridda, putemu mandarli mai a scola?
Me cugnatu e me ziu nesciunu matina matina, e vanno fora sulla ferrovia; per fare i bisogni, c'è la ferrovia. Invece noi sei, nel rinale tutte cose. E poi buttiamo fora.
Me cugnatu e me ziu, pezzantini. Nésciunu di notte con la cesta e raccogliono. Vedono un mucchio di immondizie e la scartano. C'è l'immondizia che la sera buttano fora i signori, le camerere che fanno la pulizia.
Vannu per le strade e dove ci sono le immondizie, cogliono stracci, ossa, vetro, buccie di arancio, buccie di limone, scarpe rotte, pane secco,
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e fanno la giornatedda, meschini. Poi le vendono e le pulisce chi le compra. Vengono alla mattina. C'è quando piove e non escono e si sta morti di fame.
Per riempire una cesta ci vuole certe volte mezza nottata, certe volte un'ora, dipende dalla provvidenza di Dio, dalla provvidenza che manda Santa Rosalia. Quando la cartella é piena, vengono a casa. Se é poco, si possono accucchiare solo 100 lire, tornano fuori ancora. Possono guadagnare 300, 400 lire.
Quando have la cesta in collo, certe volte ci sono le guardie: — Cosa portate in quella cesta! — Risponde: — Stracci, ossa vetro... — E ci
rispondono loro, le guardie: Buttalo a terra per vedere cosa c'è
dentro. Poi le guardie fanno così che coi piedi scalìanu li stracci, per vedere se ci sono cose losche, con le lampadine tascabili. Quando le guardie non ci garbizzano, o che vogliono tornare dentro, dicono: — Favorisce con noi, che domani se ne parla e va a "Casa. — Dicono loro. Di guardie ci sono che dicono: — Lascialo andare — e c'è quello che insiste, che fa l'arrugante.
Quando é già dentro la, ci stanno tre giorni per prendere informazioni. Tre giorni per chiedere in Palermo stesso. Se uno è delinquente, che tipo é una persona. A tempo che stiamo tre giorni chiusi, un pezzo di pane così. Quando uno deve fare due o tre mesi, al carcere, gli danno anche carne, una volta alla settimana, ora non lo so se di piú. Ci hanno ora anche la radio ogni stazione. Invece quando sono per tre giorni, c'è un pezzo di pane e un formaggino. Minestra niente; anche se la famiglia vuol fare entrare la minestra nella carta velina, non la fanno entrare.
Dopo tre giorni, posato su una tavola, le informazioni sono bene:
— Andate fuori. — E si busca il pane di nuovo un'altra volta. Succede dopo due o tre mesi la stessa canzone, in un'altra pattuglia, e si va a passare di nuovo questo capriccio: informazioni, carta d'identità. Se il padre di famiglia porta la cartella vuota, i bambini piangono:
— Papà u pane, voglio u pane. — Certo queste cose si sanno. E il papà per non sentire piangere i bambini va a fare una passeggiata e poi torna, tanto per svariare il cervello. Certe volte la moglie dice: — Chissi stannu
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piangendu: come facemu? — Il marito, certo, che deve fare, che non
s'affida ad andare a rubare. Per questo ci vuole quello nativo.
Certe volte ci donano a credenza.
Aspettamo che Santa Rosalia ci fazza la grazia. Di illuminarci il
cervello alle teste grosse ».
IGNAZIO P.
«Qui nel Cortile Cascino ([...]

[...]a a fare una passeggiata e poi torna, tanto per svariare il cervello. Certe volte la moglie dice: — Chissi stannu
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piangendu: come facemu? — Il marito, certo, che deve fare, che non
s'affida ad andare a rubare. Per questo ci vuole quello nativo.
Certe volte ci donano a credenza.
Aspettamo che Santa Rosalia ci fazza la grazia. Di illuminarci il
cervello alle teste grosse ».
IGNAZIO P.
«Qui nel Cortile Cascino (via D'Ossuna, cortile Grotta), non abbiamo mai lavorato nessuno nei cantieri perché non abbiamo avuto mai lavoro. Siamo tutti cenciaioli in generale, i maschi; le donne, lavandaie. Qualche giovane qualche volta ha trovato lavoro per qualche tempo, qualche cantiere: ma quando, dopo poco, lo lasciavano a spasso, tornava a fare il cenciaiolo che almeno era quasi continuo.
Circa sett'anni fa, circa cinque persone morirono qui di tifo: come infatti siamo stati esiliati nel cortile dai carabinieri, che il cortile era infettivo: nessuno doveva uscire. C'era la sporchezza, fango, rifiuto di pozzi neri; ci sono le donne che al mattino i rifiuti corporali li buttano sulla ferrovia vicina, ma certe donne buttano li davanti nello spiazzo che fa il posto di concentramento dell'acqua morta. (A tempo d'inverno vengono i pompieri, tanto si alza l'acqua e il fango: ma i pompieri dicono che non c'é niente da fare: tirano solo fuori un po' d'acqua, la succhiano dal fondo delle case e vanno via). Questo tifo pidocchiale che é venuto, é venuto più di una volta: un'altra volta sono morte due [...]

[...]ivo: nessuno doveva uscire. C'era la sporchezza, fango, rifiuto di pozzi neri; ci sono le donne che al mattino i rifiuti corporali li buttano sulla ferrovia vicina, ma certe donne buttano li davanti nello spiazzo che fa il posto di concentramento dell'acqua morta. (A tempo d'inverno vengono i pompieri, tanto si alza l'acqua e il fango: ma i pompieri dicono che non c'é niente da fare: tirano solo fuori un po' d'acqua, la succhiano dal fondo delle case e vanno via). Questo tifo pidocchiale che é venuto, é venuto più di una volta: un'altra volta sono morte due persone, di tifo, e ammalate diverse decine di bambini. Soprattutto i bambini, morivano di tifo.
Quando ci hanno esiliati i carabinieri, che nessuno poteva uscire fuori, ci portavano da mangiare nelle caldaie. Quando venivano i carabinieri ad avvisarci che portavano da mangiare, sonavano la tromba. E ci venivano centinaia di persone con le latte, queste che ci mettono la conserva, pentole e così, e ci mettevamo in coda, in riga come i militari. Ci davano da mangiare perché non potevamo uscire a andare a lavorare. Per i bisogni corporali andavamo sempre, per forza, nel cortile o, se c'era qualche carabiniere buono, ci lasciava andare sulla ferrovia.
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Nel mangiare, poi, c'era una specie di medicinale per disinfettarci i corpi: e doveva essere purgativo perché tutti i millecinquecento, maschi
e donne, avevamo il corpo sciolto (diarrea).
Il tifo, per forza doveva venire: perché le sporchezze erano trappe, le case sono strette, senza l'acqua, e ci stanno anche otto, dieci, e anche più persone per stanza: piccole celle. Qualcuna con pavimento di terra,
e certe sono grotte. In tante case per sedersi usano pietre o latte di conserva. Pidocchi a quintali. Quando sono morti quelli là, erano pieni di pidocchi che facevano paura. Sono venuti a portare delle polveri disinfettanti e le buttavano dentro le abitazioni, sulle strade, e anche andavano gli uomini e le donne così, vestiti, e ci aprivano la camicia e quelli ci buttavano la polvere dentro.
Anche quest'inverno passato c'é stato la pioggia potente e si sono riempite parecchie case e sono venute delle autorità a guardare e, se ne sono andate via. La gente mettevano sui carrettini materassi, cuscini, quei pochi stracci che avevano, e andavano in giro a cercare abitazione, con gente di altri quartieri, presentandosi alla legge. Tutti questi fuori di casa, l'hanno riuniti tutti e l'hanno portati nelle stanze vuote del mercato. Centinaia di persone messe tutte assieme: come si mettono i cavalli in scuderia. Gli uomini in un posto, le donne dall'altro. Dormivano a terra, con soltanto qualche coperta. Sono stati qualche quattro
o cinque giorni. Insistevano per avere qualche abitazione. Gli regalavano 1500, 2000 lire ogni famiglia e rimandavano da dove erano venuti. Perché dice che case non ce n'erano.
Noi uomini alla mattina, tutte le mattine, chissà da quando (mi ricordo, anche la buonanima di mio padre) andiamo a fare i nostri bisogni corporali sulla ferrovia. Certe volte vengono i Metropoli di servizio e ci danno la multa: 2500 lire. Dobbiamo pagare a caro prezzo pure fare i servizi corporali. Le donne fanno a casa sua nella stanzetta. I bambini fanno o in giro o sulla ferrovia: sei mesi fa c'è andato sotto il treno un piccolo di cinque anni di alcune case più sotto.
A duecento metri dalla Cattedrale, dal centro di Palermo.
Oltre i cenciaioli e le lavandaie, alcuni non fanno nulla, alcun i fanno le bandierine con l'immagine di Santa Rosalia, poche fanno le prostitute ma in altra parte di Palermo, perché li siamo troppo stretti: per non essere viste dal vicino di casa.
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La maggioranza dei bambini non va a scuola. Giocano nel cortile, nella puzza. Quando hanno dodici, tredici anni, le ragazze si cercano subito di sposare. Si sposano fra noi stessi del cortile, tra cenciaioli, tra piccoli cenciaioli e piccole lavandaie.
Sono ritornato da prigioniero l'8 ottobre '44. Circa un mese di viaggio. A casa ho trovato la famiglia mezza morta di fame. Allora non ero sposato. Quando sono arrivato a Palermo, si sono presentati due amici miei, mi hanno chiesto se lavoravo, e io ho risposto che non lavoravo. Mi hanno portato con sé a trasportare un po' di legna che era abbandonata tra le macerie. Si é presentata una signora e mi ha domandato cosa facevo io lì, che era stato bombardato. Si sono presentati i carabinieri e mi hanno invitato di venire con sé. La signora diceva ai carabinieri che ci avevano portato via la mobilia di casa. Pere. a me non m'hanno trovato nulla. Il maresciallo mi ha interrogato e mi ha detto se avevo documenti: il giorno proprio prima ero venuto da militare. Io mi trovavo sprovvisto di documenti e il maresciallo mi ha mandato in carcere. Io non ero stato mai arrestato nella mia vita. Circa cinque mesi che ero io al carcere, mi hanno fatto la causa. E mi imputarono per tentato furto, e mi hanno condannato à dodici mesi: non ci avevo avvocato che non avevo da mangiare né per me né per la famiglia. Allora poi mi sono appellato. E mi hanno tolto sei mesi. Così io sono diventato delinquente per la legge. Così io mi sono macchiato le carte.
Quando sono uscito dal carcere, per fortuna non ci sono stato mai più. Ho sofferto molto, perché il mestiere che faccio non guadagno una somma da poter soddisfare la famiglia. Quindi è necessario che mia moglie deve andare a persona di servizio.
Ho avuto la febbre maltese per diciotto mesi. Sono analfabeta come quasi tutti quanti noi. Alla mattina mi alzo alle sette, sia d'inverno che di stagione. Piglio il mio carrettino, andando in giro gridando per la strada. Compro ferro vecchio e oggetti usati e stracci. Il ferro è poco di prezzo: tredici lire al chilo. Quindi nessuno vende a questo prezzo. I soldi per comprare me li da il padrone; anche la carrettina è sua: la paghiamo 50 lire al giorno. Ci sono giorni che si guadagna 300 lire, settimane intere che non si guadagna nulla. Qualche volta può capitare di guadagnare 1000 lire o, qualche colpo, di più. Questo mestiere, arrivato a mezzogiorno, non vende più nessuno. E finita la nostra pe
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ranza. Tutti nel cortile facemo lo stesso: in tutto saremo duecento. Il posto di concentramento di stracci e ferro e rame, a Palermo, éproprio questo.
Si comprano le bucce degli aranci, dei mandarini, dei limoni, a 10 lire al chilo. E si rivendono al magazzino. Il magazzino li rivende a 16, 18 lire, alle fabbriche di essenze.
Molti dei bambini vanno in giro a raccogliere cicche per la strada: le sbucciano e le vendono. Ma non li spe[...]

[...]nto. Il posto di concentramento di stracci e ferro e rame, a Palermo, éproprio questo.
Si comprano le bucce degli aranci, dei mandarini, dei limoni, a 10 lire al chilo. E si rivendono al magazzino. Il magazzino li rivende a 16, 18 lire, alle fabbriche di essenze.
Molti dei bambini vanno in giro a raccogliere cicche per la strada: le sbucciano e le vendono. Ma non li spendono loro: li danno in aiuto alla famiglia. Ci sono gente che lavorano nei cantieri, gente bisognosa che non può comprare sigarette vere, comprano dieci, venti lire di questo tabacco, per risparmiare. Vanno, questi piccoli, al centro della città, in via Libertà, al Massimo, dove passa la popolazione. Se le guardie l'acchiappano li portano al Malaspina, la casa di correzione. È proibito, é vergognoso: capiscono che è uno smacco per loro stessi.
Quando piove non si lavora: in quasi tutto l'inverno si lavora pochi giorni. Nell'inverno si va da quello della pasta, o quello del pane, per fare un po' di credito. E poi giriamo da una bottega ad un'altra perché uno solo, una volta può fare credito: 1000, 1500 lire.
La gente del cortile nel pomeriggio, stiamo sulla strada al passaggio a livello, con la speranza di guadagnare qualche lira, perché li ci sono i punti di concentramento dei magazzini, e qualcuno può portare un po' di ferro, qualche cosa. C'é chi gioca a caste; c'é chi va alla cantina; c[...]

[...]giorni. Nell'inverno si va da quello della pasta, o quello del pane, per fare un po' di credito. E poi giriamo da una bottega ad un'altra perché uno solo, una volta può fare credito: 1000, 1500 lire.
La gente del cortile nel pomeriggio, stiamo sulla strada al passaggio a livello, con la speranza di guadagnare qualche lira, perché li ci sono i punti di concentramento dei magazzini, e qualcuno può portare un po' di ferro, qualche cosa. C'é chi gioca a caste; c'é chi va alla cantina; c'é chi sta al sole, se non ha soldi. Si parla, nella cantina, di ferro, di rame, della vita della giornata, confortandosi l'uno con gli altri. Io domando a quello: — Quando hai guadagnato? — E lui dice, secondo: — 500, niente, poco. — E ci consoliamo fra noi altri. Questa storia é nata da eredità. La mia famiglia é in questo posto da 110 anni.
Quando noi ci ritiriamo senza nulla, nella maggioranza delle case capitano liti. — Cosa vai a fare per la strada? — dice la moglie — nessuno ti chiama? — Risponde il marito: — Se sono sfortunato che non mi chiama nessuno, che cosa ci posso fare... — sperando che il giorno dopo si possa guadagnare qualche cosa. Se passa un'altra giornata la stessa, la facciamo a cazzotti, marito e moglie.
È un cortile cieco: noi siamo al corrente solo del mestiere. Nessuno si interessa di quello che capita fuori del cortile, tranne quando ammazzano qualcuno nella città.
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La religione non conta qui dentro, perché la maggioranza sono compagni (io mi devo iscrivere alla D. C. Non per darci il voto ma per poter fare le cose mie) però, a tempo di votazione, viene il prete e qualche borghese, offrendo qualche coppa di pasta, con la speranza di avere il voto. Vengono, la maggioranza, la Monarchia; hanno fatto i tesserini, lasciavano l'indirizzo che dovevano andare a prendere un chilo di pasta. La maggioranza c'è chi ha paura e vota per il partito che loro ci [...]

[...]mie) però, a tempo di votazione, viene il prete e qualche borghese, offrendo qualche coppa di pasta, con la speranza di avere il voto. Vengono, la maggioranza, la Monarchia; hanno fatto i tesserini, lasciavano l'indirizzo che dovevano andare a prendere un chilo di pasta. La maggioranza c'è chi ha paura e vota per il partito che loro ci dicono. Paura che il partito sapesse che non han votato per lui. La maggioranza non va in Chiesa, non c'è domenica né giorni di festa. La domenica c'è il pensiero come svolgere per pater apparecchiare la tavola con qualcosa da mangiare.
E un rione difficile. Una volta sono venuti due persone per far fotografie e uno di qui, ubriaco alle dieci e mezzo di mattino, monarchico, ha sdraiato le mani d'improvviso e ci ha acchiappato la macchina fotografica, che non vogliono che facciano fotografie. E quelli là, meschini, si misera in paura che si spezzava la macchina fotografica di 80.000 lire.
Chi ci ha otto figli, chi sei, chi dieci: é l'unica delizia avere figli. E l'unica delizia della povertà.
Due tre volte ci son venuti i preti in questo quartiere, per insegnare la dottrina ai bambini : mancavano due mesi alle elezioni. Noi abbiamo pulito alla meglio e ammucchiata e spianata della terra. Dopo due o tre giorni sono venuti a fare un cinema di Madonne e santi. Poi hanno visto che il cortile era troppo sporco e i bambini erano indiavolati e non ci potevano badare e sono scomparsi dalla circolazione. I bambini
gli dicevano parole sporche: Stronzi, ci rompete la minchia, all'ora
delle elezioni vi presentate — é scomparso il cinema, é scomparso tutto ».
GINO O. '
« lo nacqui come? Mia madre era una donna che si interessava di uscire documenti, era spicciafaccende, dopo essere restata[...]

[...]nti. Poi hanno visto che il cortile era troppo sporco e i bambini erano indiavolati e non ci potevano badare e sono scomparsi dalla circolazione. I bambini
gli dicevano parole sporche: Stronzi, ci rompete la minchia, all'ora
delle elezioni vi presentate — é scomparso il cinema, é scomparso tutto ».
GINO O. '
« lo nacqui come? Mia madre era una donna che si interessava di uscire documenti, era spicciafaccende, dopo essere restata vedova di un calzolaio. E frequentava gli uffici del Municipio, per l'attività che essa faceva. Li conobbe mio padre, il quale era un impiegato al Municipio. Mía madre era una bella donna e quello incominciò a farle la
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corte: non dicendo per) che era sposato, promettendole di sposarla. Mia madre gli si diede.
Nato io, nel 1912, non potevo avere il nome. Mia madre non si sentì la forza di abbandonarmi e mi diede il suo nome. Ricordo solo che giocavo 11 in mezzo a la strada e qualche volta, ricordo, vagamente, mia madre mi lasciava in consegna a qualche vicina per andare a lavorare. Poi, pe[...]

[...]laio. E frequentava gli uffici del Municipio, per l'attività che essa faceva. Li conobbe mio padre, il quale era un impiegato al Municipio. Mía madre era una bella donna e quello incominciò a farle la
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corte: non dicendo per) che era sposato, promettendole di sposarla. Mia madre gli si diede.
Nato io, nel 1912, non potevo avere il nome. Mia madre non si sentì la forza di abbandonarmi e mi diede il suo nome. Ricordo solo che giocavo 11 in mezzo a la strada e qualche volta, ricordo, vagamente, mia madre mi lasciava in consegna a qualche vicina per andare a lavorare. Poi, per la spagnola, mia madre s'ammalò e morì. Non si presentò nessuno perché mia madre era considerata armai..., e io sono rimasto íl figlio del peccato di cui . nessuno voleva interessarsi. C'era un mio fratello, figlio del primo padre, il quale era promesso sposo. E fui consegnato alla famiglia della fidanzata. Li in quella casa vi era un giovane il quale andava a borseggiare. E cominciò a insegnarmi a me, prendendo una borsetta da signorina, che si diceva in gergo ladresco «magghia appendente », che io dovevo « sbacchettare », cioè aprire. Lui stesso mi insegnava il modo: il frontino, il mezzo frontino. Che cos'è il frontino? Io dovevo andare avanti un cinque, sei metri dalla donna destinata al borseggio. Poi dovevo ritornare di scatto per prenderla di fronte. Arrivato all'altezza della borsa, alzavo il braccio sinistro e con la mano destra, passata sotto il gomito, facevo scattare la molla o il bottone, che in quei tempi si usava il bottone nelle borse; e c'erano quelle che si aprivano scorrendo, come certe valige: bisognava essere specializzati in tutti i tipi di aperture. Dunque, prima si apre, e poi si torna col mezzo frontino, infilando la mano nella borsa e prendendo il portafoglio o quello che c'era.
Quando si era già avviati, c'è un altro problema, quello dell'omertà del bambino che doveva essere provato, prima di essere affittato a borseggiare. Qualcuno di questi adulti, che veniva pure da questa carriera diceva: — Questo è un bravo ragazzo che non parla [...]

[...]uelle che si aprivano scorrendo, come certe valige: bisognava essere specializzati in tutti i tipi di aperture. Dunque, prima si apre, e poi si torna col mezzo frontino, infilando la mano nella borsa e prendendo il portafoglio o quello che c'era.
Quando si era già avviati, c'è un altro problema, quello dell'omertà del bambino che doveva essere provato, prima di essere affittato a borseggiare. Qualcuno di questi adulti, che veniva pure da questa carriera diceva: — Questo è un bravo ragazzo che non parla — e lo portava in giro per le città d'Italia. Io per la prima volta fui ingaggiato da un certo B. La prima volta ero timido, mi veniva come d'andare al gabinetto. Per me era una cosa paurosa, temevo che quello se ne accorgesse e mi desse botte. Da solo non era capace: ma c'era l'altro e mi dava coraggio. Io non volevo dimostrarmi un timido, un vile, e non essere ingaggiato. I soldi poi lui li portava alla famiglia dove stavo, una parte, perché li mangiavo e dormivo. A me,. non mi dava mai la soddisfazione di sapere quello che si trovava dentro i portafogli: apriva
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lui. Potevo riuscire due o tre volte al giorno. E lui faceva da palo, quello che sta per non far vedere alla gente che passa.
Nella strada dove io abitavo, quasi tutte le famiglie avevano un bambino avviato alla mia stessa strada. Via S. Agostino, Cor[...]

[...]dove stavo, una parte, perché li mangiavo e dormivo. A me,. non mi dava mai la soddisfazione di sapere quello che si trovava dentro i portafogli: apriva
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lui. Potevo riuscire due o tre volte al giorno. E lui faceva da palo, quello che sta per non far vedere alla gente che passa.
Nella strada dove io abitavo, quasi tutte le famiglie avevano un bambino avviato alla mia stessa strada. Via S. Agostino, Cortile Catarro, Cortile Salaro (Scalilla), e quasi in ogni strada intorno, vi era o un borsaiolo o un centro di insegnamento di borsaioli. E la cosa ancora continua, lì e a Ballar) e altrove, ma è meglio non essere troppo precisi se no li vanno ad arrestare tutti: gli fanno più male, invece di aiutarli e dargli lavoro. Che non si ripeta come alla calata del Mori: era suc cesso che per sanare il male, mettevano in galera pure Dio. Se c'era qualcuno che s'accorgeva dell'operazione, in questo rione,' nessuno parlava, anche i proprietari dei negozi: si poteva star sicuri di poter scappare, quando «s'attuzzolava », che significa: era scoperto.
Ci sono anche ora « le squadre » addette per il borsaioli, ci sono gli agenti cosiddetti specializzati, ma non hanno nessuna specializzazione. Allora ce n'erano famose, capitanate dal terribile Sciabbica che ora è in pensione e che ora, per istinto, ancora privatamente va in cerca... — Un altro famoso capo squadra c'era — lu Signorino —, perché era tutto impomatato. Sciabbica correva come una lepre.
Mi ricordo ancora che « scennevo », (mettiamo io ero « apparanzato » con te, e « scendevamo » vuol dire andavamo a « lavorare »), ed all'angolo della via Sant'Agostino con via Maqueda (dove era il centro « di lavoro » delle varie « paranze », vicino a tutte le vetrine e i negozi) veniva « la squadra ». E mi accorsi che era capitanata da Sciabbica. Avvertii subito i compagni, facemmo un dietrofront e ognuno di noi fuggì nei vicoletti. Io corsi a scattafiato fino a casa, che bastava essere preso per rimanere in carcere a disposizione, minimo tre giorni. Arrivai a casa tutto spaurito che mi spaventavo solo al pensiero che mi avesse riconosciuto. Quando si arriva di corsa a casa, quelli di casa non sanno se si arriva di corsa con « u surci », il bottino, o se si é « attuzzulati ». Bisognava riprendere fiato per spiegare la cosa.
Questa é la vita che conducono, ancora, tutte « le paranze» : soprassalti, spaventi, esaltazioni, la tema d'incontrarsi sempre con la squadra. Che ogni mattina, come escono « le paranze », cos]. escono le squadre.
Quelli che abbiamo detto, sono addetti al borseggio ,delle donne,
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« l'amínule ». Poi ci sono altre « paranze » che operano in direzione « d'u vascu », l'uomo. In che cosa consiste « u sciàmmaru »? Un giovane, spesso dell'età [...]

[...](che sia ben alto d> arrivare con il gomito, allargando il gomito destro o sinistro, a seconda dov'è il portafoglio) passa vicino a quello addocchiato e ci allarga « u sciàmmaru », cioè la mezza giacchetta dalla parte del portafoglio, perché l'altro veda se c'è « u surci ». Se c'è questo poggia la mano destra,. o sinistra, a seconda dov'è il portafoglio, sulla spalla del. giovane apparanzato il quale ripete la prima operazione, allargando la giacca, mentre l'altro si passa la mano sotto l'ascella e acchiappa « u surci ».
Questo fatto avviene con una certa facilità quando l'uomo viene a trovarsi in mezzo a una certa confusione, che pue, essere una carrozza che lo scansa o una bicicletta, quattro persone. E spesso questa canfusione viene creata dagli stessi apparanzati: in questi casi quattro o cinque. La prostituta, diventando più vecchia, cerca di lavar scale, magari nello stesso locale dove per vent'anni ha venduto le proprie carni; cos' questa gente stanca della galera, cerca nell'operazione di prendere la parte meno rischiosa: e da li nascono i pali, gli intrammezzi, che è tutta la tresca. Poi c'è « a nona », che è quello che prende di petto l'uomo o lo prende dietro le spalle, facendo finta che vuol passare. Poi si fanno le parti tra tutti se il colpo riesce. Ognuno secondo l'opera prestata : « a nona » prende quello che vogliono dare gli altri. La parte uguale viene divisa tra il ragazzo e quello che ha preso il portafoglio. « A nona », nella paranza, viene considerato un avventizio. La maggior parte dei borseggiati sona dei contadini, venuti dalla provincia o per entrare in una clinica o in cerca di lavoro a per fare la provvigione, e portano i risparmi della loro fatica. E[...]

[...]omo o lo prende dietro le spalle, facendo finta che vuol passare. Poi si fanno le parti tra tutti se il colpo riesce. Ognuno secondo l'opera prestata : « a nona » prende quello che vogliono dare gli altri. La parte uguale viene divisa tra il ragazzo e quello che ha preso il portafoglio. « A nona », nella paranza, viene considerato un avventizio. La maggior parte dei borseggiati sona dei contadini, venuti dalla provincia o per entrare in una clinica o in cerca di lavoro a per fare la provvigione, e portano i risparmi della loro fatica. E poi vanno ricercati « i fardaioli »: quelli che vengono dalle Americhe, dopo aver lavorato laggiù per molti anni: questi spesso hanno « u surciu abbuzzatu » : pieno di soldi. Poi ci sono gli specialisti per gli autobus, ché non sono tutti capaci di fare una cosa. Qui la difficoltà sta nell'alzare, soprattutto d'inverno, quando c'è il cappotto, per sfilare dalle tasche dei calzoni.
Fino a dodici anni, sempre la stessa cosa. Tante volte per far « lavorare » bene i piccioteddi, gli promettevano che li avrebbero portati ai casini. I ragazzini si facevano le seghe in comune, ognuno per conto
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suo, una specie di gara a chi godeva prima. « Calava u' duce »: che a quell'età non c'era ancora sperma. Una specie di estasi.
Una volta ci hanno portato in quattro in camera da una donna che dedicava le sue opere particolarmente a questi bambini: essa si gettò nel letto supina; il più grandicello, appunto perché tale, ci andò sopra proprio, e gli altri più piccoli, contemporaneamente, lei ne masturbava uno e gli altri due facevano da sé, incitati dalla scena, toccati da essa stessa. Facevano, tenendole un piede, palpandole le cosce, le natiche. Lasciamo stare queste cose che ripugnano, che altrimenti dovrei dire che certe volté a chi faceva la spia lo inculavano per sfregio, ecc. ecc.
A dodici anni (c'era una specie di mercato), uno sapeva che ero capace ormai di borseggiare: e quindi venne a parlare con la famiglia e si rimase d'accordo che giravo con lui. Le mie prime esperienze, di più alto livello, sono cominciate: siamo andati anche in continente. Che si faceva? La stessa cosa. Solo a ricordare fa male. Certe volte si faceva « l'appiccico ». Io fingevo di essere un bambino scappato di casa e l'altro, con una cinta in mano, fingeva di cercarmi da tre giorni: mi, vedeva, fingeva di volermi cinghiare, io mi ripavaro abbracciando i ginocchi di uno che prima ci eravamo assicurati che avesse « u surci » ne « la culatta ». Io gridavo, gli stringevo i ginocchi gridando — perdono —, e chiedendo aiuto a quell'uomo. Quello si impietosiva, si chinava cercando di proteggermi dalle busse, e intanto l'altro gli sfilava il portafoglio. Perché io fossi messo a conoscenza che l'operazione era riuscita, vi era un segnale convenzionale: mi faceva « a resta »: raschiava con la gola. Allora io mollavo.
Spesse volte eravamo accompagnati da una carrozzella da nolo, con il vetturino che già sapeva, per precauzione nel caso si fosse scoperti. Una volta in corso dei Mille, qui a Palermo, all'altezza del Mulino Pecoraro, mi vedo venire un uomo che portava una decina di fiaschi vuoti. E ci gettammo per l'operazione. Questo, mentre l'altro gli stava sfilando il portafoglio, se ne accorse. E allora, fingendo che gli stavano cadendo i calzoni, pregò un altro curioso che passava, di reggerci i fiaschi: e prese la rivoltella e incominciò a sparare. Noi tutti impauriti ci buttammo subito sulla carrozzella e fuggimmo. Che poi la gente credeva che fosse un rapimento di una ragazza, come di costume.
Che da Palermo e Napoli, si girava. Si stava in albergo, ci si do
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veva vestire bene. Si diceva di essere commercianti. A Milano, Torino: tutta mezza l'Italia ho conosciuto. Una volta il mio apparanzato era in possesso della tessera di giornalista. E tornavamo ogni tanto a Palermo, alla base.
Una volta, in una città, eravamo in tre, abbiamo incontrato una donna che poi portammo all'albergo. Io avevo un quattordici anni, gli altri erano maturi. Prima ci andarono gli altri, [...]

[...]tre, abbiamo incontrato una donna che poi portammo all'albergo. Io avevo un quattordici anni, gli altri erano maturi. Prima ci andarono gli altri, per ultimo io ci passai la notte e questa mi ha fatto raccontare cosa facevamo. La mattina dopo, questa é sparita senza farsi pagare. E ci siamo accorti, quando la polizia ci ha arrestato, che la polizia sapeva tutto quanto io avevo raccontato alla donna. Li s'era a farci da « nona » un brigadiere dei carabinieri, palermitano come noi, che conoscevamo. Perché abbiama pensato che la donna era una spia? La polizia insisteva nel voler sapere da me se il brigadiere, che poi hanno fatto maresciallo, era dei nostri, come io nel... m'ero lasciato scappare.
A quindici anni sono stato proposto per il riformatorio di Santa. Maria Capo a Vetere, provincia di Napoli. Uno di quelli con i quali lavoravo, dispiaciuto che dovessi essere rinchiuso, mi accompagnò sulla nave (ma incognito, la guardia non sapeva niente), quasi fino a destinazione. E sul treno mi porse un medicinale da strofinarmi negli occhi, perché fossi riformato alla visita al Riformatorio. Cosa che feci, perché anch'io volevo starmene libero e ormai mi piaceva girare l'Italia. Difatti dopo Otto giorni fui riformato: ma ancora oggi agli occhi mi é rimasta un po' di congiuntivite cronica, per quello. Tornato a casa, ripresi a gironzolare per l'Italia. In questo [...]

[...]spiaciuto che dovessi essere rinchiuso, mi accompagnò sulla nave (ma incognito, la guardia non sapeva niente), quasi fino a destinazione. E sul treno mi porse un medicinale da strofinarmi negli occhi, perché fossi riformato alla visita al Riformatorio. Cosa che feci, perché anch'io volevo starmene libero e ormai mi piaceva girare l'Italia. Difatti dopo Otto giorni fui riformato: ma ancora oggi agli occhi mi é rimasta un po' di congiuntivite cronica, per quello. Tornato a casa, ripresi a gironzolare per l'Italia. In questo periodo riportai due condanne di venti giorni e trenta, segnate ma non scontate perché minorenne. Un giorno fui arrestato a Roma, e da quella questura ebbi fatte le pratiche per essere rinchiuso, questa volta nell'Istituto Vittorio Emanuele III,. in provinzia di . Mantova. E qui fu la mia prima esperienza « rivoluzionaria ». Ci davano botte, il Direttore faceva cose che é meglio non. dire; bastava che noi giocassimo a tamburello quando lui dormiva, durante il giorno, per buscarci due o tre giorni di cella. Andavamo in cucina di notte a scassina[...]

[...]a gironzolare per l'Italia. In questo periodo riportai due condanne di venti giorni e trenta, segnate ma non scontate perché minorenne. Un giorno fui arrestato a Roma, e da quella questura ebbi fatte le pratiche per essere rinchiuso, questa volta nell'Istituto Vittorio Emanuele III,. in provinzia di . Mantova. E qui fu la mia prima esperienza « rivoluzionaria ». Ci davano botte, il Direttore faceva cose che é meglio non. dire; bastava che noi giocassimo a tamburello quando lui dormiva, durante il giorno, per buscarci due o tre giorni di cella. Andavamo in cucina di notte a scassinare per prendere del pane, o nell'orto per meIoni o pomodori. Abbiamo deciso di denunciarlo: scrissimo una lettera al Podestà del comune, nella quale denunciavamo i sopprusi ricevuti, sottoscritta dai piú grandicelli, e a sorte toccò proprio a me consegnarla.
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nelle mani del Podestà. È andata a finire che il Direttore, quando son tornato, mi ha puntato la rivoltella addosso, ma lui poi é stato costretto ad andarsene.
Tre anni sono stato 11: vita di recluso, si pub immaginare. Si sacrificava certe volte una parte del pane per cambiarlo, coi contadini [...]

[...]enunciarlo: scrissimo una lettera al Podestà del comune, nella quale denunciavamo i sopprusi ricevuti, sottoscritta dai piú grandicelli, e a sorte toccò proprio a me consegnarla.
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nelle mani del Podestà. È andata a finire che il Direttore, quando son tornato, mi ha puntato la rivoltella addosso, ma lui poi é stato costretto ad andarsene.
Tre anni sono stato 11: vita di recluso, si pub immaginare. Si sacrificava certe volte una parte del pane per cambiarlo, coi contadini che venivano 11, in sigarette fatte a mano. Strada lunghissima fino alla scuola e tutta la gente che diceva: — Povarin, povarin, daghe un pezo de pan, una gota de vino —. Che cosa ci avevano di educatori quelli là non si sa: se il primo lasciava tutto alla legge dell'anarchia, quell'altro voleva fare andare dritto tutto e invece andava tutto storto. Non si sa se andava peggio prima o peggio dopo.
Li ho incominciato dalla terza, per finire alla sesta elementare: mi han portato li perché sapevo un po' leggere per conto mio, avevo quasi la barba e ero came il padre dei bambini del paese, che erano mischiati insieme nella classe. Mi ricordo ancora che il primo giorno di scuola c'era il maestro che aveva disegnato un triangolo alla lavagna e diceva: — L'area del triangolo si trova moltiplicando la base per l'altezza e dividendo... —, e mi domando: — Tu laggiù l'hai capito? — Io non avevo capito niente ma gli dissi di si. Dettava: — O cavallina cavallina stoma, virgola —, e io scrivevo — virgola —; e poi: — Tu fosti buona ma parlar non sai, punto —, e io scrivevo — punto —.
Avevo diciott'anni quando frequentavo la sesta; e perché anda vamo a baciarci in mezzo le aiole, vicino la scuola, con la nipote del Podestà, mi cacciarono dall'istituto. Non ho appreso così nessun mestiere, tranne un pa' di agricoltura li: a me cittadino 'mi insegnavano cose di terra. Andavo a piantare citrioli a piazza San Pietro?
Poi son stato tre anni a Roma. E li imparai a fare il barbiere. Non mi ero dimenticato le vecchie amicizie, ma già incominciavo _a cercare una via nuova. La questura voleva che io stessi a Palermo, io invece volevo stare a Roma, dove il Tribunale mi aveva dato una madre adottiva. E la questura di Palermo, per risolvere ia difficoltà dell'avanti e indietro, mi infilò per due anni all'isola, al confino a Pantelleria. Anche di questa esperienza meglio non dire: era una corruzione continua. Come si salva un cristianu docu? Come si salva? Basti dire che certi bambini del paese venivano a dire: — Ti fazzu nescere u latte se mi dai una lira —. Mi vergogno a dirle certe cose. Siccome il ca
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sino era fuori limite del [...]

[...]ribunale mi aveva dato una madre adottiva. E la questura di Palermo, per risolvere ia difficoltà dell'avanti e indietro, mi infilò per due anni all'isola, al confino a Pantelleria. Anche di questa esperienza meglio non dire: era una corruzione continua. Come si salva un cristianu docu? Come si salva? Basti dire che certi bambini del paese venivano a dire: — Ti fazzu nescere u latte se mi dai una lira —. Mi vergogno a dirle certe cose. Siccome il ca
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sino era fuori limite del confino, c'era uno che era arrivato ad essere geloso della propria cagna. Ma non ci si crede se non ci si va. Questa era secondo loro l'opera di redenzione. Ventidue anni avevo quando sono uscito. Soldato non l'ho fatto, di leva, in conseguenza di quella congiuntivite cronica. A Roma subito un'altra volta. Lavoravo da bar biere. Lavoravo, a casa, amicizie, cose normali. In questo periodo capivo che dovevo staccarmi da tutto il mondo nel quale avevo vissuto: e sentivo la necessità di crearmi una famiglia, per avere degli affetti e per avere delle responsabilità. Un uomo che non sente di avere delle responsabilità, dove va a finire?
E sono venuto a Palermo, come per nostalgia di rivedere i posti dov'ero da piccolo. Ma ora andavo al Caffè delle Rose, andavo a passeggiare sotto l'orologio del Massimo, dove si davano l'appuntamento tutti i, gagarelli borghesi. Io diventando barbiere... Al Capo ci andavo, ma come un forestiero. Se incontravo qualche vecchia mia amicizia gli dicevo: — I soldi che si possono guadagnare e spendere in un giorno, si pagano con anni di galera. Invece di andare a letto col soprassalto se viene Sciabbica, si dorme tranquilli se u pane è buscatu —. Ma ancora non c'era una chiarezza della soluzione : era soprattutto stanchezza delle sofferenze passate.
Siccome sentivo il bisogno di crearmi una famiglia, e facendo il barbiere non riuscivo a mettere a parte qualche soldo pel corredo, una volta pregai un mio conoscente di trovarmi un lavoro più renditizio. Questo parlò con un pezzo di novanta, il malandrino, vecchio e paralitico, che comandava dal di fuori una fabbrica del cemento, disponendo a suo piacimento l'assunzione o il licenziamento degli operai. Come manuale, li lavoravo come una bestia da soma, ora alla fornace ora traspl,rtavo pietra rotta con una roncola di ferro. Io non ce la facevo; per sfuggire il lavoro andavo tre, quattro e anche cinque volte alla latrina; quando la cosa venne a conoscenza del pezzo di novanta, mi cacciarono fuori dicendo ch'ero lagnusu.
Sempre per guadagnare i soldi occorrenti per il matrimonio, ho fatto il rappresentante di cera, il battitore: vendevo statuine, stoffa, orologi «d'oro» eccetera. Finanche lo spicciafaccende, e ho imparato malamente il parrucchiere. Malgrado tutti questi mestieri non sono riuscito mai a accucchiare i piccioli pel matrimonio. La mia fidanzata, che
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vedeva nel matrimonio la soluzione oltre che amorosa anche economica, mi voleva lasciare. In questa sua decisione io vedevo la fine di tutti i miei sacrifici e proposi di f[...]

[...]re per guadagnare i soldi occorrenti per il matrimonio, ho fatto il rappresentante di cera, il battitore: vendevo statuine, stoffa, orologi «d'oro» eccetera. Finanche lo spicciafaccende, e ho imparato malamente il parrucchiere. Malgrado tutti questi mestieri non sono riuscito mai a accucchiare i piccioli pel matrimonio. La mia fidanzata, che
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vedeva nel matrimonio la soluzione oltre che amorosa anche economica, mi voleva lasciare. In questa sua decisione io vedevo la fine di tutti i miei sacrifici e proposi di fuircene. Ce ne fuggimmo a Roma. Mi trovai così senza una casa propria e senza lavoro. Intanto alcuni a
Palermo dicevano: Meschina, sta picciotta si consumò. Si pigghiò
unu ca nun have travagghiu —.
Andammo ad abitare in casa della mamma adottiva, che fu l'unico mio conforto. Malgrado la sua povertà ci dava da mangiare. Ci sposammo con la semplicità da poveri. Poco dopo mia moglie s'ammalò, la ricoverammo all'ospedale, io continuavo a non lavorare, le difficoltà aumentavano di giorno in giorno, andavo spesso a letto senza mangiare perché non avevo soldi, andavo a trovare mia moglie all'ospedale a mani vuote. Era assai umiliante per me, non mi sentivo uomo, marito; un giorno che mi fu possibile portarle un'arancia, mi parve giorno di festa. Un'arancia. Che cosa é un'arancia? Eppure per me era tutto.
Mi sentivo i[...]

[...]rdate che adesso ci hai moje e nun poi fa' quello che te pare, speciarmente che quella na regazzina —. Quel consiglio mi rasserenò e, pare, mi portò fortuna. Pochi giorni dopo trovai lavoro in un barbiere napoletano guadagnando 25 lire la settimana oltre le mance dei quali il padrone teneva conto, altrimenti avrebbe dovuto darmi 35 lire. Mi sentivo finalmente felice.
Poi mia moglie usci dall'ospedale e siamo andati ad abitare alla Marinella, in casa di una mia cugina. Ogni tanto andavo a trovare la mamma adottiva e, ora che lavoravo e avevo qualche soldo, cercavo di aiutarla ché suo marito era stato facchino di quelli numerati alla stazione e adesso viveva con una percentuale che gli davano i vecchi compagni di lavoro. Non aveva nemmeno la soddisfazione di un sigaro o di un bicchier di vino, la vita gli era diventata un tormento, ed io in riconoscenza di quanto avevano fatto per me, cercavo di accontentarlo
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e, qualche volta, quando litigavano lei e lui, perché lui si era trattenuto qualche coserella di nascosto, cercavo di metter pace: a settant'anni ancora costretto a fare le marachelle. Durante la settimana raschiava tutto il tartume che c'era intorno a la pipa per metterlo in bocca e sentire qualcosa del gusto del tabacco. Quando veniva un po' ubriaco, al sabato, mi strofinava in faccia i baffi umidi e mi diceva: — Povero fijo —. Poi abbiamo litigato con la cugina e siamo venuti a stare a Palermo.
A Palermo (mio padre lo conoscevano, me l'additavano; conoscevo anche mio nonno al quale chiedevo qualche nicheletta per la strada), venni senza niente, solo biancheria. Fui costretto ad andare a parlare a mio padre. Siccome avevo avuto pochi contatti, non lo sentivo questo affetto di padre: ma la necessità mi costrinse a parlarci. Egli permise che io e mia moglie andassimo a[...]

[...] litigato con la cugina e siamo venuti a stare a Palermo.
A Palermo (mio padre lo conoscevano, me l'additavano; conoscevo anche mio nonno al quale chiedevo qualche nicheletta per la strada), venni senza niente, solo biancheria. Fui costretto ad andare a parlare a mio padre. Siccome avevo avuto pochi contatti, non lo sentivo questo affetto di padre: ma la necessità mi costrinse a parlarci. Egli permise che io e mia moglie andassimo ad abitare in casa sua. Egli era sposato, con figli. La moglie non ci accolse con entusiasmo ma, siccome comandava il marito, dovette per forza accondiscendere.
Mio padre viveva una vita misera. Era stato cacciato fuori dal Municipio perché era socialista costituzionale. Nei primi giorni, siccome avevo qualche risparmio che mi avevo portato da Roma, ero io che davo da mangiare a tutti. Faceva anche lui lo sbrigapratiche siccome là in municipio aveva gli amici.
Ricordo che una sera, io ancora non ero rincasato, le mie sorelle brontolavano perché non c'era niente da mangiare, quando arrivai io. Mia sorella mi disse: — Gino, u papà have i piccioli e nun vole accattare u mangiare —. Allora mi rivolsi a mio padre per accertarmi. Mio padre mi confermò si di avere i soldi, ma erano relativi ai documenti di una cliente. La sua rettitudine mi meravigliò, conoscendo io quali erano una gran parte degli spicciafaccende a Palermo: imbroglioni e truffatori legati agli uffici dei tribunali, nelle preture, dappertutto. Se tu vuoi un documento falso, attraverso questi si riesce ad averlo.
Ho dovuto poi uscire di casa da mio padre, perché sua moglie, la sera mentre eravamo coricati su due materassi per terra, ci tirava i sassolini. Per farci credere che nella casa c'erano gli spiriti. Difatti una volta mia moglie voleva uscire per il gabinetto, e mi disse tremando: — Gli spiriti ci sono in questa casa, Gino —: le avevano buttato sassolini. Una sera gli spiriti ce li feci io a sua moglie: nella stanza dove dormiva mio padre e moglie, c'era un altarino da dove ci veniva la luce
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di un lumino dentro la stanza nostra. Allora una sera che arrivavano sassolini, presi una scarpa, la tirai sull'altarino e si spense tutto e gri
dando io: Gli spirdi, gli spirdi! andai sul letto de la signora
madre, avvolto in un lenzuolo e cominciai a menarle pugni in testa. L'indomani facevo il tonto: — Ma che ci su li spirdi? Me ne vaiu allora —. E me ne sono andato.
Mi presi un salone in affitto. Certe volte si poteva perdere un cliente solo perché non lo si aiutava a mettersi il cappotto; o perché non gli si era tirata la giacca dietro, di sotto il cappotto. Quando veniva qualcuno per abbonamenti, li scrivevo in un apposito registro. Gli si dice: — Il
suo riverito nome —, oppure: — Vossia, come si chiama? Il cliente
lo si perde anche per delle piccole mosse, un pelo scordato o un altro barbiere che gli fa più salamelecchi. (Il barbiere romano mi faceva l'orario preciso; e invece quando lavoravo dal napoletano, più meridionale del romano, ci toccava stare a lavorare fin dopo che chiudeva il barbiere dirimpetto: e quello faceva lo stesso, e non si andava a casa che alle dieci).
In casa di mio padre avevo visto un giorno una fotografia di una giovane vestita per bene, e gli chiesi: — Chi è quella lì? — E lui disse:
È tua sorella, che sta in casa dello zio. Ero venuto poi .a conoscenza di dove abitava quella mia sorella, figlia della mia stessa madre, di sette anni più grande di me. E, per trovarla, ho dovuto fingermi uno che portava notizie di un suo zio da Roma. Per quella preoccupazione della società borghese, la quale non trova la forza di assumere le proprie responsabilità, e quindi cerca di camuffare tutto, anche gli affetti della famiglia (se mio padre avesse avuto il coraggio di dire subito: — Questo é mio figlio —, cosi come fece mia madre, io non sarei stato eccetera e eccetera), ho dovuto avere un appuntamento con mia sorella in una altra casa e non in quella di mio zio, dove lei stava. Non appena entrato, mio cugino ci presentò. Ci sedemmo in un sofà e restammo lì alcuni minuti senza parlare. Io mi trovavo impacciato: dovevo incominciare io a parlare o lei? Poi mi incoraggiai e le dissi: — Ma perché stai dallo zio e non da papà? — Perché lo zio é senza figli e mi vuol bene e mi ha fatto studiare come papà. Ma perché sei stato tanto lontano? Papà mi ha detto che avevo un fratello ma non mi aveva detto mai dove si trovasse questo fratello —. E anch'io ho saputo, diventato
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grande, d'avere una sorella. Poi mi chie[...]

[...]iare io a parlare o lei? Poi mi incoraggiai e le dissi: — Ma perché stai dallo zio e non da papà? — Perché lo zio é senza figli e mi vuol bene e mi ha fatto studiare come papà. Ma perché sei stato tanto lontano? Papà mi ha detto che avevo un fratello ma non mi aveva detto mai dove si trovasse questo fratello —. E anch'io ho saputo, diventato
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grande, d'avere una sorella. Poi mi chiese che scuola avessi fatto, che religione praticavo, se ero fascista, ché allora c'era il fascismo. Io risposi che avevo fatto la sesta, e che non avevo mai approfondito il problema religioso e politico. E mi fece alcuni discorsi sulla religione e sul fascismo, e si meravigliava che non fossi cattolico e fascista. Lei era laureata in lettere. Io alla sua meraviglia risposi che, se avessi avuto la tutela che aveva avuto lei, probabilmente avrei avuto la fortuna di diventare fascista, cattolico e laureato come lei.
Questo affetto di sorella io non lo sentivo. Borghesemente si dice che ci sia la voce del sangue. Io non la sentivo sta voce. E me ne andai indifferentemente, rimanendo d'accordo che ci saremmo rivisti.
Difatti ci siamo rincontrati: e una volta, mentre andava a rinnovarsi. la tessera del partita e volle essere da me accompagnata a piazza Bologni, alla sede del fascio. Mentre camminavamo mi avvertî che se avessimo incontrato un uomo bassetto, io mi sarei dovuto allontanare, essendo questo il fidanzato e avrebbe potuto sospettare (e anche non voleva che si sapesse che eravamo fratello e sorella).
E non ci siamo visti piú. Ci siamo rivisti finita la guerra, quando mori mio padre. E frequentavo casa sua. Io era già comunista, ora. Mi invitò poi, una volta, in occasione della festa di Natale, a cenare a casa sua. Mi presentai puntualmente; mentre si preparava il pranzo, sonarono alla porta: erano parenti di mio cognato (ché ormai lei s'era sposata). Mia sorella tutta preoccupata mi disse di mettermi in disparte per non farmi vedere. Io me ne sono andato e non ci sono tornato piú.
La prima ragione, perché ero diventato comunista, stava racchiusa nelle sofferenze che avevo passato: comunismo voleva dire, per me, vita nuova e per tutti, lavoro per tutti e redenzione, quindi non più Sciabbica, perché se c'é lavora, non c'é ladri, tranne che per i cleptomani. Questo nell'idea, ora ti dico il contat[...]

[...] si preparava il pranzo, sonarono alla porta: erano parenti di mio cognato (ché ormai lei s'era sposata). Mia sorella tutta preoccupata mi disse di mettermi in disparte per non farmi vedere. Io me ne sono andato e non ci sono tornato piú.
La prima ragione, perché ero diventato comunista, stava racchiusa nelle sofferenze che avevo passato: comunismo voleva dire, per me, vita nuova e per tutti, lavoro per tutti e redenzione, quindi non più Sciabbica, perché se c'é lavora, non c'é ladri, tranne che per i cleptomani. Questo nell'idea, ora ti dico il contatto fisico come è stato. Io avevo il salone, si viveva d'intrallazzo, io vendevo le sigarette di contrabband che mi venivano fornite direttamente da una guardia di finanza. Io la cosa la facevo senza scrupoli perché si può dire che la facevano tutti i saloni. Mangiavo bene così, mentre intorno c'era fame. Un giorno volevo organizzare una dimostrazione contra l'affamamento: l'ho organizzata. Mi appartai nel retrobottega, scrissi MI manifesto nel quale finivo: — Viva Stalin, viva Roosvelt, [...]

[...].
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Raccolsi soldi per stamparlo, comprai la colla, e fécimo per conto nostro il partito Antifascista d'Azione: e nella nostra intenzione era quello di dare bastonate ai fascisti. Con l'aiuto di alcuni altri miei conoscenti, li andammo ad incollare nelle vie e distribuirli ai passanti, nei centri della città.
Un giorno, mentre ero intento a far la barba, si fermò davanti al salone una lussuosa macchina americana. Io credevo si trattasse di un cliente di riguardo e dissi a mía moglie di prendermi un asciugamano pulito. E invece erano ufficiali americani, venuti per arrestarmi sotto l'accusa di aver trasgredito al manifesto di Alexander. Mi hanno dato: — Lei non conosce il manifesto di Alexander? — Io non conosco niente, la gente muore di fame —. E mi hanno inviato al tribunale militare, il quale mi ha dato un anno con la condizionale.
Dopo alcuni giorni é venuto al salone un maestro di scuola, il quale mi ha invitato, per quello che avevo fatto, ad andarlo a trovare dove avevano sede le riunioni dei socialisti. Perché ancora non avevano il permesso di organizzarsi pubblicamente. Ho frequentato alcune riunioni. Un giorno si doveva votare u[...]

[...]ander. Mi hanno dato: — Lei non conosce il manifesto di Alexander? — Io non conosco niente, la gente muore di fame —. E mi hanno inviato al tribunale militare, il quale mi ha dato un anno con la condizionale.
Dopo alcuni giorni é venuto al salone un maestro di scuola, il quale mi ha invitato, per quello che avevo fatto, ad andarlo a trovare dove avevano sede le riunioni dei socialisti. Perché ancora non avevano il permesso di organizzarsi pubblicamente. Ho frequentato alcune riunioni. Un giorno si doveva votare un ordine del giorno che non condividevo e sono stato rimproverato per il mio modo di esprimermi. Avevo presentato la domanda d'iscrizione, ma siccome mi ero stufato, perché si facevano sempre discussioni e io volevo agire, non sono andato più alle riunioni. Poi ci fu l'autorizzazione e aprirono la sede. E rifrequentai. Organizzai una dimostrazione dei barbieri e in questa occasione conobbi un comunista il quale mi disse che il mio posto era nel partito comunista. Io non trovai nessuna difficoltà e mi iscrissi al partito: 1943. Ho cominciato subito ad essere responsabile di una cellula di strada. Poi di una sezione. Leggevo con piacere, perché oltre ad apprendere la dottrina del partito, soddisfacevo una mia esigenza di studio che avevo avuto sempre. Organizzavo delle letture in collettivo, con degli operai: abbiamo incominciato col « Materialismo storico e dialettico » di Marx. Ci sforzavamo a capire, mesi e mesi. La storia del partito bolscevico, « La città del so[...]

[...]comunista. Io non trovai nessuna difficoltà e mi iscrissi al partito: 1943. Ho cominciato subito ad essere responsabile di una cellula di strada. Poi di una sezione. Leggevo con piacere, perché oltre ad apprendere la dottrina del partito, soddisfacevo una mia esigenza di studio che avevo avuto sempre. Organizzavo delle letture in collettivo, con degli operai: abbiamo incominciato col « Materialismo storico e dialettico » di Marx. Ci sforzavamo a capire, mesi e mesi. La storia del partito bolscevico, « La città del socialismo » di Gramsci. Da questo libro ho tratto un insegnamento che mi ha servito: la società é come un treno di tanti vagoni, alla testa del quale c'è una locomotiva di tipo moderno, mentre gli altri vagoni rappresentano le fasi della società passata, con tutte le sue strutture, con tutti i suoi difetti. Il viaggio viene
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difficile perché questi vagoni sono scarcassati; ogni tanto cade una vite, cade uno sportello. Per cui é necessario, per aggiustarli, la collabora zione di tutti quelli che sono sul treno. E quando tutto é messo a punto, si viaggia speditamente verso la città del socialismo. M'ero fatto una cultura marxista, e continuavo a lavorare da barbiere. Siccome questo mestiere, specie a Palermo, non é tanto redditizio e io ormai ero padre di quattro bambini, cercavo di evadere, far qualche altra cosa. Un giorno parlai ad un compagno qualificato il quale mi propose di andare a fare il fattorino alla Federbraccianti. Ed io accettai. In questo[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine C.A., nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---A.A. <---A.B. <---A.G. <---A.R. <---A.V. <---Abbassi <---Americhe <---Arrisvegliati <---Aspettamo <---Avìanu <---B.A. <---B.C. <---Babele <---Ballar <---Ballarti <---Bellissimo <---Bisaquino <---Bragalone <---C.C. <---C.D. <---C.F.R.B. <---C.G. <---C.I. <---C.M. <---C.P. <---C.V. <---Calava <---Carcere <---Case Nuove <---Castello S <---Cattedrale <---Che da Palermo <---Chiddu <---Chissa <---Chissi <---Clinica <---Cominciò <---Comitato Direttivo <---Cortile <---Cortile Cascino <---Cortile Catarro <---Cortile Salaro <---Cortili Cascino <---Cosa <---D'Ossuna <---D'Ossuna a Cortile Grotta <---D.P. <---DANILO DOLCI <---Damiano Lo Greco <---Danilo Dolci <---Dei <---Di Maggio <---Di Santa Rosalia <---Direttore <---Diritto <---Dodici <---Eisenhower in Italia <---Emanuele III <---F.A. <---F.C. <---F.G. <---F.P. <---F.S. <---Faletta <---Federbraccianti <---Feliciuzza <---Forze Repressione <---G.F. <---G.M. <---Ganci <---Gino O <---Have <---I.F. <---Iddu <---Il lavoro <---Kalsa <---L.A. <---L.G. <---L.L. <---L.N. <---L.P <---L.P. <---L.R. <---La sera <---Lascialo <---Lassami <---M.A. <---M.F. <---M.G. <---M.P. <---M.S. <---M.T. <---M.V. <---Madonne <---Malaspina <---Maqueda <---Maria Capo a Vetere <---Marineo <---Minasola <---Monte Pellegrino <---Montelepre <---Mulino Pecoraro <---Municipio <---N.G. <---N.M. <---Nuatri <---Nésciunu <---O.A. <---O.S. <---Oltre <---P.A. <---P.F. <---P.G. <---P.I. <---P.M. <---P.V. <---Palermo <---Pantelleria <---Parlamento Siciliano <---Partinico <---Paura <---Perché <---Però <---Piana degli Aranci <---Piazza Donnissini <---Piglio <---Piove <---Pisciotta <---Più <---Pochi <---Povarin <---Pure <---R.P. <---Racconterò <---Repressione Banditismo <---Ringraziarvi <---S.C. <---S.D. <---S.G. <---S.R. <---S.S. <---S.V. <---Sagana <---Sant'Agostino <---Santa Rosalia <---Santo Patrono <---Schioppo <---Sciabbica <---Scusami <---Segni <---Segni-Gullo <---Settantaquattro <---Spesse <---Spine Sante <---Stato <---Stia <---Storia <---T.F. <---T.G. <---T.S. <---Tenga <---Terrasini <---U.A. <---V.C. <---Vado <---Venga <---Viva Stalin <---Vossia <---W.C. <---X.Y. <---arrangiano <---banditismo <---chisti <---comunismo <---comunista <---comunisti <---cristiana <---d'Azione <---dell'Albergheria <---facciano <---fascismo <---fascista <---fascisti <---industriano <---italiana <---italiano <---mangiano <---marmista <---marxista <---nell'Istituto <---paternalismo <---ruffiani <---sappiano <---sbucciano <---siano <---siciliani <---siciliano <---socialismo <---socialista <---socialisti <---spidocchiano <---succhiano <---svegliano <---testimoniano <---tubista



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